Notizie Notizie Mondo Banche Centrali Tassi Giappone e quell’alert Bce su BTP ed euro. Che succede ora con svolta Bank of Japan

Tassi Giappone e quell’alert Bce su BTP ed euro. Che succede ora con svolta Bank of Japan

19 Marzo 2024 12:35

E’ passato quasi un anno da quando la Bce di Christine Lagarde ha lanciato un attenti sugli effetti che un rialzo dei tassi in Giappone da parte della Bank of Japan avrebbe finito con l’avere sui BTP e sui titoli di stato dell’area euro.

L’alert era stato lanciato nel giugno del 2023, quando era ancora lontano quel rialzo dei tassi, annunciato oggi dalla banca centrale, che avrebbe sancito la fine dell’era dei tassi negativi.

L’alert tassi sul Giappone scattato un anno fa

Già allora la Bce scattava sull’attenti, sebbene la BoJ, capitanata dal governatore Kazuo Ueda, continuasse a confermarsi mosca bianca tra le banche centrali delle economie più importanti al mondo:

mentre queste ultime continuavano ad alzare i tassi nell’ambito di un ciclo di strette monetarie che era partito nel 2022, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, al fine di sfiammare l’impennata dell’inflazione, la Banca centrale del Giappone non toccava né il suo programma di acquisti di bond, né tanto meno i tassi negativi, che rimanevano inchiodati al -0,1%.

Proprio questi rendimenti sotto lo zero made in Japan avevano portato negli ultimi anni fondi e investitori giapponesi a puntare sui titoli di stato emessi da paesi esteri.

Il Giappone, come riportava il Financial Times in un grafico, deteneva di fatto una larga fetta di bond sovrani dell’Eurozona.

La domanda era d’obbligo: cosa sarebbe successo nel momento in cui la Bank of Japan avesse iniziato anch’essa ad alzare i tassi di interesse?

La risposta che veniva data era semplice: i rendimenti dei titoli di stato del Giappone sarebbero diventati più appetibili e gli investitori istituzionali giapponesi, tutti protesi a scommettere sul mercato del reddito fisso straniero, avrebbero potuto decidere di smobilizzare quei bond sovrani tenuti in portafoglio, BTP compresi, per iniziare a puntare sui bond di casa, ergo sui titoli di stato emessi da Tokyo.

Oggi, martedì 19 marzo 2024, parte di quei ‘se’ sono diventati realtà.

La Bank of Japan guidata dal governatore Kazuo Ueda ha staccato infatti la spina all’era dei tassi negativi, decretando la fine di quella politica monetaria straordinariamente espansiva che l’ha caratterizzata, almeno per quanto riguarda i tassi sotto lo zero, per ben otto anni, per la precisione dal 2016.

La BoJ ha alzato i tassi di interesse per la prima volta dal 2007, dal -0,1% a cui erano rimasti inchiodati negli ultimi otto anni, al range compreso tra lo zero e lo 0,1%.

Impossibile non ricordare in questo contesto quell’attenti che era stato lanciato dalla Bce di Christine Lagarde e anche da alcuni analisti.

Alert Bank of Japan, la Bce teme terremoto in mercato bond euro

A $3 trillion threat to global financial markets looms in Japan”: così scriveva un articolo di Bloomberg ripreso dal Japan Times del 1° aprile del 2023, calcolando il danno che la Bank of Japan avrebbe inferto ai titoli di stato dell’area euro:

un danno grande, al punto che la Bce aveva avvertito del rischio che il cambiamento eventuale della politica monetaria del Giappone scatenasse un “terremoto nel mercato dei bond dell’Eurozona”.

Non solo, visto che a essere minacciato sarebbe stato in generale il mercato dei bond sovrani di tutto il mondo, con una perdita calcolata nella cifra monstre di 3 trilioni di dollari.

L’articolo faceva il punto della situazione, ricordando come la Bank of Japan, con la sua politica monetaria ultra dovish, avesse acquistato titoli di stato giapponesi per un valore di ¥465 trilioni ($3,55 trilioni, considerando il rapporto di cambio) da quando  l’ultimo samurai dovish della Bank of Japan, l’ex governatore Haruhiko Kuroda, aveva lanciato il piano imponente di Quantitative easing, dieci anni fa circa.

I dati presentati dall’articolo erano quelli ufficiali che erano stati diffusi dalla stessa banca centrale del Giappone.

In quel modo, lanciandosi nello shopping sfrenato dei titoli di stato made in Japan (JGB) con l’ambizioso piano QE, la BoJ aveva finito ovviamente per deprimere i rendimenti, provocando, scriveva Bloomberg, “distorsioni senza precedenti sul mercato del debito sovrano”.

Veniva riportato che a quel punto gli investitori istituzionali giapponesi privati, compagnie di assicurazione e fondi, avevano proceduto nello stesso arco temporale a vendere titoli di stato giapponesi per un valore di 206 trilioni di yen, per fare cassa e andare a caccia di rendimenti più appetibili, presenti all’estero, che bond come BTP, Bund, Treasuries, e altri sovrani assicuravano, sulla scia di quei rialzi dei tassi varati dalle banche centrali del mondo, come dalla Fed di Jerome Powell  e dalla Bce di Christine Lagarde.

Lo shopping era stato così significativo che gli investitori giapponesi erano diventati i principali detentori di Treasuries Usa al di fuori degli Stati Uniti, possedendo contestualmente il 10% circa del debito australiano e dei bond olandesi.

Stando ai dati di Bloomberg, i buy sui titoli di stato del Brasile avevano portato gli investitori giapponesi a detenere anche il 7% del debito brasiliano.

Quei dati, sommati all’esposizione degli investitori verso il mercato dell’Eurozona nel complesso, indicavano quanto il mercato globale dei bond sovrani dipendesse dal Giappone, facendo scattare sull’attenti anche la Bce di Christine Lagarde.

Tassi, Bce: attenti al rischio sui carry trade

Una veloce riduzione dei differenziali dei tassi e un aumento della volatilità dei tassi di cambio potrebbero ridurre l’appetibilità dei carry trade (finanziati dallo yen)”, scriveva la Bce, elencando le minacce rappresentate dal Giappone.

Per carry trade si intende quella strategia con cui ci si indebita in yen per puntare su valute che presentano rendimenti più alti, guadagnando così un profitto grazie al differenziale tra i tassi.

Tra l’altro, poco prima dell’alert della Bce un articolo di Bloomberg aveva messo in evidenza come proprio lo yen stesse riguadagnando la posizione storica di valuta più appetibile per finanziare le operazioni di carry trade, dopo mesi in cui questa strategia si era inceppata, sulla scia delle speculazioni su una Bank of Japan destinata a mollare l’impostazione dovish della sua politica monetaria, a causa del rialzo dell’inflazione.

Bce: Giappone molto presente in mercati europei dei bond

La Bce aveva manifestato tutte le sue preoccupazioni nel Rapporto sulla Stabilità Finanziaria che pubblica due volte all’anno.

Nell’edizione pubblicata all’inizio del 2023 – in cui tra gli alert comparivano anche quelli sulle crepe sempre più evidenti nel mercato immobiliare del blocco – la Bce parlava anche della minaccia rappresentata dal Giappone.

Un allontamento da un contesto di bassi tassi di interesse, in Giappone, potrebbe mettere alla prova la resilienza dei mercati globali dei bond”, si leggeva nel rapporto.

La normalizzazione della politica monetaria del Giappone, si leggeva ancora, “potrebbe influenzare le decisioni degli investitori giapponesi, la cui presenza sui mercati finanziari globali, mercati dei bond dell’area euro inclusi, è rilevante”.

Tra l’altro le brutte notizie per i BTP e gli altri titoli di stato dell’euro non finivano qui, dal momento che un articolo di Bloomberg faceva notare che la fuga degli investitori giapponesi dai debiti sovrani dell’area euro era già ai livelli massimi della storia.

Inoltre, sebbene i fondi giapponesi si fossero confermati dall’inizio del 2023 acquirenti netti dei titoli di stato dell’Eurozona, gli acquisti, nel primo trimestre del 2023, erano stati pari ad appena 81 miliardi di yen, valore minimo degli ultimi sei anni.

La BoJ è un’ancora per i tassi globali e un aumento dei costi di finanziamento si tradurrebbe in rischi al ribasso per i prezzi dei bond di tutto il mondo”, confermava a Bloomberg Tsuyoshi Ueno, economista senior presso il NLI Research Institute di Tokyo,  definendo allo stesso tempo il messaggio della Bce “un caso molto raro, che vede una banca centrale esprimere preoccupazioni riguardo alla normalizzazione della politica della BoJ”.

Ma la Bce di Lagarde non riusciva a nascondere i propri timori e, nel lanciare un alert sulle conseguenze che un aumento dei tassi di interesse in Giappone avrebbe potuto avere sui carry trade, rimarcava che tassi più alti in Giappone avrebbero potuto portare gli investitori che avevano puntato sugli asset esteri a rimpatriare i loro fondi per convogliarli in asset giapponesi.

Con l’ovvia conseguenza che, nel caso in cui gli smobilizzi dei bond dell’area euro fossero stati importanti e bruschi, il valore degli stessi avrebbe finito per crollare.

“Dinamiche del genere potrebbero essere amplificate dall’aumento dell’offerta netta di questi bond dovuto al Quantitative Tightening della Bce”, si leggeva nel rapporto sulla Stabilità Finanziaria dell’Eurotower.

Il riferimento era alla mossa con cui la Bce di Christine Lagarde, nella sua lotta all’inflazione, si apprestava a staccare la spina del QE (Quantitative easing), che aveva sorretto il valore dei BTP e dei titoli di stato dell’area euro per un decennio circa, lanciando il piano diametralmente opposto, ovvero il QT-Quantitative Tightening.

Cosa succede ora, con svolta storica tassi in Giappone

Della questione si è tornato a parlare in questi giorni, in attesa della svolta storica della Bank of Japan, che alla fine c’è stata, come conferma la carrellata di annunci arrivata oggi dal Giappone.

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La buona notizia è che l’analisi di Reuters “The BOJ won’t sway Japan’s trillions of investment abroad ” ha per ora rassicurato i mercati su quelle che potrebbero essere le conseguenze di una eventuale decisione degli investitori giapponesi di riportare a casa quelle scommesse che hanno fatto all’estero, in particolare nei mercati dei titoli di stato, puntando sui BTP, nel caso dell’Italia, sui Bund, nel caso della Germania, etc.

A differenza dell’allarme lanciato dalla Bce, l’analisi ha sottolineato che la Bank of Japan dovrebbe fare molto di più di quanto fatto oggi – per quanto l’annuncio di Kazuo Ueda & Co. abbia sancito la fine di un’era – prima di convincere gli investitori giapponesi a smantellare gli investimenti lanciati a partire dal 2016 sui bond di tutto il mondo.

E questo perchè il rialzo dei tassi annunciato dalla BoJ di Kazuo Ueda, per quanto confermi una mossa storica, ha portato i tassi in Giappone a salire dal -0,10% a un range che è compreso tra lo zero e lo 0,1%:

valori attorno o appena superiori allo zero, che certo non provocheranno nessuna grande fuga made in Japan dai BTP & Co.

Reuters calcola al momento in 2,4 trilioni di dollari i titoli di stato stranieri presenti nei portafogli di compagnie assicurative, fondi pensione e altre istituzioni del Giappone.

Si tratta di bond che garantiscono tutti rendimenti fino al 5%, dunque ritorni a dir poco ghiotti, che di certo non temono la concorrenza dei titoli di stato giapponesi, anche in caso di eventuali altre strette monetarie da parte della Bank of Japan.

E’ vero che dai dati ufficiali emerge che gli investitori istituzionali giapponesi come Japan Post Bank e la banca cooperativa Norinchukin Bank hanno in realtà ridotto le partecipazioni detenute in debiti stranieri a partire dal 2022.

Tuttavia lo strategist di Nomura Jin Moteki ha detto di ritenere che, a suo avviso, il vero e proprio rimpatrio di yen parcheggiati all’estero inizierà soltanto quando i titoli di stato giapponesi presenteranno rendimenti che saranno almeno in grado di competere con quelli degli altri asset stranieri.

Moteki stima nello specifico che un vero rimpatrio potrà manifestarsi  soltanto quando i titoli di stato JGB a 20 anni renderanno il 2%, qualcosa che richiederà un aumento di 50 punti base dei tassi dei bond sovrani a più lungo termine del Giappone.

Insomma, per ora i BTP e altri titoli di stato esteri di cui il Giappone ha fatto incetta possono dormire sonni tranquilli.