Inflazione Usa: l’SOS rientra. Ma la Fed si fiderà?

Inflazione Usa, buone notizie per la Fed e i cittadini Usa. Presto per brindare?
Forse la Fed di Jerome Powell può davvero iniziare a considerare la possibilità di deporre l’arma dei tassi contro l’inflazione made in Usa.
Il dato diffuso nell’Inflation Day, l’indice dei prezzi al consumo, ha rafforzato di fatto le speranze di chi ritiene che Powell & Co., ormai, possano fare una pausa. Tanto che, a seguito della diffusione del report, i trader hanno rivisto al ribasso le probabilità di un ulteriore aumento dei tassi da parte della Fed al 20%, stando a quanto emerso dal FedWatch del CME Group.
Il dipartimento del Lavoro Usa ha annunciato oggi che, nel mese di aprile, l’inflazione misurata dall’indice dei prezzi al consumo degli Stati Uniti è salita dello 0,4% su base mensile, come da attese, dopo il rialzo dello 0,1% di marzo.
Su base annua, l’aumento è stato pari a +4,9%, lievemente inferiore al +5% atteso. +
L’ottima notizia è che, per l’inflazione headline, la crescita è stata la più bassa degli ultimi due anni.
Inflazione Usa: occhio a componente shelter e al dato core
A fare la parte del leone nei numeri dell’inflazione sono stati soprattutto i costi degli alloggi (riassunti nel trend dello shelter index), saliti su base mensile dello 0,4%, così come i prezzi delle auto e dei camion usati (+4,4%) e i prezzi della benzina.
Riguardo alla componente core, il CPI core – che esclude le componenti più volatili, rappresentate dai prezzi dei beni alimentari ed energetici – è salito dello 0,4% su base mensile e del 5,5% su base annua, in linea con le stime.
Facendo il punto della situazione, i numeri arrivati dal fronte macroeconomico degli Stati Uniti indicano come la crescita delle pressioni inflazionistiche made in Usa si stia finalmente raffreddando.
Il rialzo su base annua pari a +4,9% è decisamente più basso, infatti, rispetto al record in 40 anni che venne testato nel giugno dello scorso anno, al ritmo pari a +9,1%.
Tuttavia, i prezzi continuano a viaggiare a un tasso che è più del doppio rispetto al target di inflazione su cui punta la Fed, pari al 2%.
Dunque, anche se la Fed deciderà di assecondare i desiderata dei mercati, e di non alzare ulteriormente i tassi, è improbabile che, entro la fine del 2023, Powell & Co. facciano dietrofront con un taglio del costo del denaro.
Lo stesso Jerome Powell, nell’ultima riunione del Fomc del 3 maggio scorso, ha avvertito che non sarebbe appropriato ricorrere a una tale mossa in questo momento.
L’ipotesi è dunque di una Fed pronta magari a non insistere ulteriormente nel suo ciclo di rialzo dei tassi, ma comunque determinata a blindare lo status quo, aspettando che l’effetto delle strette monetarie fino a oggi varate si rifletta nelle dinamiche dei prezzi Usa.
Fed reduce da 10 rialzi consecutivi dei tassi
Al momento, in un range compreso tra il 5% e il 5,25%, i tassi sui fed funds Usa viaggiano al record in quasi 16 anni.
Nonostante questo, a dispetto dei dieci rialzi dei tassi consecutivi varati dalla Federal Reserve a partire dal marzo del 2022, l’inflazione degli Stati Uniti appare tuttora persistente.
Così commenta i numeri sull’inflazione Usa arrivati oggi con l’indice CPI Quincy Krosby, chief global strategist di LPL Financial:
“I dati di oggi confermano che la campagna della Fed volta a smorzare l’inflazione sta funzionando, anche se in modo più lento rispetto a quanto desiderato“.
Detto questo, secondo Krosby, “per i mercati finanziari..il dato sull’inflazione di oggi è positivo”.
Certo, elementi di preoccupazione permangono, come indica il sottoindice del dato sull’inflazione che misura i costi degli alloggi (shelter), che incidono sull’indice CPI per un terzo circa: oltre a salire di un altro +0,4% nel mese di aprile, la componente è balzata dell’8,1% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
Va segnalato anche il balzo del 4,4% dei prezzi delle auto e camion usati , che si è manifestato dopo le flessioni degli ultimi mesi, così come va messo in evidenza l’indice dei prezzi energetici, salito dello 0,6%, sulla scia del +3% dei prezzi della benzina.
Allo stesso tempo, alcune componenti hanno riportato trend negativi a livelli record.
Nel caso dei prezzi del latte, per esempio, il calo è stato pari a -2% su base mensile, il più forte dal febbraio del 2015.
Dietrofront anche per i prezzi delle uova, che rimangono tuttavia decisamente al rialzo da inizio anno, con un guadagno YTD pari a +21,4%, ma che ad aprile sono scesi dell’1,5%.
Il commento degli analisti di eToro e Aegon AM
Così Callie Cox, US Investment Analyst di eToro, ha commentato i numeri relativi all’inflazione degli Stati Uniti:
“L’inflazione continua a rallentare a un ritmo graduale, che è esattamente ciò che la Fed vuole vedere. Anche la composizione dell’inflazione sta cambiando, con l’inflazione dei servizi in netto calo rispetto allo scorso anno. Il mandato di Powell è di farla scendere, ma a questo punto i funzionari sanno che devono vedere dei progressi nei prezzi dei servizi per raggiungere l’obiettivo del 2%”.
Cox ha sottolineato che il lavoro della Fed, dunque, “non è ancora finito”.
Detto questo, “ci si sta muovendo nella giusta direzione, e questo è un progresso. Inoltre, le dinamiche dell’inflazione stanno chiaramente cambiando, il che potrebbe consentire ai funzionari della Fed di essere più flessibili con la politica, se necessario”.
L’analista di eToro ha aggiunto nella sua nota che “questo rapporto è una buona notizia anche per l’americano medio”, visto che “i prezzi dei generi alimentari e degli affitti si sono notevolmente abbassati negli ultimi due mesi, il che potrebbe alleggerire la pressione sui portafogli delle famiglie a reddito medio-basso”.
E, visto che “l’inflazione elevata è particolarmente pericolosa quando spacca la società, siamo particolarmente incoraggiati da quali componenti dell’inflazione stanno guidando queste tendenze”.
In generale, ha concluso Cox, “l’inflazione sembra rallentare a un ritmo sano, o comunque non indicativo di una recessione all’orizzonte. L’atterraggio morbido sembra ancora possibile”.
Allo stesso tempo, “con il calo dell’inflazione, l’attenzione potrebbe spostarsi ulteriormente sui dati relativi alla crescita e al mercato del lavoro. La probabilità di recessione potrebbe aumentare, ma almeno sappiamo che la Fed ha un margine di manovra per reagire se necessario. A questo punto, ha senso rimanere sulla difensiva e cercare aziende di qualità, ma il rischio di un’inflazione persistentemente alta sta lentamente scomparendo”.
Il dato relativo all’indice dei prezzi al consumo Usa è stato commentato anche da Gareth Gettinby, investment manager di Aegon Asset Management:
“Sebbene l’inflazione sembri aver raggiunto il suo picco negli Stati Uniti, l’inflazione di fondo rimane significativamente superiore all’obiettivo del 2% fissato dalla Fed – ha fatto notare Gettinby – Allo stesso tempo, il tasso di disoccupazione è storicamente basso, il che rende piuttosto difficile giustificare come i mercati possano prezzare tagli dei tassi nel corso dell’anno (i mercati prezzano tagli dello 0,75% entro la fine dell’anno)”.
Di conseguenza, ha sottolineato il gestore di Aegon Asset Managament, “a meno che non si verifichi una crisi finanziaria o una profonda recessione, è improbabile che la Fed cambi rotta e inverta il suo percorso di rialzo con la rapidità prevista dal mercato. Manterrà i tassi di interesse più alti più a lungo per eliminare le pressioni inflazionistiche residue”.