Titoli e settori più colpiti dal dollaro forte
Il repentino cambiamento delle prospettive dell’economia globale, caratterizzato da un’impennata dell’inflazione, dall’intensificarsi della crisi energetica e dai crescenti timori di una recessione mondiale, non sta avendo un effetto negativo solo sui margini delle società, ma anche un impatto pesantissimo sui mercati valutari che hanno reagito velocemente ai cambiamenti dei fondamentali macroeconomici.
Da inizio anno, infatti, abbiamo assistito ad un vero e proprio rally del dollaro americano che sta segnando di settimana in settimana nuovi massimi di periodo e nel corso degli ultimi mesi si è riportato sui livelli del 2002.
Ma se da una parte aumenta il valore del biglietto verde, dall’altra l’euro continua a perdere terreno, con il cambio Euro/Dollaro che da inizio anno si trova in calo del 12,31% e secondo gli analisti di Citi il major cross potrebbe scendere fino a 0,86 nel corso dell’inverno, trascinato dai crescenti timori di recessione nell’eurozona, anche se nel corso delle ultime sedute si è riportato sulla parità.
Nel grafico sotto vediamo l’andamento del cambio euro/dollaro che da inizio anno mostra una dinamica spiccatamente ribassista e questa tendenza è evidenziata dalla trendline ribassista (costruita da febbraio e confermata più volte), ma anche dalla posizione del cross valutario al di sotto delle medie mobili principali a 50 e 200 periodi.
Resistenze: 1,00; 1,016; 1,035.
Supporti: 0,985; 0,966; 0,955.
In figura vediamo il grafico di lungo periodo del cambio Euro/Dollaro e come vediamo la situazione tecnica è peggiorata particolarmente dopo la violazione al ribasso dell’ex supporto, ora principale resistenza, a quota 1 euro. Come vediamo anche la dinamica di lungo periodo è fortemente ribassista, con il cambio che dopo aver raggiunto il massimo storico a 1,58 ha invertito la rotta e ad oggi si trova in calo del 38% da quei massimi.
I settori più colpiti dal dollaro forte
La nuova egemonia del dollaro continua ad avere forti ripercussioni sull’andamento dei mercati globali e quindi sullo stato di salute dei bilanci delle imprese. In tal senso, utilizzando i dati di Morningstar e State Street Global Advisors è possibile avere un’idea dell’esposizione di ciascun settore alle fluttuazioni del dollaro.
Negli Stati Uniti, ad esempio, i grandi player della tecnologia come Meta, Amazon, Google e Apple sono i più colpiti dalla forza del dollaro e questo perché sono aziende che hanno utenti e clienti in ogni parte del mondo e più della metà dei loro ricavi sono generati al di fuori del territorio statunitense.
Alle spalle di questo gruppo si trovano il settore dei materiali di base (aziende che producono metalli, prodotti chimici o metalli non ferrosi) e il settore dei servizi di telecomunicazione.
In linea generale le imprese statunitensi più esposte alla forza del dollaro sono soprattutto quelle che operano a livello internazionale. Se infatti una società americana genera una parte delle sue vendite in Europa, essa registrerà automaticamente (a vendite costanti) una riduzione dell’utile netto per effetto di tassi di cambio sfavorevoli (una volta che gli utili delle sue filiali europee saranno rimpatriati e consolidati in dollari).
E quelli più stabili?
Al contrario, il settore sanitario europeo rimane uno dei più stabili in Europa. Le aziende del settore sanitario, infatti, sono le principali beneficiarie di un dollaro forte e questo perché traggono una quota maggiore dei loro ricavi dal mercato statunitense rispetto ad altri comparti. In seconda e terza posizione troviamo rispettivamente i beni di consumo (elettronica, abbigliamento e beni di lusso, ad esempio) e il settore manifatturiero.
“Un dollaro eccessivamente forte è un acceleratore della recessione che inizia generalmente nei Paesi emergenti, particolarmente sensibili alle fluttuazioni dei cambi”, commenta Michele Sansone, Country Manager di iBanFirst per l’Italia. “E mentre gli economisti continuano a discutere sul livello ideale della coppia Eur/Usd dal punto di vista economico, ci sono pochi dubbi sul fatto che un euro sotto la parità sia problematico”.