Italia al voto il 4 marzo, tassi BTP a 10 anni già al record in Eurozona. Spread pagherà rischio Hung Parliament?
“Hung Parliament”, ovvero Parlamento appeso, in cui nessun partito, a seguito delle elezioni, dispone della maggioranza. L’espressione è sempre più utilizzata per descrivere quella che, secondo diversi esperti , sarà la situazione in cui si verrà a trovare l’Italia dopo le elezioni politiche.
Elezioni politiche che ora hanno finalmente una data, la stessa circolata nelle ultime settimane, e che solo a essere menzionata aveva scatenato un pesante sell off sugli asset finanziari italiani.
Gli italiani torneranno alle urne il prossimo 4 marzo del 2018. Lo ha deciso con decreto il Consiglio dei Ministri, dopo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha certificato la fine ufficiale della XVII legislatura ieri, 28 dicembre 2017, firmando il decreto di scioglimento di Camera e Senato. Il decreto è stato poi controfirmato dal premier Paolo Gentiloni.
La prima convocazione delle Camere successiva alle elezioni politiche avverrà il 23 marzo; in quell’occasione, saranno scelti i prossimi presidenti di Camera e Senato.
In attesa di una campagna elettorale destinata a farsi sempre più infuocata, i mercati sono sull’attenti.
Spread osservato speciale: sale del 2,7% circa, superando quota 153 punti base, a fronte di rendimenti dei BTP decennali che si rafforzano all’1,978%, avanzando alle 10 ora italiana di oltre 1 punto percentuale, e attestandosi al valore più alto degli ultimi due mesi.
Anche lo spread è al massimo dalla fine di ottobre,
Del rischio di instabilità politica parla anche la stampa estera.
Bloomberg scrive “Ballot could lead to hung parliament, political turbulence”, segnalando come il voto rischi di tradursi in un Hung Parliament e in turbolenze politiche per il paese.
Alliance News fa lo stesso, con il titolo dell’articolo che recita “Italian Elections Set For March 4 Political Instability Might Follow” mentre il tabloid britannico Daily Express ricorre a parole ancora più forti: “Italy sets election date: Vote risks EU CRISIS with eurosceptic parties leading polls”, mettendo in evidenza come le stesse elezioni rischino di provocare una crisi dell’intera Unione europea, più nello specifico l’Eurozona, visto che a spiccare nei sondaggi è la crescente popolarità dei partiti e movimenti euroscettici.
A tal proposito viene riportato il commento di Giovanni Orsina, professore di scienze politiche presso l’Università Luiss di Roma:
“Neanche i politici a favore dell’euro vogliono prendere posizioni aperte sulla moneta, perchè sanno che gli italiani non le vogliono sentire”.
Lo schiaffo del Wall Street Journal al premier Gentiloni
Severo l’articolo del Wall Street Journal, che sembra non riconoscere neanche i presunti grandi progressi che l’economia avrebbe fatto sul fronte economico ricordati ieri, nel corso della conferenza stampa di fine anno, dal premier Paolo Gentiloni.
Gentiloni si era così espresso:
“La crescita ha preso un buon ritmo”, facendo notare che “un anno fa la previsione era metà di quella che si sta realizzando. Siamo indietro rispetto alla media dell’Eurozona ma il fanalino di coda non siamo più noi. Se lo cercate cercatelo da un’altra parte”.
Non la vede così il WSJ, come si evince dal titolo più che indicativo: “Italy’s President Calls National Elections, as Country Grapples With Economic Pain”, ovvero il Presidente Italiano indice le elezioni nazionali, mentre il paese fa fronte a problemi economici”.
“Per molti leader europei – specifica il quotidiano finanziario americano – l’Italia rimane il punto dolente nel contesto di ripresa del continente”. E “sebbene l’economia (italiana) abbia riportato una espansione probabilmente dell’1,5% nel 2017 il tasso di crescita più forte in sei anni, si tratta comunque della crescita più lenta, quest’anno, in Europa, accanto a quella del Regno Unito, stando alle stime dell’Unione europea”.
L’Italia, ricorda il Wall Street Journal, “si sta espandendo a un ritmo pari alla metà di quello che caratterizza paesi come la Spagna, che hanno riportato un recupero solido. Deutsche Bank prevede che la crescita italiana rallenterà inoltre all’1,4% nel 2018 e all’1% nel 2019”. Ancora, “l’economia italiana ha un valore inferiore del 6% rispetto all’inizio del 2008” e tale elemento fa del paese l’unica economia del G7 che non è tornata ai livelli precedenti la crisi finanziaria.
Intervistato dal Wall Street Journal, l’economista ed ex ministro del Lavoro Enrico Giovannini fa notare che “l’attuale livello di crescita è troppo basso per risolvere i problemi della gente”.
Tutto questo, mentre si rinfocola la paura per lo spread e, in generale, per il futuro dei BTP, in un momento in cui lo scudo BTP garantito dal piano Quantitative easing della Bce si appresta a indebolirsi.
BTP e spread sotto i riflettori
Il QE sarà infatti dimezzato a partire dal prossimo anno e, secondo Citigroup, la riduzione avrà pesanti ripercussioni soprattutto sull’Italia.
La minore appetibilità dei bond italiani è già presente da un po’, almeno nel mercato secondario.
Bloomberg fa notare che gli asset del reddito fisso dell’Italia sono stati messi sotto pressione negli ultimi mesi proprio”a causa del rischio di instabilità politica”. Le vendite sui bond sovrani hanno portato i rendimenti sui BTP decennali a salire ai livelli più alti in Eurozona, a parte il caso dei rendimenti dei bond ellenici.
Tanto che già lo scorso 15 dicembre, la prospettiva della data del voto fissata al 4 marzo (che ora è una certezza) aveva fatto registrare ai BTP italiani la settimana peggiore dal mese di luglio, rinfocolando la paura dello spread.
Certo, la situazione è decisamente cambiata rispetto a quel tragico anno 2011, in cui i massicci attacchi speculativi contro l’Italia portarono il differenziale – della cui stessa esistenza pochi, fino a quell’anno, erano a conoscenza – a volare al record assoluto di 574 punti base. Ma la situazione attuale non convince l’economista americano David P. Goldman, che parla del grande rischio che incombesull’Italia
Rischio Hung Parliament e cosa dicono gli ultimi sondaggi
Tornando alla questione dell’Hung Parliament, si tratta di un altro rischio concreto, se si considera che né il M5S, né il PD guidato dall’ex premier Matteo Renzi, e neanche il blocco di centro-destra riuscirebbero ad aggiudicarsi la maggioranza in Parlamento.
Una situazione di stallo si verrebbe a creare anche in caso di “una grande coalizione” che venisse eventualmente formata attraverso un’alleanza tra il Pd di Renzi e Forza Italia di Silvio Berlusconi: anche in questo caso, non ci sarebbe infatti una maggioranza.
Così ha commentato Wolfango Piccoli, analista di politica presso Teneo Intelligence, in un’intervista rilasciata ad Alliance News.
“Lo scenario di base per il risultato delle elezioni è quello di un Parlamento appeso. Ciò significa che probabilmente l’Italia entrerà in una fase difficile dopo il voto, visto che riuscire a formare una maggioranza di governo sarà complicato, se non impossibile“.
Dai sondaggi, intanto, emerge il crollo del Pd. Dall’analisi che YouTrend fa per l’agenzia di stampa AGI comparando la popolarità attuale dei partiti con quella che avevano a inizio 2017, presentando dunque “un bilancio ‘secco’ di vincitori e sconfitti del 2017”, emerge che il Partito Democratico ha perso
“quasi 7 punti (per la precisione 6,8) rispetto a inizio gennaio. Un vero e proprio crollo, che si è accompagnato a quello degli alleati di governo di Alternativa Popolare (recentemente dissoltasi dopo il ritiro di Alfano) ridotti a un terzo del loro consenso iniziale (da 3,6 per cento a 1,2). Non sorprende quindi che l’area di governo (corrispondente all’odierna coalizione di centrosinistra) si sia sensibilmente ridotta, passando dal 34,5 al 27,9 per cento”.
“Forza Italia chiude il 2017 con il miglior dato annuale – prosegue il sondaggio di YouTrend –un 15,8% che vuol dire oltre 3 punti in più rispetto a inizio anno, un aumento avvenuto non a scapito degli alleati di centrodestra (Lega e Fratelli d’Italia) bensì contestualmente a una loro crescita, seppur più contenuta; dall’altro verso sinistra, con la scissione dei bersaniani che prima hanno formato Articolo 1 – MDP e poi si sono uniti a Sinistra Italiana e ad altre formazioni nel nuovo soggetto guidato da Pietro Grasso, Liberi e Uguali: se a inizio anno SI stentava a raggiungere il 3 per cento, oggi LeU vale quasi il 7, più del doppio. Sostanzialmente fermo è rimasto invece il Movimento 5 stelle, partito intorno al 28,2% e arrivato a fine anno con un saldo leggermente negativo (meno 0,7 per cento)”