Notizie Notizie Italia In principio fu attacco a oro Bankitalia. Ora Bagnai punta a takeover completo della politica su Palazzo Koch

In principio fu attacco a oro Bankitalia. Ora Bagnai punta a takeover completo della politica su Palazzo Koch

20 Giugno 2019 12:02

In esclusiva Reuters riporta che la Lega di Matteo Salvini e il M5S di Luigi Di Maio hanno presentato una proposta di legge al Senato che, se approvata, darebbe al governo e al Parlamento il potere di nominare i cinque esponenti del board di Bankitalia che, nel sistema attuale, vengono nominati internamente. Il progetto di legge, scrive Reuters, “modifica radicalmente le regole di nomina del governatore e della prima linea della Banca d’Italia e attribuisce al Parlamento il potere di modificarne lo statuto”. Ispiratore e regista di questa operazione sarebbe Alberto Bagnai, economista leghista euroscettico e presidente della Commissione Finanze del Senato che, secondo le indiscrezioni degli ultimi giorni, potrebbe diventare anche ministro per i Rapporti con l’Unione europea (carica detenuta da Paolo Savona, poi trasferitosi alla presidenza della Consob), con tanto di assist del M5S.

Reuters conferma che “il testo della proposta di legge sulla riforma di Bankitalia è firmato dai capigruppo di maggioranza, Massimiliano Romeo (Lega) e Stefano Patuanelli (M5s), ma il vero ispiratore dell’iniziativa è il senatore euroscettico e presidente leghista della commissione Finanze Alberto Bagnai, secondo quanto spiegano fonti parlamentari”.

Che Bagnai desideri cambiare Bankitalia non è una novità, viste le dichiarazioni che lui stesso ha rilasciato fino a pochi giorni fa.  Nell’intervista al Corriere della Sera il responsabile economista della Lega si era già espresso sul dossier Bankitalia.

Oltre a definire la sua natura politica (“Euroscettico? Lo sono ancora, verso un certo modo di interpretare l’Europa), Bagnai aveva affermato che “molto si può fare, anche dal Parlamento. Per esempio la riforma della governance della Banca d’Italia”.

Come? Magari rendendola “meno autoreferenziale”, facendo in modo che si allinei “agli standard europei”. Ovvero? L’economista aveva fatto notare come il “nostro sistema somiglia solo a quello della Grecia, dove la selezione del direttorio viene fatta solo affidandosi a organismi interni”. E invece “nel ddl depositato in commissione si prevede una riforma sul modello della Bundesbank: la metà dei membri di nomina governativa e la metà eletta dal Parlamento“.

Da Reuters sono arrivate nelle ultime ore altre novità sulla proposta di legge presentata al Senato:

Nella relazione che accompagna la legge, precisa l’agenzia di stampa, è scritto che l’obiettivo “è evitare che attraverso l’indipendenza [della banca centrale] si possa esulare dal sistema di bilanciamento e controllo dei poteri tipico delle democrazie liberali”. L’articolo 1 della bozza prevede a tal scopo che le “modifiche dello statuto della Banca d’Italia siano approvate con legge del Parlamento, nel rispetto dell’indipendenza richiesta dalla normativa comunitaria. La legge attuale prevede invece che le modifiche siano deliberate dall’assemblea straordinaria dei partecipanti al capitale di Bankitalia. Oggi – viene ricordato – la nomina del governatore è disposta con decreto del presidente della Repubblica, su proposta del presidente del consiglio, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore di Bankitalia. Il consiglio superiore, su proposta del governatore, nomina il direttore generale e i tre vice direttori con un iter che richiede un passaggio a Palazzo Chigi”.

Così stanno le cose ora. La proposta Romeo-Patuanelli affida invece il potere di nomina al governo e al Parlamento:

Il governatore, il direttore generale e uno dei vice direttori generali sono nominati su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del consiglio dei ministri. Due vice direttori generali sono eletti, uno dalla Camera dei deputati e uno dal Senato della Repubblica, a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei presenti”.

E così, mentre è di attualità l’ingerenza di Donald Trump nella Federal Reserve,  come testimonia la carrellata di attacchi, rimproveri e critiche che il presidente Usa continua a rivolgere al numero uno Jerome Powell (tanto da valutare un piano per orchestrare anche la sua cacciata), mentre dunque si teme in tutto il mondo per l’indipendenza della banca centrale americana, in Italia torna alla ribalta il caso Bankitalia, esploso con il governo M5S-Lega.

In principio, Bagnai attaccò oro Bankitalia

In principio, si può dire, furono gli attacchi contro l’ oro presente nei forzieri di Palazzo Koch a far nascere il caso.

“L’oro non deve essere restituito allo Stato. L’oro è dello Stato!”. Così aveva detto all’inizio di aprile Alberto Bagnai, nel presentare al Senato la mozione M5S-Lega che chiedeva di definire la proprietà dell’oro di Bankitalia. Mozione – a prima firma Alberto Bagnai (Lega) e Laura Bottici (M5S) – che era passata con 141 sì, 83 no e 12 astenuti.

Evidente l’attacco contro Bankitalia, che aveva fatto il giro del mondo. Tanto che il WSJ aveva dedicato un articolo al caso: “Italy’s Populists Covet Central Bank and Its Gold. Blaming the institution for the woes of ordinary Italians, lawmakers pursue a takeover”. Ovvero “I populisti italiani bramano la Banca centrale e il suo oro. Accusando l’istituzione per i problemi degli italiani, i parlamentari pensano a un takeover“.

Veniva ripresa proprio la frase di Bagnai: “L’oro appartiene agli italiani, non ai banchieri”. Il WSJ ricordava anche che la banca centrale italiana ha più di $100 miliardi di oro, che “alcuni politici vogliono portare via”.

Precisazioni sull’intenzione italiana di sequestrare o meno l’oro di Bankitalia erano state rilasciate poi a Fol dall’economista della Lega e presidente della Commissione di bilancio della Camera Claudio Borghi, che aveva sottolineato che, in realtà, nessuno voleva toccare i lingotti di Palazzo Koch:

Diversi articoli avevano commentato però la mozione come una sorta di assalto a Fort Knox.

Mario Deaglio, professore ordinario di Economia internazionale nella facoltà di Economia dell’Università di Torino, in un’intervista rilasciata a Sussidiario.net aveva spiegato la questione dell’oro di Bankitalia, affermando come quei lingotti presenti nei forzieri di Bankitalia non potessero essere utilizzati per “quasi nulla”.

Alla domanda se l’oro non potesse essere utilizzato neanche per tagliare il debito pubblico, Deaglio aveva risposto: “Per saldare i debiti di bilancio no. Tutt’al più, come è già successo, può essere utilizzato come garanzia ultima di un prestito”.

Il professore aveva ricordato la genesi dell’oro di Bankitalia:

“Sono l’ultimo frutto del nostro miracolo economico, quando avevamo un surplus commerciale molto robusto. Già alla fine degli anni 50 e fino al 1971 l’oro era tutto in mano agli americani, custodito a Fort Knox, perché gli Stati Uniti, subito dopo la guerra, avevano prestato risorse e tutti i Paesi beneficiari avevano pagato in oro, vinti e vincitori. Ogni lingotto a Fort Knox aveva la sua targhetta con il nome del Paese a cui apparteneva. Dopo il 1971, una volta finito il regime del cambio fisso con il dollaro, gli Usa si sono impegnati a vendere, al prezzo di 35 dollari l’oncia, l’oro alle varie banche centrali e nel corso degli anni, lentamente, sulla spinta iniziale della Francia, noi abbiamo cominciato a riprenderci il nostro oro, riportandolo indietro, con navi apposite che avevano la stiva con il doppio fondo, così che in caso di naufragio l’oro non andasse perduto. Così da Fort Knox gran parte dell’oro è stato via via trasferito a Forte Boccea“.