Notizie Notizie Mondo I primi 100 giorni di Trump: il travolgente impatto Maga e la grande incertezza causata dai dazi

I primi 100 giorni di Trump: il travolgente impatto Maga e la grande incertezza causata dai dazi

29 Aprile 2025 15:30

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca prometteva la realizzazione di gran parte dei punti dell’agenda MAGA che non sono stati concretizzati durante il suo primo mandato. Facendo un bilancio dei primi 100 giorni di governo dell’ex tycoon è evidente come il suo impatto sia stato estremamente consequenziale, per certi versi rivoluzionario, ma la partita su quasi tutti i temi – dall’immigrazione, alla spesa publica, allo scacchiere geopolitico – sia ancora tutta da giocare, mentre la strategia commerciale basata sui dazi ha avvolto l’economia globale in una nube di incertezza.

La strategia: iperattivismo comunicativo e raffica di ordini esecutivi

Fin dal primo giorno di presidenza il cambio di passo rispetto alla presidenza Biden è stato clamorosamente evidente. Trump ha scelto di parlare a ruota libera con la stampa praticamente al margine di ogni sua apparizione, mentre il suo predecessore, in evidente declino cognitivo, incontrava la stampa in rare occasioni e mai senza uno script.

Lo strategia di Trump è stata quella di firmare una raffica di ‘executive orders’ – oltre 40 nelle prime due settimane – da temi quali immigrazione, scuole pubbliche, alla fecondazione in vitro, al fare dell’inglese lingua ufficiale al rinominare il Golfo del Messico in Golfo d’America – uno strumento che l’Articolo 2 della Costituzione americana conferisce al presidente per emanare direttive e  ordinare al governo di agire in un certo modo in tempi rapidi. Gli ordini esecutivi hanno effetto quasi immediato ma possono essere con la stessa rapidità bloccati da giudici, dallo stesso Congresso o da un futuro presidente: così fece Biden appena subentrato e lo stesso ha fatto Trump.

La realtà degli ordini esecutivi è che sono ‘scritti nella sabbia’ e non sono uno strumento di legge duraturo, specialmente in un contesto altamente polarizzato com’è quello americano contemporaneo. La sfida di Trump sarà quella di trasformarne un buon numero in legge, passando quindi attraverso il Congresso. Sarà una corsa contro il tempo perché il Presidente ha disposizione un solo mandato e il Congresso, oggi a maggioranza repubblicana, si rinnoverà con le elezioni di mid-term nel 2027. Non va dimenticato anche come Trump non goda del supporto incondizionato di buona parte dell’establishment repubblicano.

La grande incertezza sull’economia può vanificare il capitale di Trump coi suoi elettori

Secondo un sondaggio di Cnn Trump il tasso di approvazione di Trump dopo i primi 100 giorni è appena del 41%, il più basso in 70 anni. La visione è tuttavia estremamente polarizzata: l’86% dei repubblicani lo approva, contro un 93% di democratici che disapprova. Tuttavia tra gli indipendenti la popolarità di Trump è al 31%.

Questi dati, come ha rilevato il New York Times, sono in caduta libera a partire dallo scorso due aprile, il cosiddetto Liberation Day, in cui Trump ha annunciato la sua politica di dazi globale con la quale ambisce a rivedere completamente il contesto della globalizzazione in essere negli ultimi 25 anni.

Da allora gli eventi hanno preso una piega di incertezza e imprevedibilità senza precedenti: mercati azionari crollati per poi riprendersi il giorno successivo in base a dichiarazioni di Trump o del suo segretario al Tesoro Scott Bessent, per poi crollare di nuovo a fronte di una dichiarazione improvvisa di Trump. Così a ripetizione, in un botta e risposta in particolare con la Cina, il vero obbiettivo di Trump. La situazione attuale è che gli Stati Unit applicano dazi all’import cinese del 145%, mentre la Cina ha risposto con dazi al 125% sui beni americani, di fatto un reciproco embargo. L’impressione è quella che la situazione possa sfuggire di mando da un momento all’altro anche se segnali di de-escalation da Washington continuano ad arrivare.

Una serie di dazi verso l’Unione Europea e altri paesi sono stati per esempio rimandati di 90 giorni, nel tentativo di trovare accordi, con la famosa “art of the deal” di Trump. Ma le posizioni della Casa Bianca appaiono ogni giorno più contradditorie. Per esempio in un’intervista a Time la settimana scorsa Trump ha affermato di “aver fatto 200 accordi” commerciali, mentre due giorni dopo ha detto ai giornalisti che sarebbe “fisicamente impossibile” negoziare quei patti prima di luglio.

L’obbiettivo delle politiche di dazi di Trump sarebbe quello di rivitalizzare il settore manifatturiero americano, scomparso in varie parti del paese dallo spostamento off-shore della produzione. Per questo ha spesso invitato le aziende a produrre in America per evitare i dazi. La decisione di Nvidia di produrre per la prima volta negli Stati Uniti alcuni suoi chip per supercomputer è stata accolta come una vittoria dall’amministrazione Trump.

Recentemente Trump ha anche riproposto l’idea che i dazi possano portare anche nel breve termine una decurtazione, se non all’abolizione per certe fasce di reddito, delle tasse federali, soprattutto per i redditi inferiori ai 200.000 dollari, battezzando la cosa come “external revenue service” (in contrasto con l’Internal Revenue Service, l’ente responsabile per le entrate fiscali in America).

Gli attacchi alla Fed e Jerome Powell mettono in discussione l’indipendenza

Trump ha attaccato più volte anche il presidente della Federal Reserve Jerome Powell, a sua avviso “troppo lento” nel sostenere l’economia abbassando i tassi di interesse.

Trump lo ha apostrofato in maniera irrispettosa, chiamandolo “Mr. Too Late” (signor Troppo Tardi)  e ha più volte espresso senza mezzi termini il desiderio di cacciarlo prima della fine del suo mandato alla guida della banca centrale americana, fra poco più di un anno.

Non è chiaro se Trump abbia il potere di farlo ma è certo che anche questo atteggiamento mira rimettere in discussione decenni di prassi, in cui la politica monetaria perseguita dalla Fed è stata considerata indipendente dalla politica. Un suo “successo” in questa direzione potrebbe avere conseguenze globali e cambiare anche in altre parti del mondo la percezione del ruolo degli istituti centrali.

La politica estera: su Medio Oriente continuità con Biden, conflitto Ucraina-Russia ben lontano dal risolversi

Per quanto riguarda la politica estera, anche in quel caso le promesse di rapide soluzioni sono andate disattese.

Sul conflitto Russo-Ucraino il Presidente aveva promesso una soluzione “nelle prime 24 ore”, ma è evidente come abbia faticato per trovare una strategia coerente per convincere Putin e Zelensky a trovare un accordo. In diverse occasioni è apparso particolarmente duro con il presidente ucraino, in particolare nel noto incontro alla Casa Bianca con anche il vice presidente J. D. Vance, e, contrariamente all’era Biden, ha ristabilito contatti diplomatici con Mosca. Tuttavia gli Stati Uniti continuano ad essere parte attiva nel conflitto e il sostegno militare e di intelligence a Kiev non è venuto a mancare.

Nei rapporti con i partner europei e con la Nato è apparso mettere in dubbio l’impegno futuro americano nel continente e ha chiesto molto più impegno da parte dei paesi europei. Tutto questo ha creato scetticismo in Europa nei confronti di Washington e ha spinto alcuni paesi, in particolare la Germania, a programmare ingenti spese di riarmo.

Per quanto riguarda il conflitto in Medio Oriente tra Hamas e Israele, dopo aver ottenuto un cessate il fuoco in concomitanza con il suo insediamento a fine gennaio, i bombardamenti nella striscia di Gaza sono ripresi a pieno ritmo e la posizione dell’amministrazione Trump è sostanzialmente in linea con quella di Biden, ossia di pieno e incondizionato sostegno a Israele. In febbraio aveva parlato di un piano secondo cui gli Stati Uniti avrebbero preso il controllo della striscia di Gaza e vari paesi medio orientali si sarebbero impegnati a ricostruirla, mentre gran parte della popolazione palestinese sarebbe stata spostata in altri paesi, suscitando enormi opposizioni. Come tante altre affermazioni di Trump è sembrata una “boutade” non troppo meditata a cui non è stato dato seguito.

In una vena simile si potrebbero inquadrare le affermazioni sul Canada “51esimo stato” e su una possibile acquisizione statunitense della Groenlandia.