Bce scatena crollo euro peggiore da Brexit e tonfo valute emergenti. Alert Argentina e Turchia
L’annuncio in stile colomba di Mario Draghi sulla fine del QE mette KO l’euro: l’effetto è un forte sell off sulle valute emergenti che, si sa, sono particolarmente vulnerabili a ogni rally del dollaro. Rally del dollaro che si è rafforzato, non solo per la Fed dai toni indubbiamente più aggressivi, ma anche, per l’appunto, a causa degli smobilizzi che hanno colpito la moneta unica dopo le parole del numero uno della Bce.
Dai dati raccolti dal WSJ Market data Group, è emerso che il crollo dell’euro nei confronti del dollaro è stato il più sostenuto, su base percentuale, dal giorno successivo al referendum della Brexit del 23 giugno del 2016.
Dopo aver bucato le soglie di $1,18 e $1,17, la moneta unica ha rotto al ribasso anche quota $1,16 e, (al momento segna un lieve recupero), nelle ultime ore di contrattazioni è scivolato fino a $1,1555, al valore più basso dallo scorso 30 maggio, e ben lontano dal massimo in un mese a $1,1853 che aveva testato dopo l’annuncio della fine del QE, prima che Draghi rassicurasse i mercati. Pur se in ripresa nella sessione odierna, l’euro accusa l’impatto del tonfo della vigilia, pari a -1,9%, e su base settimanale perde -1,72%, soffrendo la settimana peggiore dal novembre del 2016. (Leggi la view degli analisti.)
La perdita dell’euro ha avuto però, almeno nelle ultime ore, anche un effetto contagio sui mercati emergenti. Il suo crollo ha permesso infatti al dollaro di rafforzarsi in modo ancora più sostenuto, tanto che il Bloomberg Dollar Index ha chiuso alla vigilia al record dal luglio del 2017 (beneficiando, come detto sopra, anche dei toni più da falco della Federal Reserve di Jerome Powell).
Oggi la moneta unica recupera terreno, anche sull’indebolimento del dollaro, che sconta le preoccupazioni sull’escalation del protezionismo, in attesa dell’annuncio di Donald Trump su nuovi dazi doganali contro la Cina.
Detto questo, il forte tonfo dell’euro delle ultime ore ha innescato è stata accompagnata anche da un poderoso sell off sulle valute dei mercati emergenti, con l’indice di riferimento EM FX capitolato al minimo dal febbraio del 2016.
Tra gli emergenti, si è messo in evidenza ancora il peso argentino, che continua a essere massacrato dalle vendite, a causa della grave crisi che è tornata ad abbattersi sul paese.
Basta pensare che il peso argentino ha perso il 96,5% del suo valore relativo al dollaro, dal 2001.
L’ennesimo scivolone della vigilia ha fatto cadere tra l’altro la testa del numero uno della banca centrale Federico Sturzenegger, che ha presentato la sua lettera di dimissioni al presidente Mauricio Macri.
La decisione è stata presa dopo che il peso è scivolato fino al nuovo minimo record di 28,20 nei confronti del dollaro sul mercato retail, stando alle rilevazioni di Banco de la Nacion Argentina.
Dalla fine di maggio, la valuta argentina è crollata del 32,14%, e la situazione di allarme ha portato il governo a chiedere un prestito di $50 miliardi al Fondo Monetario Internazionale, al fine di aiutare a stabilizzare l’economia e per ripristinare la fiducia degli investitori.
L’ondata ribassista che ha travolto anche i bond governativi non si è però, nel frattempo, arrestata. I tassi sui Bond a 100 anni dell’Argentina sono volati infatti nelle ultime ore fino al 9%, a fronte di un prezzo che è sceso sotto la soglia di 80 centesimi di dollaro.
Un’altra valuta dei mercati emergenti si è messa in evidenza per le forti perdite subite: si tratta della lira turca, precipitata dopo la reazione del presidente Erdogan alla decisione di Moody’s di mettere sotto osservazione il rating sul debito della Turchia dopo aver tagliato la valutazione qualche mese fa.
Lo scorso 1° giugno, l’agenzia ha reso noto di fatto che la mancanza di chiarezza sulla politica economica del paese mette a rischio i rating a Baa2.
Così come Standard & Poor’s e Fitch, Moody’s ha già un rating junk sulla Turchia; ma giorni fa l’agenzia è tornata alla carica, tagliando le valutazioni e mettendo sotto osservazione per potenziali ulteriori downgrade i rating di 17 banche turche.
Non è mancata la reazione di Erdogan:
“Se Dio vorrà, dopo il 24 giugno (giorno delle elezioni in Turchia), lanceremo un’operazione contro Moody’s”, ha detto il presidente turco, nel corso di un’intervista rilasciata all’emittente privata 24 TV. “Moody’s sta cercando di diffamare la Turchia, di metterla in una posizione difficile…ma non ce la farà”.