Def: deficit al 2,4%. Vittoria politica per Di Maio-Salvini e disfatta Tria. La parola ora a spread e Ue
Cantare vittoria è ancora troppo presto, visto che non c’è dubbio che Bruxelles e tutto il suo nutrito team di falchi dei conti pubblici, Pierre Moscovici in primis, stiano già stilando la loro lunga lista di rimproveri e moniti. Ma, per ora, una cosa è certa: il governo M5S-Lega è riuscito a piegare la volontà del ministro dell’economia Giovanni Tria e ad avere la meglio, gettando le basi di quella che il vicepremier Luigi Di Maio ha battezzato già la manovra del popolo.
I quotidiani italiani certificano tutti la disfatta di Tria. Che, a dispetto del discorso proferito qualche giorno fa sul giuramento che ha fatto quando è diventato titolare del Tesoro, ha dovuto chinare il capo di fronte alle richieste di Di Maio e Salvini.
Risultato: il target sul deficit-Pil è stato fissato al 2,4%. Altro che asticella dell’1,6% voluta da Tria, che pur era disposto ad arrivare fino all’1,9% (l’importante era che non si arrivasse al 2%). E altro che “un valore ben al di sotto del 2%” che due giorni fa il Commissario Ue agli Affari economici e monetari, Moscovici per l’appunto, aveva definito essenziale per garantire la discesa del deficit strutturale dell’Italia (snobbando il caso della Francia, che si appresta a fare un deficit-Pil al 2,8%).
Di Maio e Salvini non hanno voluto sentire ragioni. Certo, Tria sarà rimasto arroccato nella sua posizione di guardiano dei conti per parecchio tempo, visto che le trattative sono durate ben 12 ore. E sicuramente il ministro, come era emerso tra l’altro già dai rumor circolati ieri, avrà pensato più volte di rassegnare le dimissioni. Ma alla fine sarebbe arrivata secondo indiscrezioni stampa una telefonata dal Quirinale, che avrebbe convinto l’economista a restare.
Lui stesso, stando a quanto riporta La Repubblica oggi, ha detto che rimarrà per patriottismo, per evitare che l’Italia cada nelle fauci della speculazione, e che si eviti una tempesta finanziaria che potrebbe gettare il paese nel caos.
Sicuramente, se sempre La Repubblica parla di “Caporetto di Tria, aggiungendo che “i gialloverdi hanno scippato a Tria 27 miliardi in più di deficit”, a cantare vittoria sono stati i due vicepremier.
Luigi Di Maio, che fino a qualche settimana fa sembrava essere stato messo all’angolo con quel suo reddito di cittadinanza sicuramente non amato neanche da Salvini, non ha fatto nulla per trattenere l’entusiasmo per il traguardo raggiunto, per quella che il governo ora definisce “Manovra del popolo”.
“RAGAZZI! – ha scritto in un post su Facebook – Oggi è un giorno storico! Oggi è cambiata l’Italia! Abbiamo portato a casa la Manovra del Popolo che per la prima volta nella storia di questo Paese cancella la povertà grazie al Reddito di Cittadinanza, per il quale ci sono 10 miliardi, e rilancia il mercato del lavoro anche attraverso la riforma dei centri per l’impiego. Restituiamo finalmente un futuro a 6 milioni e mezzo di persone che fino ad oggi hanno vissuto in condizione di povertà e che fino ad oggi sono stati sempre completamente ignorati”.
Così La Stampa parla della cocente sconfitta di Tria, riconoscendo il trionfo politico soprattutto del leader del M5S.
“A cavallo di slogan studiatissimi, Luigi Di Maio compie l’azzardo perfetto a cui nessuno, tra gli analisti economici e i conoscitori del Tesoro e di cose europee, ha mai creduto. Sulla nota di aggiornamento al Def ci sarà scritta la cifra della vertigine: 2,4% per tre anni. La prima manovra della rivoluzione sovranista, l’autobattezzata Manovra del Popolo, esplode nel cuore della vecchia Unione con un deficit mai visto. Non l’1,6 per cento iniziale e nemmeno l’1,9, l’ultima inutile trincea di Giovanni Tria”.
E Il Sole 24 Ore, nel suo articolo “Manovra, accordo al 2,4% e Tria resta”, snocciola i numeri della manovra che sarà presentata a metà ottobre”, destinata a gonfiarsi oltre i 30 miliardi, con 17 per pensioni e redditi e più di 20 miliardi attesi dalla flessibilità.
Esattamente: “10 miliardi al reddito di cittadinanza, 7 miliardi per i fondi per quota 100 e per rottamare la riforma Fornero, 12,4 miliardi per le clausole di salvaguardia ed evitare l’aumento dell’Iva, 2,5 miliardi per le spese indifferibili”.
Ma se la vittoria politica è innegabile, la strada è ancora in salita. E’ ancora in salita sia per il giudizio dei mercati, dunque per la reazione dello spread che stamattina è già schizzato fino a 256 punti base con il rendimento del decennale italiano balzato oltre il 3 per cento (3,06%), sia per per il rischio che l’Ue finisca con il bocciare la bozza della legge di bilancio che sarà presentata entro la metà di ottobre.
Il Wall Street Journal parla già di un governo antiestablishement che si è messo in rotta di collisione con l’Ue. E sono dolori se si pensa che è in arrivo la nota di Moody’s. Che, a questo punto, sarà tutto fuorché clemente. Tanto che oggi le vendite colpiscono in toto gli asset italiani: non solo BTP preda dei sell. Anche Piazza Affari, con l’indice Ftse Mib che arretra di oltre -2%, scivolando a ridosso di quota 21mila punti.