Bce e tassi: con inflazione core suona l’allarme 4%
Bce, tassi BTP e inflazione: cosa sta succedendo
L’inflazione dell’area euro rallenta, ma rimane ostinatamente alta, e a spaventare sempre di più è l’inflazione core, su cui la Bce di Christine Lagarde sta spostando sempre di più l’attenzione.
Tutto questo mentre, in questa settimana che si avvia alla conclusione, i trader hanno scommesso per la prima volta su un tasso terminale (finale) dell’Eurozona pari al 4%.
Nella giornata di ieri, in realtà, a seguito della pubblicazione dei dati relativi all’inflazione dell’Eurozona (e dell’inflazione in Italia), i tassi dei BTP e di altri debiti sovrani dell’area euro sono scesi dai massimi testati alla vigilia.
In particolare i tassi dei Bund tedeschi a 10 anni, stando ai dati di Reuters, sono tornati al 2,715% dopo essere balzati al record dal luglio del 2011, al 2,77%.
Oggi, in un mercato che punta sempre di più sugli effetti positivi del reopening della Cina ma anche sui dati macro arrivati dall’Eurozona , i rendimenti dei Bund sono tornati a salire al 2,744%, dopo la fiammata settimanale più forte, questa settimana, dal dicembre scorso.
Nuove informazioni sono arrivate dal fronte macroeconomico dell’area euro, con la pubblicazione degli indici PMI. Occhio in particolare all’indice PMI Composite stilato da S&P Global dell’Eurozona, considerato termometro delle condizioni di salute dell’economia dell’area euro.
L’indice PMI è salito al record degli ultimi otto mesi a 52 punti, dopo i 50,3 punti di gennaio, lievemente al di sotto dei 52,3 punti dei numeri preliminari, ma in fase di espansione (in quanto superiore ai 50 punti), per il secondo mese consecutivo.
Una “good news” che per i BTP & Co. è però una “bad news”, in quanto rischia di convincere ulteriormente Lagarde a spingere su nuovi aumenti dei tassi.
Non solo BTP e Bund, boom tassi Francia, Spagna, Irlanda, Portogallo
A confermare l’ansia tassi Bce è il trend dei rendimenti non solo dei BTP e dei Bund, ma anche dei tassi dei titoli di stato di Francia, Spagna, Portogallo e Irlanda che, sempre in base ai dati di Reuters, hanno testato nei giorni scorsi i livelli più alti dell’ultimo decennio, se non oltre.
I tassi dei bond francesi, in particolare, sono volati nelle ultime sessioni al valore più alto dalla metà di gennaio del 2012;
quelli dei debiti sovrani spagnoli viaggiano ai massimi dal gennaio del 2014, mentre i rendimenti dei titoli di Stato portoghesi e irlandesi hanno toccato, rispettivamente, i record dall’aprile del 2017 e dal febbraio del 2014.
Sempre questa settimana i rendimenti dei Bund a due anni, attentamente monitorati in quanto più sensibili ai cambiamenti delle aspettative di politica monetaria della Bce, sono scattati fino al 3,257%, valore più alto dall’ottobre del 2008.
Il rialzo dei tassi dei BTP ma anche dei tassi dei Bund, ha fatto sì che lo spread BTP-Bund rimanesse sotto controllo, attorno a quota 180 punti base, a fronte di tassi sui BTP a 10 anni che, dopo essere volati al massimo degli ultimi due mesi al 4,645%, sono tornati a fare dietrofront.
Ma sui mercati monetari, per l’appunto, la novità è che i trader hanno iniziato a prezzare un tasso terminale, in Eurozona, pari al 4%.
Certo è che la paura di nuovi rialzi dei tassi aggressivi da parte della Bce si è confermata ancora protagonista, questa settimana, sulla scia delle nuove dichiarazioni arrivate dagli esponenti del Consiglio direttivo della Bce, presidente Christine Lagarde in primis, disposta ad alzare i tassi anche oltre la stretta monetaria già prestabilita e scontata – di 50 punti base – dell’imminente riunione del prossimo 16 marzo.
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Il timore è scattato anche a seguito della carrellata di dati macro dell’Eurozona.
C’è stato inoltre l’effetto delle notizie arrivate dal mercato del reddito fisso made in Usa, dove, per la prima volta dal novembre del 2022, i tassi dei Treasuries a 10 anni hanno superato la soglia psicologica del 4% e i tassi dei Treasuries a 2 anni, ormai prossimi al 5%, sono schizzati al record dal 2006, ovvero in 17 anni.
Nelle ultime ore le dichiarazioni del presidente della Fed di Atlanta Raphael Bostic hanno smorzato l’alta tensione sul mercato del reddito fisso.
Detto questo, nella sessione di ieri, per la prima volta, i futures sui Fed funds hanno scommesso su un tasso terminale Usa pari al 5,5%.
Inflazione core Eurozona sorprende: i commenti dei gestori
Anche in Eurozona, l’ansia si è smorzata, almeno nelle ultime ore, in un contesto tuttavia in cui le scommesse sui tassi rimangono hawkish, soprattutto dopo la pubblicazione del dato relativo all’inflazione dell’area euro.
A tal proposito, nella nota “Inflazione europea, i dati spingono verso un nuovo inasprimento monetario” Robert Schramm-Fuchs, Portfolio Manager di Janus Henderson, ha così commentato:
“L’inflazione complessiva dell’Eurozona è scesa di uno 0,1% meno del previsto, attestandosi all’8,5% su base annua. L’unico fattore trainante del calo è stata la diminuzione dell’inflazione energetica, che dobbiamo considerare con cautela data la vulnerabilità dell’equilibrio globale tra domanda e offerta a causa di una rigidità dell’offerta strutturalmente elevata, della riapertura della crescita della domanda da parte della Cina e dei rischi geopolitici”.
Questo, “mentre oltre il 60% dell’aumento dell’inflazione di fondo è derivato dall’aumento dell’inflazione dei servizi, che tende ad essere piuttosto persistente. Il contributo dell’inflazione dei beni a quella di fondo è stato minore, ma l’aumento stesso ha rappresentato una sorpresa in positivo, grazie al recente calo dei prezzi dell’energia e dei trasporti e al generale allentamento delle strozzature della catena di approvvigionamento”.
Il dato ha messo in evidenza, secondo il gestore di portafoglio di Janus Henderson, che “l’inflazione core dell’Eurozona, al netto dell’energia, si attesta su tassi molto simili a quelli degli Stati Uniti, ma il differenziale dei tassi d’interesse è ancora piuttosto ampio”.
Di conseguenza, “non possiamo quindi che ribadire quanto scritto relativamente ai dati del mese scorso: le banche centrali non stanno certo esaurendo i motivi forniti dai dati macroeconomici per continuare il loro percorso di inasprimento monetario“.
E dunque, nel caso dell’area euro, “la prossima riunione della Banca Centrale Europea, che si terrà tra due settimane, dovrebbe essere ancora una volta dominata dai falchi, dato che i dati sull’inflazione hanno sorpreso essenzialmente tutti i principali paesi dell’Eurozona”.
Da Janus Henderson è arrivata anche una riflessione sul trend dei mercati:
“Per quanto riguarda i mercati azionari, riteniamo che la persistenza dell’inflazione e l’assenza di un momento di svolta della banca centrale continuino a comportare una sovraperformance dei titoli value rispetto ai titoli growth con multipli di valutazione più elevati, e quindi una continua sovraperformance dell’Europa come mercato “value” sostanzialmente più conveniente rispetto al mercato azionario statunitense. Alla fine, la forte campagna di inasprimento monetario avrà un impatto significativo sull’economia, dato il consueto ritardo degli effetti delle politiche, e quello sarà il momento in cui le azioni saranno libere di anticipare non una svolta della banca centrale, ma una pausa della banca centrale, che dovrebbe essere un buon segnale di risk-on”
Ha detto la sua sul dato relativo all’inflazione dell’Eurozona reso noto nella giornata di ieri anche Michelle Cluver, Portfolio Strategist di Global X:
“I dati sull’inflazione nell’Eurozona erano attesi soprattutto per le conseguenze sulla riunione della BCE del 16 marzo, in cui attualmente i mercati si aspettano un altro aumento di 50 punti base”.
Anche Cluver si è soffermata sull‘inflazione core, “salita a un nuovo massimo del 5,6% annuo, superando di gran lunga le aspettative di un aumento al 5,3%”.
“Il fatto che l’inflazione core rimanga su una traiettoria ascendente – ha continuato la strategist di Global X – preoccupa i mercati, e probabilmente manterrà la pressione sulla Bce nelle prossime riunioni”.
“L”inflazione complessiva dell’area dell’euro ha raggiunto un picco in ottobre, al 10,6% annuo, e ha registrato un trend di miglioramento grazie all’attenuazione delle pressioni inflazionistiche sull’energia – ha concluso Cluver- I dati di febbraio hanno proseguito questa tendenza, nonostante siano risultati più alti del previsto, pari all’8,5% anno su anno (contro un 8,2% previsto e un 8,6% a gennaio). All’inizio di questa settimana, i dati sull’inflazione di Germania e Francia erano stati superiori alle attese. Di conseguenza, ci si aspettava che questo dato confermasse i persistenti timori sull’inflazione. Tuttavia, l’entità dell’aumento dell’inflazione core è stato certamente sorprendente”.