Notizie Notizie Italia Carlo Cottarelli, l’uomo dei conti pubblici che disse: “debito non è colpa austerity, stufo della speculazione contro l’Italia”

Carlo Cottarelli, l’uomo dei conti pubblici che disse: “debito non è colpa austerity, stufo della speculazione contro l’Italia”

Pubblicato 28 Maggio 2018 Aggiornato 28 Maggio 2018 15:16

Conti pubblici. Sono queste due parole a fare la storia di Carlo Cottarelli, non a caso a capo dell’Osservatorio sui conti pubbblici, convocato oggi al Quirinale da Sergio Mattarella dopo la grave crisi politica scoppiata in Italia. L’ipotesi del governo M5S-Lega è naufragata, dopo la decisione del presidente della Repubblica di dire no al nome di Paolo Savona, l’economista euroscettico designato dai partiti al dicastero dell’Economia.

Cottarelli è stato Commissario alla spending review dei governi Letta e Renzi. Obiettivo: risanare i conti pubblici, trovando il modo di arginare la spesa e dunque liberare risorse per risanare il debito.

Classe 1954, nato a Cremona, Cottarelli ha lasciato il governo Renzi nel 2014 per tornare all’Fmi, assumendo l’incarico di direttore esecutivo nel board. Successivamente, a partire dal 30 ottobre 2017 fino a oggi è stato direttore dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano.

Laureato a Siena, master presso la London School of Economics, Cottarelli ha lavorato dal 1981 al 1987 presso la divisione del settore finanziario e monetario di Bankitalia; dopo l’esperienza di un anno nelle vesti di di responsabile del dipartimento di Ricerca economica di Eni, è entrato nel Fondo Monetario Internazionale nel 1988, dove ha lavorato per diversi dipartimenti, tra cui il dipartimento europeo, il dipartimento dei mercati monetari e dei capitali, il dipartimento degli Affari fiscali. Per quest’ultimo dipartimento, è stato direttore dal novemnre del 2008 al 22 ottobre del 2013.

Ma non c’è bisogno di leggere il suo curriculum per capire l’importanza che Carlo Cottarelli ha dato sempre, nelle sue varie mansioni, alla necessità di imbrigliare la crescita del debito.

Recentemente, in un editoriale per Repubblica Affari &Finanza, aveva detto che l’ex premier Mario Monti non avrebbe potuto agire diversamente.

“A metà novembre 2011, Monti viene chiamato al governo. La politica fiscale viene stretta in modo deciso. Sono introdotte misure restrittive pari a 2,4 punti di Pil, di cui almeno uno era già stato deciso dal governo Berlusconi con effetto sul 2012. Con tassi di interesse a livello insostenibile, cosa poteva fare Monti se non cercare di prendere a prestito di meno? Se non lo avesse fatto l’Italia avrebbe perso l’accesso ai mercati finanziari e la perdita di Pil sarebbe stata peggiore”.

Ancora prima, aveva ricordato che il QE lanciato dalla Bce di Mario Draghi non sarebbe durato per sempre, che non ci sarebbe stato un whatever it takes 2, che lo scudo BTP Italia, non sostanza, stava per scadere. Di qui la necessità, a suo avviso, di agire in maniera tempestiva per il risanamento dei conti pubblici.

All’indomani delle elezioni politiche dello scorso 4 marzo, aveva inoltre avvertito che l’Italia rischiava nuovi attacchi speculativi e anche una recessione.

Vedremo cosa succederà con i mercati finanziari e lo spread. Mi aspetto un po’ di movimento ma il problema non è ciò che succederà nei prossimi giorni ma nel giro di due anni, quando i tassi di interesse cominceranno ad aumentare in tutta Europa”.

Il suo pensiero è tutto delineato nel suo libro “Il Macigno. Perché il debito pubblico ci schiaccia e come si fa a liberarsene” (Ed. Feltrinelli). In occasione di uno dei suoi interventi per la presentazione del libro, aveva detto:

“Ho scritto questo libro perchè non si parlava molto di quello che è un problema fondamentale dell’economia italiana, quello della dimensione del debito pubblico, oppure se se ne parlava, si affermava che comunque era tutta colpa dell’austerità, anzi addirittura si è sostenuto che l’austerità sia stata l’elemento che ha fatto aumentare il debito pubblico e che l’austerità significhi minore crescita, minori entrate per lo stato e dunque più debito pubblico. Secondo me questo è tutto sbagliato”.

“Un secondo motivo è che fino a quando noi continuiamo a prendere a prestito, rimaniamo schiavi dei mercati finanziari. Io sono stufo, vivendo all’estero, di sentir parlare male dell’Italia, sono stufo di pensare che se qualcuno si sveglia a Francoforte o a Londra possa speculare contro i titoli di stato italiani, e lo possa fare non perchè è cattivo ma perchè con questa dimensione del debito noi diamo la possibilità agli speculatori di speculare contro di noi, come è successo nel 2011 e nel 2012. Io ho scritto questo libro anche per dire che il problema si può risolvere senza fare cose rivoluzionarie, ma semplicemente facendo quello che dobbiamo fare”.

E, curiosità, sempre ovviamente in tema di conti pubblici, in uno dei suoi interventi rivelò anche di aver provato a calcolare il peso fisico del debito pubblico italiano.

“Il debito pubblico vale circa 2.300 miliardi di euro, una moneta da 1 euro pesa circa 6 grammi e mezzo. Dunque il peso totale è equivalente a 44 Empire State Building, 1100 torri di Pisa, o 2200 Torre Eiffel“.

Ancora: “mettendo in fila tutti gli euro che servirebbero per riparare il debito pubblico si arriva quasi vicino a Marte. Ovviamente questo è uno scherzo, noi economisti calcoliamo il debito pubblico in euro, 36.000 euro a testa”.