Wall Street: Fed e Fmi non vedono bolle, ma attenti al forward P/E ratio dello S&P 500

Con la sessione odierna, partono ufficialmente il terzo trimestre e il secondo semestre dell’anno. Riguardo al secondo trimestre, non ci si può lamentare proprio di come è andata a Wall Street. Il Dow Jones è balzato del 17,8% nel periodo aprile-giugno, anche se ha perso il 9,6% nel primo semestre.
Lo S&P 500 ha fatto +20% nel secondo trimestre, scendendo del 4% da inizio anno, mentre il Nasdaq Composite è balzato rispettivamente del 30,6% e del 12,1%.
Le performance del secondo trimestre sono di tutto rispetto se si considerano i crolli precedenti, scatenati dal panico del coronavirus, che avevano affossato la borsa Usa a marzo, fino a farla capitolare ai minimi dell’anno.
C’è tuttavia un campanello d’allarme, rappresentato da un parametro preciso: quello del rapporto forward price-to-earnings dello S&P 500 che, così come dimostra il grafico, è al record in ben 19 anni, ovvero dal febbraio del 2001.
Vale la pena ricordare che cosa si intende per questo ratio.
Si tratta praticamente di un rapporto che utilizza gli utili che sono stati stimati dal consensus per il calcolo del ratio originario, che è il price-to-earnings.
Investopedia spiega che, sebbene gli utili utilizzati in questa formula siano solo una stima, e dunque non possano essere affidabili come gli utili che effettivamente sono stati riportati o come gli utili che risultano dalle serie storiche, il rapporto dà comunque informazioni utili.
Di norma, se il forward P/E ratio è più basso rispetto al P/E ratio attuale, vuol dire che gli analisti prevedono un aumento degli utili; se il forward P/E è invece più alto rispetto al P/E ratio attuale, vuol dire che gli analisti prevedono un calo negli utili.
Tornando al forward P/E ratio dello S&P 500, dai calcoli effettuati in data 30 giugno 2020 (ovvero ieri), emerge che l’indice azionario benchmark di Wall Street è scambiato a un valore pari a 21,6 volte le stime ponderate del consensus sugli utili futuri, in rialzo rispetto al forward P/E di fine 2019, che era pari a 18,3 volte.
Il ratio è cresciuto nonostante lo S&P 500 sia negativo da inizio anno. Il motivo risiede nel fatto che gli analisti hanno tagliato i loro outlook sugli utili, tenendo in considerazione la devastazione economica provocata dall’esplosione della pandemia COVID-19.
La paura sulla formazione di una bolla è dunque piuttosto alta, anche se sia la Fed che l’Fmi hanno escluso la formazione di bolle speculative sui mercati.
In particolare, la scorsa settimana, James Bullard, presidente della Federal Reserve Bank di St. Louis, ha detto chiaramente di non intravedere prove di una bolla di asset. Charles Evans, invece, presidente della Federal Reserve Bank of Chicago, ha detto che l’economia americana potrebbe aver bisogno di ulteriori stimoli, e che è possibile anche che i tassi di interesse Usa finiscano con l’essere abbassati fino a diventare negativi.
Riguardo ai titoli che hanno performato in modo migliore, nel secondo trimestre, si mette in evidenza Apple, al podio con un rally del 43,5% (+24,2% nella prima metà dell’anno); Dow, con un rialzo pari a + 39,4% nel secondo trimestre (nel primo semestre calo -25,5%); Microsoft, +29% nel secondo trimestre; Goldman Sachs +27,8%, Boeing +22,9%.