Notizie Notizie Mondo Usa contro Europa, inflazione tra origini comuni e divergenze strutturali

Usa contro Europa, inflazione tra origini comuni e divergenze strutturali

31 Agosto 2023 16:40

Un tema che in questi giorni è decisamente al centro dell’attenzione è la differenza tra l’inflazione negli Stati Uniti e in Europa. Partendo, infatti, dalle differenze nell’andamento, l’analisi di Michael Hall, Head of Distribution di Spectrum Markets, si propone di esaminare questo “divario di progresso”, sottolineando come, nonostante le cause comuni, gli sviluppi divergano a causa dei fattori strutturali unici che caratterizzano le due realtà. Da qui, l’attenzione si sposta verso le variazioni all’interno dell’Europa, evidenziando l’impatto delle fluttuazioni delle valute sulle dinamiche economiche dei singoli Paesi.

Differenze tra Europa e Stati Uniti

Per quanto sembri che il peggio sia passato, l’inflazione dell’Eurozona si attesta ancora a livelli molto alti, superando di oltre il doppio quella degli Stati Uniti. Oltre alle chiare differenze nell’andamento dei prezzi tra l’Europa, dove l’inflazione si è attestata al 5,3% ad agosto, e gli Stati Uniti, il cui tasso è del 3,2% (luglio), vi sono enormi squilibri anche all’interno dell’Europa stessa. Sebbene la ragione più ovvia di questo “vantaggio” rispetto all’Europa sia il fatto che la Fed abbia avviato il ciclo di rialzo prima della Bce, secondo Hall vale la pena di considerare altri due aspetti.

“Innanzitutto, bisogna comprendere se il ritardo nell’azione monetaria della Bce sia stato dovuto a divergenze nell’interpretazione delle cause dell’inflazione, o se invece ci sia stato anche un ritardo nell’inizio dell’aumento dei prezzi. A tal proposito, negli Stati Uniti l’inflazione ha superato l’obiettivo di stabilità dei prezzi della Fed (pari al 2%) nel marzo 2021, mentre in Europa i prezzi hanno iniziato a crescere a un tasso superiore al 2% nel luglio dello stesso anno. Questo porta al secondo aspetto, ancora più importante. Nonostante le origini dell’inflazione siano identiche e di natura ciclica, devono esserci anche fattori strutturali che spieghino il disallineamento: questi ultimi, infatti, determinano sviluppi diversi che, a loro volta, si manifestano a ritmi diversi”.

Secondo la Bce, una delle differenze più significative tra l’inflazione americana e quella europea è che la seconda è principalmente guidata dall’offerta, mentre negli Stati Uniti è la domanda ad avere un ruolo predominante. Non bisogna confondere, però, cause ed effetti. Come può l’economia più grande del mondo, che oltretutto dipende dalle importazioni molto più dell’Europa, essere meno vulnerabile agli shock della catena di approvvigionamento? La risposta di Hall è che non lo è: “il ruolo dei consumi privati nell’economia statunitense o il mercato del lavoro molto più dinamico fanno sì che l’inflazione si sviluppi più rapidamente, essendo più sensibile all’azione monetaria della banca centrale o allo stimolo della politica fiscale. Allo stesso modo, questa sensibilità fa sì che possa essere contenuta prima”.

Il dilemma dell’inflazione ‘core’

L’attenzione degli economisti si è recentemente focalizzata sull’inflazione di fondo, o “core”, che viene calcolata escludendo i generi alimentari e i costi dell’energia dal paniere di beni utilizzato per calcolare l’inflazione dei prezzi al consumo, al fine di eliminare la volatilità causata da questi beni e ottenere una visione più accurata dell’andamento dei prezzi.

Secondo Hall “è interessante notare che, quando si esaminano le medie storiche di lungo periodo, non fa molta differenza se si fa riferimento all’inflazione complessiva (headline) o quella core. Tuttavia, non è lo stesso quando si restringe l’orizzonte al breve termine: l’inflazione headline può infatti oscillare sensibilmente sopra e sotto la media, rendendo difficile per le banche centrali trarre conclusioni precise sulle effettive tendenze economiche. Per questo motivo, la Bce utilizza una strategia di monitoraggio dell’inflazione attraverso un tasso di inflazione annualizzato su tre mesi, basato su dati destagionalizzati, per cogliere i punti di svolta nella dinamica dell’inflazione. In merio al tasso di inflazione core, la Bce monitora e confronta anche i settori sensibili e non sensibili all’energia, al fine di valutare l’impatto indiretto delle componenti energetiche e alimentari sull’inflazione di fondo”.

Quanto sarà ostinata l’inflazione?

In teoria, secondo Hall, “le forme di inflazione includono quella guidata dalla domanda, quando cioè la domanda aggregata cresce più velocemente dell’offerta aggregata, e l’inflazione spinta dai costi, legata all’aumento dei costi di produzione come conseguenza dell’aumento dei prezzi delle materie prime o dei salari. L’effetto della restrizione dell’offerta di moneta e le mere aspettative di futuri aumenti dei prezzi, sono due ulteriori fattori di pressione inflazionistica“. Nell’ultimo caso si parla di inflazione incorporata, un aspetto sempre più al centro dell’attenzione delle banche centrali, che vogliono evitare quello che definiscono “de-ancoraggio” delle aspettative di inflazione.

Bisogna poi valutare anche gli “effetti di secondo impatto” dell’inflazione complessiva. Nel verbale della riunione di marzo, la Bce ha rilevato che “l’andamento dei profitti rispetto a quello dei salari suggerisce che questi ultimi hanno avuto un impatto limitato sull’inflazione negli ultimi due anni, e che l’aumento dei profitti è stato significativamente più dinamico di quello dei salari”.
Ciò significa che, se le imprese avessero semplicemente trasferito i costi maggiori sui clienti, i profitti sarebbero stati neutrali. Questo fenomeno viene definito “Greedflation” o “Winflation” e, sebbene sia difficile da dimostrare, l’elaborato della Bce suggerisce che sia effettivamente in atto e che il suo grado di persistenza avrà di fatto un impatto sull’inflazione.

Secondo Hall “Non dobbiamo sottovalutare altri fattori che potrebbero contribuire all’aumento dell’inflazione in futuro, come una spirale salari-prezzi una volta che ci saranno più cicli di aumenti salariali, o il costo della de-globalizzazione come risultato della delocalizzazione dei posti di lavoro e della produzione nei mercati nazionali per gestire meglio i problemi della catena di approvvigionamento. Finora, però, questi fattori non sono stati attribuiti ad alcun evento significativo. Nel corso degli ultimi dodici mesi, la Bce ha aumentato i tassi di interesse di ben 425 punti base. Secondo la sua stessa dichiarazione, da Francoforte si stanno vedendo i primi segni dell’efficacia di queste operazioni di inasprimento, per quanto ci si aspetti che si realizzino completamente tra la fine di quest’anno e l’inizio del prossimo”.