Auto e l’avanzata cinese: a Pechino il 33% del mercato globale nel 2030. Ora a far discutere c’è il nodo dazi
È sull’elettrico una delle sfide che si gioca quando si parla del settore automotive. Ma nonostante l’inasprimento dei dazi sulle importazioni sia negli Usa che nell’Unione europea, il contrasto alle automobili elettriche e alla componentistica proveniente dalla Cina servirà a ben poco. Almeno è quello che emerge dall’ultimo outlook di AlixPartners, società di consulenza strategica newyorkese, secondo cui Pechino è pronta a conquistare quote di mercato sempre più estese.
Quante auto cinesi ci saranno in occidente?
Lo stop ai motori endotermici previsto per il 2035 all’interno del Green Deal europeo (la strategia dell’Ue contro la crisi climatica), impone a consumatori e soprattutto ai produttori di aggiornare i loro programmi per il futuro, rivedendo in chiave più sostenibile ogni loro prossima mossa. Su questo scenario, la ventunesima edizione dell’AlixPartners Global Automotive Outlook prevede una crescita moderata delle vendite di vetture cinesi in tutto il mondo. Più nel dettaglio, l’Europa assisterà ad un aumento del 2% già lungo il 2024, per poi incrementarsi dell’1% ogni anno fino al 2027. Poco meglio negli Stati Uniti dove la crescita prevista è del 3%, mentre è atteso un aumento del 4,7% nella stessa Cina fino a contare 26,7 milioni di veicoli.
Entro il 2030, i marchi cinesi consolideranno la loro posizione dominante all’interno del mercato dell’elettrico grazie a vendite di 9 milioni di unità al di fuori del paese, pari ad una quota globale del 33%. «La nostra stima è che al 2030 l’Europa nel suo complesso possa vedere i veicoli elettrici al 46%, di cui il 41% puri elettrici» spiega Dario Duse, Emea co-leader della practice Automotive & Industrial e Italy Country Leader di AlixPartners.
Le ragioni dietro l’avanzata di Pechino
Alla base del successo dell’industria automobilistica cinese c’è senza dubbio un costo della manodopera decisamente basso, un aumento sempre più rapido delle spedizioni all’estero, che consentono più velocità e capacità di trasporto, ma anche una riduzione dei costi intermedi dovuta alla maggiore integrazione verticale. Ossia una strategia aziendale che consiste nel controllare e gestire diverse fasi della filiera produttiva di un bene, dall’approvvigionamento delle materie prime alla distribuzione del prodotto finito al cliente.
Nel complesso, tali passi avanti dell’industria cinese assicurano un vantaggio in termini di costi pari al 35%, che riverbera i suoi effetti in prezzi più ridotti a favore dei consumatori. E dunque vendite sensibilmente più alte rispetto agli altri competitor. In poche parole, secondo Mark Wakefield, co-leader di AlixPartners «la Cina è il nuovo disgregatore del settore, capace di creare veicoli indispensabili, più rapidi da commercializzare, più economici da acquistare, avanzati in termini di tecnologia e design e più efficienti da costruire».
I dazi serviranno?
Di fronte a percentuali così estese, i governi occidentali hanno sin da subito messo in campo appositi strumenti per neutralizzare l’avanzata cinese e difendere le proprie industrie nazionali. Già dal 2024 gli Stati Uniti hanno incrementato le tasse di importazione dei prodotti cinesi, portandolo dal 25% al 100% per i veicoli elettrici e triplicandoli per quanto riguarda la componentistica. Analogamente la Commissione europea- dopo mesi di indagini antidumping- risponde alla concorrenza sleale proponendo dazi aggiuntivi fino al 38% sui veicoli importati nell’Unione Europea da alcuni produttori cinesi.
Il protezionismo, tuttavia, non fa che accelerare strategie di localizzazione della produzione direttamente in territorio estero. Specialmente in Europa, dove diverse iniziative sono attualmente in fase di definizione e si prevede lo spostamento della produzione che va dai 500 mila a 1 milione di veicoli all’anno. Fra i Paesi coinvolti spunterebbe anche l’Italia, dove Stellantis ha già acquistato il 20% di Leapmotor, casa automobilistica cinese con cui presto verrà avviata una partnership legata allo sviluppo e alla costruzione di nuovi modelli elettrici.
«Anche se abbiamo a lungo proclamato le virtù di essere più agili, flessibili e adattabili» prosegue Wakefield «ora è il momento di affrontare queste priorità con un maggiore senso di urgenza e apertura a nuove partnership, principi operativi e aspettative».
L’allarme dell’industria tedesca
Inasprire i dazi giù esistenti potrebbe quindi rappresentare una mossa quasi controproducente. Tanto da spingere l’associazione automobilistica tedesca VDA a esortare la Commissione europea ad abbandonare le tariffe previste sui veicoli elettrici fabbricati in Cina. Queste misure, commentano in una nota, «non sono una misura adeguata per rafforzare la competitività e la resilienza europea nel lungo termine». Proprio perchè danneggerebbero le case automobilistiche europee e statunitensi che esportano dalla Cina, provocando ritorsioni da parte della Cina attraverso contro-dazi che colpirebbero duramente l’industria tedesca, visto il suo elevato volume di esportazioni verso la Cina.
Al contrario, secondo VDA, per evitare una spietata guerra commerciale, le attenzioni della Commissione dovrebbero concentrarsi sulla garanzia dell’accesso alle materie prime critiche – in gran parte in mano cinese – per l’industria europea dei veicoli elettrici, riducendo le barriere all’accesso al mercato e creando trasparenza sulla politica commerciale.