Notizie Notizie Mondo Usa: ora anche l’economia reale dice recessione, in vista accelerata dei tagli Fed

Usa: ora anche l’economia reale dice recessione, in vista accelerata dei tagli Fed

5 Febbraio 2008 16:03

Gli Stati Uniti non erano ancora usciti dall’ultima recessione e l’effetto psicologico dell’attacco alle Torri Gemelle non si era ancora dissipato. Era l’ottobre 2001 e si iniziava a calcolare l’indice Ism non manifatturiero, segnaletico dell’andamento dell’attività nel settore dei servizi. Risultato: 40,5 punti. A quasi sette anni di distanza l’indice si è ripresentato oggi in prossimità di tale valore, scendendo al secondo livello più basso della sua storia, a 41,9 punti, e soprattutto segnando la caduta più forte da quando viene calcolato, indicando un’economia statunitense effettivamente alle prese con quello che potrebbe essere qualcosa di più di un rallentamento.


Usualmente infatti se il calcolo dell’indice è sopra 50 significa che la variabile, in questo caso l’attività dei servizi, sta aumentando, al di sotto di 50 invece diminuisce e segnala contrazione economica. I sondaggi Ism sono condotti dall’Institute dei Supply Managers, e rilevano le impressioni dei vari manager sui flussi tra un’azienda e un’altra. Possono dunque essere definiti dei veri e propri sensori dell’andamento dell’economia reale. Il sondaggio prevede infatti due ordini di domande: “La sua attività è aumentata o diminuita?” e “i suoi ordini sono calati o aumentati?”


“Il dato di oggi ci dice che le probabilità di recessione sono aumentate tantissimo – spiega l’economista di Intesa Sanpaolo, Giovanna Mossetti – ma un dato solo non basta e gli altri dati recenti sono stati molto volatili. Certo una caduta così non c’è mai stata nella serie. Gli indici disponibili nel 2001, al crollo delle Twin Towers, sebbene diversi, non segnalavano una cosa del genere. Si tratta evidentemente della risposta a uno shock fortissimo”. Probabile ora che la Fed possa ulteriormente premere sull’acceleratore della sua manovra di riduzione del costo del denaro. “Non credo che la Fed avesse già i dati di oggi (quando ha preso le sue due ultime decisioni di politica monetaria, ndr). Che la Fed avrebbe tagliato era già scontato” ma “con il dato di oggi si può pensare a un taglio di 50 punti base nel prossimo meeting di marzo, mentre in precedenza si pensava a un rallentamento del ritmo dell’espansione monetaria. Però da qui a marzo c’è ancora tempo per vedere altri dati”.


Sul mercato ha pesato il dato in sé, ma anche il fatto che questo sia stato comunicato a sorpresa in anticipo allo scopo di evitare fughe di notizie. Il dato, uno dei market mover più seguiti dal mercato anche in condizioni normali, è stato comunicato poco prima delle tre, ossia a mercati americani ancora chiusi, anziché alle 16.00 come previsto. Un piccolo giallo che ha reso ancora più rosso il colore degli indici delle piazze finanziarie europee e dei future americani, conducendo Wall Street a un apertura in forte ribasso. Il Dow Jones Industrial ha iniziato le contrattazioni con un calo di circa l’1,30% mentre la perdita del Nasdaq ha superato in pochi minuti il punto e mezzo percentuale.


Non è stata l’unica sorpresa però. Per il dato il mercato prevedeva una contrazione ben più limitata, a 53 punti da 54,4. Negative anche le componenti dell’Ism. Il sottoindice occupazionale è calato a gennaio a 43,9 dai 51,8 punti dicembre, ai minimi dal febbraio 2002 mentre i nuovi ordini sono scesi a 43,5 da 53,9 anche in questo caso sui minimi da quando l’Ism viene calcolato. Il sottoindice relativo ai prezzi pagati si è attestato in gennaio a 70,7 da 71,5, le consegne a 49 da 52,5.


Marco Barlassina