Petrolio: Opec+ rimanda aumento offerta dopo tonfo prezzi. Il crollo ‘monstre’ previsto da Citi
L’Opec+, il gruppo che comprende paesi Opec come l’Arabia Saudita e non Opec come la Russia, ha deciso di posticipare di due mesi l’aumento dell’offerta pianificato a partire dal mese di ottobre, a causa del recente tonfo dei prezzi del petrolio.
Una decisione, quella di rimandare l’aumento della produzione, che non ha molta presa sulle quotazioni del crude oil che, a parte un balzo immediato successivo alla notizia, continuano a viaggiare ai minimi degli ultimi 14 mesi, a causa dei timori legati alla domanda degli Stati Uniti e della Cina, in un contesto caratterizzato dalle rinnovate preoccupazioni per l’arrivo di una recessione Usa.
Nella sessione di ieri, dopo la decisione dell’Opec+, i futures sul Brent hanno terminato la giornata di contrattazioni scendendo di 1 centesimo a quota $72,69 al barile, mentre il contratto WTI scambiato a New York ha perso 5 cents, o lo 0,1%, a quota $69,15.
Il Brent ha chiuso così al valore minimo record dal giugno del 2023 per la seconda sessione consecutiva, mentre il WTI ha terminato la giornata di contrattazioni ai livelli minimi dal dicembre del 2023 per la terza sessione consecutiva.
Occhio all’outlook degli economisti di Citi, che hanno avvertito che, senza un intervento dell’Opec+ volto a intensificare i tagli, i prezzi del Brent potrebbero crollare fino a 50 dollari al barile.
Opec+ estende tagli di altri due mesi, rimanda aumento offerta
Tornando all’Opec+, due fonti interpellate dalla Reuters hanno riportato che l’associazione ha deciso di estendere di altri due mesi i tagli avviati da alcuni paesi produttori di petrolio nel secondo e terzo trimestre di questo anno.
L’intenzione dell’Opec+ era quella di incrementare la produzione di 180.000 barili al giorno a partire dal mese di ottobre, nell’ambito di un piano più ambizioso, volto a ripristinare gradualmente nei mesi successivi l’offerta totale di 2,2 milioni di barili al giorno tagliata nei mesi precedenti, in particolare dall’Algeria, dall’Iraq, dal Kazakhistan, dal Kuwait, dall’Oman, dalla Russia, dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti.
L’aumento dell’offerta era stato deciso in particolare nel mese di giugno, quando l’Opec+ aveva deciso di riportare sul mercato i 2,2 milioni di barili al giorno tagliati dagli otto paesi membri, a partire dal mese di ottobre 2024 fino al settembre del 2025, prorogando contestualmente altri tagli di 3,66 milioni di barili al giorno, stabiliti in precedenza, fino alla fine del 2025.
La notizia dell’estensione dei tagli di 2,2 milioni di barili al giorno ha avuto tuttavia poco effetto sul mercato del petrolio, colpito nelle ultime sessioni da una raffica di smobilizzi.
A seguito di un breve scatto, i prezzi del petrolio hanno infatti azzerato i guadagni per chiudere la sessione di ieri in rosso. Le quotazioni segnano ora un lieve rialzo, cercando di scacciare i timori sull’economia mondiale, che si sono intensificati nei giorni precedenti, provocando un forte collasso anche a Wall Street.
Forte è stata la ritirata, in particolare nella sessione di martedì, quando il contratto WTI con scadenza a ottobre ha perso a New York il 4,36%, scivolando a quota $70,34 al barile e il contratto del Brent con scadenza a novembre è capitolato del 4,86% a $73,75 al barile.
Nella sessione di mercoledì, il WTI ha perso anche la soglia psicologica dei $70 al barile, così come il Brent è scivolato sotto quota $73.
A zavorrare le quotazioni del petrolio, sia le aspettative di un probabile aumento dell’offerta da parte dell’Opec+ che la possibilità che la produzione in Libia venga ripristinata.
Il tonfo è stato provocato tuttavia soprattutto dalla nota con cui gli analisti di Goldman Sachs hanno lanciato un alert sulle quotazioni del rame, citando l’indebolimento della domanda cinese.
Petrolio: l’outlook monstre di Citi
Interpellato da Dow Jones, l’analista di StoneX Fawad Razaqzada ha così commentato che “il fatto che i dati recenti non abbiano mostrato alcun segnale di accelerazione della domanda per le importazioni della Cina, dell’Europa o del Nord America indica una situazione in cui l’offerta di petrolio non sarà scarsa quanto previsto qualche mese fa”. Tutt’altro, visto che ora si parla di eccesso di offerta.
E “per scaricare l’eccesso di offerta – ha avvertito Razaqzada – sarà necessario ridurre la produzione di petrolio, a meno che non si manifesti una improvvisa ripresa dell’economia globale. E nessuno di questi scenari appare probabile o imminente”.
La situazione è così preoccupante che gli analisti di Citi hanno avvertito che, a meno che l’Opec+, piuttosto che riportare sul mercato i tagli dell’offerta, non decida di aumentare l’entità dei tagli alla produzione, i prezzi del Brent scenderanno inizialmente fino a $60 al barile l’anno prossimo, per poi rischiare di crollare fino a $50 al barile.
Citi ha fatto notare, tra l’altro, che le tensioni geopolitiche stanno avendo un impatto minimo di lungo termine sui prezzi, e che i mercati vedono in queste tensioni, piuttosto, l’opportunità di vendere dopo i rialzi temporanei delle quotazioni.
Ancora, per gli economisti della banca americana, l’Opec rischierebbe anche di perdere la fiducia dei mercati se difendesse quota $70 senza estendere i tagli.
L’Opec attende l’esito delle elezioni Usa?
La decisione dell’Opec+ è stata intanto commentata così da Warren Patterson, responsabile della divisione di strategia sulle commodities di ING:
“E’ chiaro che il sentiment è ancora negativo, viste le preoccupazioni per la domanda. Probabilmente l’Opec spera che il sentiment migliori nel corso dei prossimi due mesi, consentendole di iniziare a riportare sul mercato l’offerta (tagliata). Tuttavia, il problema è che nel corso del 2025 il mercato del petrolio sarà caratterizzato da un eccesso di offerta, fattore che suggerisce che, probabilmente, i prezzi rimarranno sotto pressione, a meno che l’Opec+ non agisca in un’ottica di più lungo termine”.
Patterson ha continuato, facendo notare che è anche possibile che l’Opec+ stia aspettando l’esito delle elezioni Usa. Una vittoria di Trump potrebbe implicare un atteggiamento più rigido degli Stati Uniti nei confronti dell’Iran, e dunque tradursi nell’applicazione più severa delle sanzioni imposte sulle esportazioni di petrolio. Una mossa del genere potrebbe avere un impatto su 1,3 milioni di barili al giorno di offerta di petrolio dell’Iran, permettendo agli altri paesi membri dell’Opec+ di ritirare i tagli volontari all’offerta” per ora ancora in essere”.