Carige: la piccola azionista vince contro la Bce. Tribunale Ue annulla decisione: ‘amministrazione controllata fu un errore’
Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta da allora, e anche parecchia: Carige è entrata a far parte ufficialmente della galassia Bper: ma il passato travagliato, sebbene alle sue spalle, c’è stato. E oggi è arrivata la notizia shock: il Tribunale Ue del Lussemburgo ha sancito la vittoria della piccola azionista Francesca Corneli contro la Bce. Sancendo così una sorta di vittoria di Davide contro Golìa.
La Corte ha di fatto annullato la decisione della Bce che ha posto Banca Carige in amministrazione straordinaria. A comunicarlo è stato lo stesso tribunale, che ha spiegato di ritenere che la Bce sia “incorsa in un errore di diritto nella determinazione della base giuridica utilizzata per adottare le decisioni impugnate”.
La notizia della causa lanciata dalla piccola azionista di Carige Francesca Corneli era stata diffusa nel luglio del 2019.
Francesca Corneli aveva presentato al Tribunale dell’Unione Europea due ricorsi contro la Bce. Obiettivo, con il primo ricorso: “avere copia del provvedimento con il quale è stata disposta l’amministrazione straordinaria di Banca Carige” per chiederne poi, con il secondo ricorso, l’annullamento.
Sentenza storica: piccola azionista Carige sconfigge la Bce
Così si leggeva nella nota diramata dalla piccola azionista, consulente legale e già vicepresidente di Asati (l’associazione dei piccoli azionisti di Telecom Italia).
Al momento del ricorso Corneli aveva 200mila azioni Carige, pari in quel momento allo 0,000361% del capitale sociale della Banca ligure.
“Dal 2 gennaio, Banca Carige è in amministrazione straordinaria: un provvedimento fortemente pregiudizievole di diversi diritti societari e patrimoniali dei suoi azionisti. Il 5 gennaio, tre giorni dopo il commissariamento, chiedevo anzitutto alla BCE, ma anche alle altre istituzioni coinvolte (Banca Carige, Banca d’Italia, Conservatore del Registro delle imprese), di avere copia del provvedimento. Solo in data 2 maggio è stato depositato dai Commissari, in Camera di Commercio, il provvedimento: undici pagine, delle quali dieci di omissis. Ugualmente per il provvedimento di proroga per una durata doppia rispetto a quella iniziale”.
La nota dell’azionista continuava, aggiungendo come la Bce avesse negato l’accesso al documento:
“Solo in data 29 maggio, la Bce mi negava, definitivamente, l’accesso al documento, richiamandosi a un generale principio di riservatezza su tutte le attività di vigilanza, affermando: ‘La BCE ha l’obbligo di rendere conto del proprio operato principalmente al Parlamento europeo […] e di riferire regolarmente anche al Consiglio dell’Unione”.
Nella nota con cui comunicava la sua decisione di far ricorso, Francesca Corneli ricordava che l’azionariato di Carige era caratterizzato da una componente retail pari al 30% del capitale e aggiungeva di aver informato della sua iniziativa anche altri piccoli azionisti e ai soci rilevanti, a cominciare da Malacalza Investimenti, – azionista di maggioranza di Banca Carige con una quota del 27,8% del capitale – sperando nel loro sostegno o anche nella costituzione in giudizio.
La sentenza del Tribunale Ue contro decisione Bce su Carige
Oggi, a tre anni di distanza dalla presentazione del ricorso, è arrivata la sentenza del Tribunale Ue.
Prima di deliberare la ricapitalizzazione, ricorda la sentenza il cui contenuto è stato riportato dall’Ansa, i soci di maggioranza di Carige “desideravano che fossero loro comunicati, da un lato, il piano industriale e, dall’altro, il bilancio di esercizio della Banca del 2018”.
Secondo l’interpretazione del Tribunale, “le norme poste a base delle decisioni non prevedono lo scioglimento degli organi di amministrazione o di controllo delle banche e l’istituzione di un’amministrazione straordinaria, nel caso in cui il ‘deterioramento della situazione della banca o del gruppo bancario [sarebbe] particolarmente significativo'”.
Sia che la Bce e la Commissione europea avrebbero ritenuto che, nel caso specifico, la Bce dovesse applicare, oltre al diritto nazionale, anche il diritto dell’Unione europea: cosa che avrebbe fatto nel caso concreto di Carige applicando la disposizione della direttiva 2059/14, che prevede l’amministrazione straordinaria in caso di deterioramento significativo della situazione dell’ente considerato.
Tuttavia il Tribunale respinge la posizione della Bce e della Commissione sostenendo che, quando il diritto nazionale recepisce una direttiva – così come è avvenuto per l’art. 70 del testo unico bancario – è il diritto nazionale a dover essere applicato.
La Bce avrà ora due mesi e dieci giorni per impugnare la sentenza, dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea.
La storia di Carige è a dir poco travagliata: la banca di Genova, non per niente, è stata in passato definita anche l’altra Mps.
La nuova Carige è nata ufficialmente alla fine di gennaio del 2021, dopo essere stata posta in amministrazione straordinaria all’inizio del 2019, pagando il suo no all’aumento di capitale da 400 milioni che la Banca centrale europea aveva ordinato.
La Consob aveva indetto negli stessi giorni una riunione di emergenza disponendo la sospensione del titolo Carige da Piazza Affari.
La banca sarebbe stata salvata successivamente dall’Fitd (Fondo interbancario di tutela dei depositi) e da Cassa Centrale Banca. Il 25 luglio, scadeva di fatto il tempo concesso a Carige dalla Bce per la definizione di un piano per il suo salvataggio. Alla fine di dicembre del 2019, si era parlato dell’opzione il cui esercizio avrebbe permesso a Cassa Centrale Banca di acquistare tutte le azioni del Fondo e di salire nel capitale di Carige fino al 91%.
Non se ne sarebbe fatto più niente, e Carige dopo gli anni di risanamento ordinati dalla Bce, si sarebbe ripresentata al mercato nelle vesti di nuova pedina del risiko bancario made in Italy: l’altra Mps italiana, ma decisamente più appetibile. (Dal 2013 al 2021, Carige era stata interessata da quattro aumenti di capitale, tre cambi di proprietà, 5 amministratori delegati, tre commissari).
In quanto fondo finanziato dagli istituti di credito, l’Fitd non avrebbe potuto essere, di fatto, un investitore di lungo periodo della banca; in base ai termini dell’accordo con cui aveva salvato Carige, il fondo avrebbe dovuto infatti sbarazzarsi della propria quota. La vera svolta sarebbe arrivata con l’ acquisizione di Bper del 79,418% di Carige da Fitd e dallo schema volontario di intervento.
La fine dell’Odissea di Carige è arrivata pochi giorni fa, con la Banca Centrale Europea ha autorizzato la fusione per incorporazione di Banca Carige e Banca del Monte di Lucca in BPER banca.