Notizie Notizie Mondo Banche Centrali Fed: tassi fermi, ma Powell stronca speranze tagli. L’inflazione Usa fa ancora paura

Fed: tassi fermi, ma Powell stronca speranze tagli. L’inflazione Usa fa ancora paura

1 Febbraio 2024 10:04

Prima la Fed , con il comunicato con cui spiega l’annuncio relativo alle decisioni di politica monetaria adottate, poi lo stesso presidente Jerome Powell, affossano le speranze e le scommesse dei trader su un taglio dei tassi Usa nella riunione di marzo.

Niente da fare: anche la Banca centrale americana, così come la Bce di Christine Lagarde, crede di dover attendere ancora del tempo, prima di sotterrare l’ascia di guerra brandita per due anni nella sua battaglia contro l’inflazione.

I tassi sui fed funds, come da attese, vengono confermati al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%: nessuna sorpresa su questo fronte, visto che i mercati avevano previsto un nulla di fatto per il primo atto del 2024. Il punto è quanto accadrà dopo.

La Fed di Powell ferma le colombe, sell off a Wall Street

Wall Street non ha gradito quanto emerso dal primo atto del 2024 della Fed. I sell che si sono subito abbattuti contro gli indici azionari Usa hanno portato il Dow Jones Industrial Average a scivolare di 317 punti, -0,8%, riportando la sessione peggiore dal mese di dicembre.

Lo S&P 500 ha perso l’ 1,6%, archiviando la seduta peggiore da settembre, mentre il Nasdaq Composite ha lasciato sul terreno il 2,2%, concludendo la seduta peggiore da ottobre.

C’è stato, di fatto, poco da brindare alle parole che il presidente della Fed Jerome Powell, ha proferito nella conferenza stampa successiva all’annuncio sui tassi.

“Sulla base del meeting di oggi, vi dico che non credo che sia probabile che la Commissione raggiunga entro marzo un livello di fiducia tale da individuare in quel mese il momento adatto per agire in tal senso. Ma vedremo”, ha detto Powell, riferendosi alla possibilità che i tassi Usa vengano tagliati nel mese di marzo.

Il motivo di tanta riluttanza a tagliare i tassi è che Powell non se la sente proprio di cantare vittoria contro la crescita dell’inflazione Usa.

Non stiamo cantando affatto vittoria”, ha detto infatti il timoniere della Fed, enfatizzando il bisogno di assistere all’arrivo di “più” dati che possano confermare la presenza di un trend al ribasso delle pressioni inflazionistiche che sia prima di tutto sostenibile.

Il punto, infatti, è lo stesso che sta orientando le scelte della Bce di Christine Lagarde, che tuttavia secondo molti economisti non ha dalla sua parte un quadro economico tale da perorare la sua causa, visto che l’economia dell’area euro è sull’orlo della recessione:

il calo dell’inflazione, di per sè, non basta per poter dichiarare conclusa la battaglia contro la fiammata dei prezzi. E’ necessario che il dietrofront delle pressioni inflazionistiche sia anche sostenibile.

Il dilemma per la Fed è, inoltre, più arduo, visto che la forza del Pil Usa non rende necessario un intervento immediato, da parte di Powell & Co, volto a lanciare un salvagente all’economia.

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Il comunicato della Fed: il punto su Pil e inflazione Usa

E’ tutto inciso nel comunicato della Fed, arrivato puntuale alle 20 ora italiana (14 ora di New York):

“Gli ultimi indicatori suggeriscono che l’attività economica sta continuando a espandersi a un ritmo solido. La crescita dei posti di lavoro ha moderato il passo rispetto all’inizio dello scorso anno, ma rimane forte, e il tasso di disoccupazione è rimasto basso”.

Confermata la solidità del Pil e dell’occupazione Usa, il comunicato affronta il nodo dell’inflazione:

“L’inflazione è rallentata nel corso dell’ultimo anno, ma rimane elevata”, si legge nella nota ufficiale della Federal Reserve.

Nel ricordare che “la Commissione (ovvero il Fomc, il braccio di politica monetaria della Fed) si prepone l’obiettivo di raggiungere una condizione di occupazione massima e di inflazione al tasso del 2% nel corso del più lungo termine”, la Fed afferma di “ritenere che i rischi che incombono sul raggiungimento di tali obiettivi stiano diventando più bilanciati”.

Detto questo, “l’outlook sull’economia è incerto, e la Commissione rimane altamente vigile verso i rischi di inflazione”.

Di conseguenza, al fine di centrare questi obiettivi, “la Commissione ha deciso di confermare i tassi al range compreso tra il 5,25% e il 5,5%” mentre per il futuro, nel considerare l’eventualità di apportare “qualsiasi aggiustamento” ai tassi, si legge, “la Commissione valuterà attentamente i dati in arrivo, l’evoluzione dell’outlook e il bilanciamento dei rischi”.

La frase chiave è questa:

il Fomc non ritiene “che sia appropriato ridurre il target range fino a quando non avrà acquisito maggior fiducia nel fatto che l’inflazione si stia muovendo in modo sostenibile verso il 2%”.

Insomma, se per la Bce di Lagarde è “prematuro” perfino aprire un dibattito su quando i tassi dell’area euro dovrebbero essere tagliati, per la Fed di Jerome Powell è troppo presto scommettere su una riduzione dei tassi Usa già nel mese di marzo.

Un brusco risveglio per i mercati che, va però ricordato, avevano ricevuto più di un attenti riguardo alla possibilità che stessero correndo troppo con le loro scommesse sui tagli.

Liz Young, responsabile della divisione di strategia di investimenti presso SoFi, ha così commentato nel corso della trasmissione della CNBC “Closing Bell”:

“Credo che oggi Powell ci abbia detto che i mercati hanno continuato in tutto questo periodo a fare orecchie da mercante, così come credo che sia stato piuttosto chiaro fin dall’inizio di questo ciclo di rialzo dei tassi, che la Fed sceglierebbe di mantenere tassi a un livello anche troppo elevate e per un periodo anche troppo lungo, piuttosto che tagliare troppo presto“.

E su questo punto, ha fatto notare Young, “il tono non è cambiato”.

Piuttosto, “sono stati i mercati a cercare di fare pressioni perchè (Powell) optasse per una posizione diversa. E oggi lui ha detto: ‘Con me i bulli non li fate. Siamo noi a decidere”.