Report occupazionale Usa delude su tutti i fronti, Fed costretta a essere più dovish
L’improvviso rallentamento della creazione di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti alimenta le scommesse di una virata dovish della Federal Reserve di Jerome Powell. Virata su cui già da parecchio, sia diversi economisti che i mercati stessi, stanno scommettendo.
Stando ai dati riportati dal dipartimento del Lavo Usa, nel mese di maggio l’economia americana ha creato solo 75.000 nuovi posti di lavoro, meno della metà dell’incremento di 180.000 unità atteso dagli economisti intervistati dall’agenzia Dow Jones.
Il tasso di disoccupazione, al 3,6%, è rimasto tuttavia fermo al minimo degli ultimi 50 anni, esattamente dal dicembre del 1969.
Il parametro più ampio che considera anche sia i lavoratori scoraggiati che chi lavora part-time – chiamato a volte tasso di disoccupazione reale – è sceso ulteriormente, dal 7,3% al 7,1%, al valore più basso dal dicembre del 2000.
Nessuna buona nuova tuttavia dal fronte dell’inflazione, visto che la crescita dei salari ha rallentato il passo. In particolare, i salari medi orari sono saliti del 3,1% su base annua, deludendo le attese, che erano per una crescita del 3,2%, mentre la settimana lavorativa si è confermata invariata a 34,4 ore. La partecipazione alla forza lavoro è rimasta ferma al 62,8%, in linea con le stime.
E’ la seconda volta in quattro mesi che la crescita dei posti di lavoro degli Stati Uniti è inferiore alle 100.000 unità. In media, nel 2019, i posti di lavoro sono aumentati ogni mese di 164.000 unità, in forte calo rispetto alla media del 2018, pari a 223.000 unità.
Il deterioramento del mercato del lavoro aumenta le probabilità di un Jerome Powell più dovish (più colomba, dunque più accomodante), fattore che dovrebbe solo far piacere al presidente americano Donald Trump, più volte polemico nei confronti della politica monetaria della Federal Reserve.
Nelle ultime ore, Trump ha detto che Wall Street oggi potrebbe viaggiare a un valore superiore di 10.000 punti rispetto a quelli attuali, se solo i tassi sui fed funds fossero più bassi.
Fed più dovish per ovviare a danni guerra commerciale
E’ tuttavia proprio la guerra commerciale lanciata da Trump non solo nei confronti della Cina, ma ora anche del Messico a frenare la fiducia e dunque gli investimenti in tutto il mondo, a svantaggio della crescita dell’economia globale.
A partire da lunedì prossimo, i prodotti messicani potrebbero essere colpiti infatti da tariffe pari al 5%. (un evento, quello dell’imposizione dei dazi doganali, che è stato bollato perfino in stile Cigno Nero.)
Continuano nel frattempo le trattative con gli Usa, volte a scongiurare un tale scenario. Tornando alla prospettiva di una Fed più dovish, i mercati stanno scommettendo su un taglio dei tassi a luglio, seguito da un altro taglio nella riunione del Fomc – il braccio di politica monetaria della Fed – di settembre o di ottobre, e da un terzo all’inizio del 2020.
Così Vincenzo Longo, market strategist di IG, commenta il report occupazionale Usa appena diramato:
“I dati di oggi hanno deluso le attese su diversi fronti. Il tenore della crescita dei posti di lavoro è sceso considerevolmente ed era piuttosto prevedibile dopo il brutto dato sui posti di lavoro privati (stime ADP) rilasciati mercoledì. Il quadro peggiora se consideriamo anche la revisione dei mesi precedenti (-75 mila unità). Infine, anche la crescita dei salari ha deluso le attese, mostrando segnali di rallentamento che potrebbero creare aspettative di un inflazione più bassa nel prossimo futuro. Tutti questi dati, insieme a quelli collezionati nelle ultime tre settimane, vanno in un’unica direzione, ovvero portare la Fed a una riduzione dei tassi d’interesse. Le figure quindi sostengono un’apertura di questo tipo, dopo i toni accomodanti espressi da Jerome Powell a inizio settimana. E le scommesse degli investitori non sembrano tradire queste aspettative, con i Fed Funds future che mostrano ormai una probabilità solo del 2% che a fine anno i tassi rimarranno al livello attuale compreso tra il 2,25%-2,50%, mentre salgono quelle di un doppio taglio di 25 punti base. Così, con qualche mese di ritardo rispetto ad altre aree del globo, anche gli Usa si uniscono al coro dei segnali di rallentamento che stanno interessando altri Paesi. A ritardare l’effetto è stato per lo più qualche effetto residuo della riforma fiscale di Trump di fine 2017. Sui mercati, la pubblicazione dei dati si è tradotta con generale deprezzamento del biglietto verde verso le principali valute mondiali, mentre i rendimenti sui Treasury sono scesi violentemente, arrivando ai minimi da settembre 2017“.
La prossima riunione della Fed si terrà il 18 e il 19 giugno. Le manovre restrittive degli ultimi anni hanno portato i tassi sui fed funds a salire nel range compreso tra il 2,25% e il 2,50%.