Notizie USA Inflazione Usa più alta delle attese: cosa cambia per la Fed, taglio tassi a rischio?

Inflazione Usa più alta delle attese: cosa cambia per la Fed, taglio tassi a rischio?

10 Ottobre 2024 15:17

L’inflazione statunitense di settembre ha deluso le aspettative degli analisti, registrando un aumento sopra le stime su base mensile e una diminuzione inferiore alle attese rispetto a un anno prima. Il dato core ha addirittura accelerato al 3,3% su base annua, ben distante dal 2% che rappresenta il target della Fed. Il dato sui prezzi al consumo complica il quadro per la banca centrale americana, già restia a tagliare rapidamente i tassi dopo il job report di venerdì.

Prezzi al consumo Usa più alti delle stime

A settembre, l’indice dei prezzi al consumo è cresciuto dello 0,2% su base mensile, in linea con la rilevazione di agosto, a fronte del +0,1% previsto dagli analisti. Anno su anno, il dato mostra una variazione del 2,4%, rispetto al +2,3% del consensus e al 2,5% del mese precedente.

Il Cpi core, che esclude i prezzi alimentari ed energetici (più volatili e quindi meno indicativi della dinamica sottostante dell’inflazione), mostra un aumento dello 0,3% rispetto ad agosto (stima +0,2%, precedente 0,3%).

Su base annua, il dato evidenzia un’accelerazione dal 3,2% al 3,3%, a fronte di una lettura attesa stabile.

L’incremento è stato dettato prevalentemente dai rincari dei biglietti aerei e delle assicurazioni, mentre  i costi degli alloggi (OER – owner’s equivalent rent), una delle categorie in cui l’inflazione è rimasta più vischiosa, ha segnato uno degli aumenti più contenuti degli ultimi tre anni (+0,3%).

Inflazione Usa non scende come sperato

Il set di dati pubblicato oggi dal Bureau of Labor Statistics rappresenta dunque una parziale battuta d’arresto nel percorso di moderazione dell’inflazione auspicato dalla Fed. Negli ultimi due anni, l’istituto guidato da Jerome Powell ha portato i tassi su livelli restrittivi al fine di ricondurre la crescita dei prezzi verso l’obiettivo del 2%, cominciando solo il mese scorso ad allentare i costi di finanziamento, con un taglio da 50 bp.

I dati di venerdì sul mercato del lavoro, più solidi del previsto, hanno sostanzialmente cancellato le chance di un’altra riduzione dello 0,5% nella prossima riunione, ma il report di oggi potrebbe persino mettere in discussione una mossa da 25 punti base.

Fed guarda anche al mercato del lavoro

D’altro canto, la tendenza generale dell’inflazione rimane comunque indirizzata verso un rallentamento, come evidenziato dal progressivo rallentamento del core Pce, la misura dei prezzi più significativa per la Fed. Il dato sul Cpi a 6 mesi si attesta al 2,5% mentre quello a tre mesi, più volatile, è al 3%.

Nell’ultimo periodo, inoltre, i funzionari sono più attenti ai segnali provenienti dal mercato del lavoro, come emerso dai verbali dell’ultima riunione, diffusi ieri. Pertanto, è molto probabile che i responsabili di politica monetaria aspettino altri dati, compreso il prossimo job report, per decidere sul da farsi.

Nel frattempo, sono stati pubblicati anche i numeri sulle nuove richieste di sussidi di disoccupazione, in aumento a 258 mila, il massimo da oltre un anno, riflettendo anche l’impatto dell’uragano Helene.

La reazione dei mercati all’inflazione Usa

Dopo la pubblicazione del rapporto sui prezzi al consumo, i future sugli indici Dow Jones, S&P 500 e Nasdaq scambiano in territorio negativo e il rendimento del Treasury biennale, più sensibile alle variazioni dei tassi, è sceso di 6 punti base al 3,96%. Pressoché invariato il dollaro, con il cambio EUR/USD a 1,095.

Lo scenario di base secondo i mercati continua a rimanere quello di un taglio da 25 punti base nel prossimo meeting del Fomc. In alternativa, il 7 novembre la Fed potrebbe lasciare il costo del denaro invariato, un’eventualità a cui i future assegnano una probabilità molto contenuta (intorno al 15%).

Secondo ING, la prospettiva più credibile è quella di due tagli da 25 punti base nelle prossime due riunioni da qui a fine anno.