TIM, lo sfogo di Amos Genish silurato: ‘un putsch contro di me, con Elliott il caos’
“Un putsch contro di me”. Così a La Stampa l’ormai ex amministratore delegato di TIM, Amos Genish, sfiduciato ieri dal cda del gruppo quando si trovava tra l’altro neanche proprio nei paraggi, ma in Corea. Il titolo TIM oggi si conferma tra i peggiori in Borsa, cede -3,5% circa a 0,51 euro (l’azione ha testato il minimo dell’anno a 0,4771 lo scorso 26 ottobre).
“Non si sono comportati da gentiluomini. È stata una mossa sorprendente e contraria alla corporate governance: non si aiuta l’immagine dell’azienda se si allontana il ceo in questa maniera” ha detto Genish commentando quello che, effettivamente, agli occhi di molti nei mercati è apparso come un golpe finanziario.
“Mentre ero nel mezzo di un viaggio di lavoro in Asia per parlare di 5G, e dopo che il presidente mi aveva assicurato che non ci sarebbe stato un cda, tranquillizzandomi per le indiscrezioni di segno avverso che circolavano, ecco che ne convocano la riunione e fanno un vero putsch sovietico ai miei danni. Non c’era un’emergenza, potevano aspettare venerdì. Evidentemente, ci sono dei motivi per cui si sono sentiti a loro agio nel farlo mentre ero via. Con un preavviso di dodici ore”.
Un Amos Genish amareggiato?
“Più che altro preoccupato – ammette a La Stampa – Elliott non conosce il settore delle Tlc come lo conosco io, non ha piena consapevolezza delle sfide che ci attendono. L’ultima cosa che farebbe bene alla Tim è uno spezzatino. Non funzionerebbe. Creerebbe uno scenario di caos. Loro credono di avere la soluzione rapida per risolvere i problemi. Io dico che non è così”.
E sui legami tra il governo M5S-Lega e il fondo Elliott? Amos Genish, qui, non si è sbottonato più di tanto.
“Non conosco le intenzioni del governo, al di là delle dichiarazioni pubbliche. So che vogliono una sola rete, come me, del resto. Ho spinto molto per avviare delle collaborazioni in tal senso, con Open Fiber e non solo. Il problema è chi debba controllare la rete. Si sceglie Tim? Oppure si fa un vero ‘deconsolidamento’ come vorrebbe Elliott?”.
Genish ritiene che l’opzione migliore sia la prima:
“E’ la soluzione migliore per l’Italia, anche se non ho avuto la possibilità di discuterne col governo. Il quale dovrebbe ragionare sulle incognite dal punto di vista finanziario – la parte più rilevante del debito è legata alla Netco – e occupazionale -, il numero dei dipendenti della ServiceCo potrebbe rivelarsi difficile da sostenere. Quando se ne renderà conto, non potrà che ripensarci”.
In ogni caso, “gli americani di Elliott hanno condotto una campagna segreta per molto tempo cercando di destabilizzare me e la società. Hanno interferito col mio lavoro e la mia capacità di manager. Se guardiamo le decisioni prese e quelle no è evidente che il board non mi ha mai sostenuto. Il punto interrogativo sulla mia permanenza ha complicato il quadro. Il contesto ostile ha permeato di disfunzioni l’ambiente societario. Se qualcuno è da biasimare per come vanno le cose, o per come non sono andate, è il consiglio”.
Per il dopo Amos Genish opzione Altavilla
La frattura finale con il fondo Elliott è avvenuta nella giornata di ieri, martedì 13 novembre, che sarà ricordato come il giorno che ha sancito la fine dell’era Genish.
Con una mossa che l’ex AD ha definito per l’appunto da putsch sovietico, il cda ha revocato con decisione assunta a maggioranza e con effetto immediato tutte le deleghe conferite al consigliere Amos Genish, dando mandato al Presidente Fulvio Conti di finalizzare ulteriori adempimenti in relazione al rapporto di lavoro in essere con lo stesso.
A questo punto, l’attesa è per la riunione del cda convocata per il prossimo 18 novembre: sarà in quell’occasione che sarà nominato il nuovo numero uno di TIM.
Ieri fonti vicine al fondo americano hanno riportato la posizione di Elliott, secondo cui “Genish ha avuto l’opportunità di creare valore e Elliott lo ha supportato”. Tuttavia, il fondo non sarebbe stato soddisfatto dei risultati visto che “nella realtà non sono stati fatti reali progressi e, al contrario, (Amos Genish) ha dimostrato di rappresentare un impedimento per la creazione di valore”.
Da segnalare che il fondo Elliott detiene una partecipazione in TIM pari all’8,65% .
“Durante il suo mandato (di Genish), il rendimento per gli azionisti è stato pari a -33,5%. Per questa ragione il consiglio ha deciso di lasciarlo andare. Genish ha fatto parte dello screditato regime di Vivendi e sebbene non fossimo stati preventivamente informati di questa decisione del consiglio, sosteniamo la revoca. Il Consiglio di amministrazione ha ora l’opportunità di fare la cosa giusta e di agire nel migliore interesse di tutti gli stakeholder, adottando le proposte del piano di Elliott per la creazione di valore”.
Ma la creazione di valore, per gli azionisti di TIM, c’è stata sotto l’egida degli americani del fondo Elliott? Non proprio, se si considera che in data 6 settembre, quando ormai si parlava di giorni contati per Amos Genish, facendo un po’ di conti emergeva che, da quando il fondo Elliott aveva preso le redini della compagnia telefonica, il titolo aveva lasciato sul terreno più di un terzo del suo valore, sprofondando anche ai minimi in cinque anni.
Tanto che i francesi di Vivendi non avevano risparmiato critiche, definendo “disastrosa” la gestione del gruppo da quando il controllo del cda era passato da loro al fondo americano di Paul Singer.
“Le performance in borsa sono drammatiche”, aveva detto Vivendi, riferendosi al -35% in Borsa dal ribaltone dell’assemblea del 4 maggio, giorno considerato TIM Day storico.
Intanto, Il Sole 24 Ore scrive che, in pole position a prendere il posto di Genish e dunque a prendere le redini di TIM ci sarebbe l’ex numero due di FCA, Alfredo Altavilla, “affiancato da un direttore generale di matrice interna”.
Tale carica potrebbe essere ricoperta dall’ex ceo di Tim Brasil, Stefano De Angelis, considerato il favorito. Ma si fanno anche i nomi di candidati interni come il cfo Piergiorgio Peluso e Lorenzo Forina, direttore business & top clients.
Amos Genish ha pagato posizioni su rete TIM
Certo, Genish ha pagato le sue posizioni sulla separazione della rete.
L’ex AD si è sempre mostrato contrario, infatti, alla perdita di controllo dell’infrastruttura da parte della società. Qualche giorno fa si era così espresso:
“Tim è favorevole alla creazione in Italia di un singolo network di Rete per evitare inutili duplicazioni di investimenti infrastrutturali e siamo aperti a possibili collaborazioni con Open Fiber. L’azienda rimane convinta che Tim rimanga il soggetto tenuto a controllare la Rete in Italia, come avviene in tutti gli altri Paesi. Solo mantenendo il controllo della Rete potremo garantire gli attuali livelli di investimenti e occupazionali. Ogni tentativo di separazione proprietaria della Rete non porrebbe solo a rischio il futuro aziendale di Tim, ma anche lo sviluppo digitale del Paese”.
Lo spin-off invece è una misura caldeggiata dal fondo Elliott, il cui piano ha sempre previsto la cessione della rete fondendola con Open Fiber con il modello rab, la remunerazione degli investimenti sulla base di dati coefficienti come avviene per le società energetiche Terna e Snam. In base a tale modello, Tim non potrebbe però detenere il controllo della rete.
Oggi Il Sole 24 Ore spiega come mai l’ipotesi spin-off piaccia al fondo attivista:
“Fonti vicine al dossier, in ottica finanziaria, stimano che dalla divisione di Tim in due società, una per i servizi e l’altra per la rete, si possa sprigionare un valore ben superiore a quello che oggi la Borsa assegna all’intero gruppo, con la capitalizzazione complessiva che supera di poco i 10 miliardi e la sola capitalizzazione delle azioni ordinarie che è inferiore agli 8 miliardi”.
L’articolo de Il Sole 24 Ore di Antonella Olivieri prosegue:
“Togliendo tutto il resto – Inwit, Tim Brasil, rete – la ServiceCo, l’ipotetica società dei servizi, produce oggi 4,2 miliardi di Ebitda. Applicando un multiplo di 5 volte, si ottiene un enterprise value (valore d’impresa, fatto della somma di capitalizzazione di Borsa più indebitamento netto) di 21 miliardi. Supponendo che dei 25 miliardi di indebitamento netto attuale, 12 vadano a gravare sulla società dei servizi, si otterrebbe un valore dell’equity, cioè della capitalizzazione di Borsa, dell’ordine di 9 miliardi. Col modello Rab (regulatory asset base), invece, la società della rete potrebbe avere un enterprise value compreso nel range di 16-25 miliardi che, nell’ipotesi teorica che si faccia carico di tutti i 13 miliardi di indebitamento netto residuo, esprimerebbe una capitalizzazione compresa tra 3 e 12 miliardi”.
“La somma delle sole due componenti citate sarebbe quindi superiore all’attuale capitalizzazione”.
Askanews fa notare inoltre che Elliott non vuole farsi sfuggire l’occasione di una separazione che permetterebbe, secondo le stime avanzate dal fondo nei mesi scorsi, di tagliare il debito da 25 a 12 miliardi di euro e di garantire “un dividendo stabile”. La separazione delle rete ex Telecom, secondo Elliott realizzerebbe “fino a 7 miliardi di euro” in valore che adesso è “inespresso”.
Il Sole 24 fa tuttavia notare come la realtà sia molto più complicata, laddove ricorda che “il problema oggi è un debito di circa 30 miliardi, con tassi in crescita e dei flussi di cassa in calo”. Tutto ciò, a fronte dello spettro licenziamenti di 20.000 dipendenti e il no dei sindacati allo spezzatino.
Spezzatino che secondo Genish è il perno attorno a cui ruota la strategia del fondo Elliott:
“Possiamo chiederci se (il mio siluramento) non sia tutto dovuto alle due filosofie che animano Tim. Una è quella di chi vuole lo spezzatino della società per vendere i diversi pezzi, come Elliott ha sempre dichiarato dall’inizio. L’altra è di chi, come me, immagina un gruppo industriale integrato orientato al pieno sfruttamento del potenziale tecnologico a partire dal 5G. Questi approcci si sono scontrati sin dall’inizio. Era impossibile lavorare. Elliott mi ha sempre promesso sostegno a parole e non lo ha mai fatto“.