Usa: stavolta il Pil delude ma i consumi sono forti

La crescita dell’economia statunitense ha deluso le attese nell’ultimo trimestre dello scorso anno. Il Pil è salito del 2,6 per cento rispetto allo stesso periodo del 2013. Il consensus prevedeva un rialzo del 3,2%. Si ridimensiona, in tal modo, l’entusiasmo per il +5% registrato alla fine del terzo trimestre 2014. In quel caso la sorpresa era stata ampiamente positiva. Il Pil americano è stato sostenuto, in particolare dalla spesa per consumi personali, cresciuta del 4,3% al ritmo più elevato dal primo trimestre del 2006. Al buon andamento della spesa per consumi ha contribuito la contrazione dei prezzi della benzina, innescata dalla caduta delle quotazioni del petrolio mentre il freno è arrivato da spesa governativa, investimenti delle imprese e bilancia commerciale. Da segnalare, in ottica Fed, la riduzione del rapporto prezzi/Pil a 0% contro lo 0,9% previsto dal consensus e l’1,4% della rilevazione precedente.
Secondo Vincenzo Longo, strategist di IG, i consumi elevati e la forte crescita delle importazioni devono essere interpretati come “un segnale di salute dell’economia, mentre il rallentamento delle esportazioni sembra essere causa diretta del forte apprezzamento del biglietto verde“. Per quanto riguarda invece il calo degli investimenti fissi, questo sarebbe attribuibile “ai primi effetti del tonfo del prezzo del petrolio, che ha bloccato i piani di sviluppo di molte aziende del settore”.
Complessivamente l’andamento del Pil Usa nel quarto trimestre 2014 non cambia la visione della Federal Reserve sulla crescita del Paese. “È prematuro poi fasciarsi la testa – precisa Longo – prima delle revisioni dei prossimi mesi, che potrebbero portare a variazioni importanti sul dato odierno. Crediamo che il dollaro forte e il petrolio a questi livelli particolarmente bassi possano pesare sulla crescita del 2015 che difficilmente sarà compensata da una crescita dei consumi”.
Un’affermazione in linea con l’esito dell’ultima riunione della Federal Reserve che ha confermato la fiducia nella solidità della crescita e ha dato la sensazione di non aver alcuna fretta nel voler rialzare i tassi di interesse. La prima mossa potrebbe arrivare alla fine del primo semestre dell’anno anche se c’è chi già scalpita nel Comitato di politica monetaria della Banca centrale americana. James Bullard, presidente della Fed di St Louis ha spigato a Bloomberg che “l’inflazione non è abbastanza bassa per evitare un piccolo rialzo dei tassi di interesse” aggiungendo che “la politica del tasso zero non è adatta all’andamento dell’economia americana”.