Tassazione bitcoin al 42%: tanti danni per pochi spiccioli. Tre vie d’uscita per gli investitori e il caso degli Etf crypto
Il governo Meloni mette nero su bianco la mannaia sugli italiani possessori di bitcoin. Il testo della legge di bilancio 2025 prevede infatti l’aumento della tassazione delle plusvalenze sulle criptovalute dal 26% al 42% a partire dall’inizio del prossimo anno.
C’è chi si spinge oltre. E’ il caso della Danimarca dove si discute la proposta di una tassazione del 42% sulle plusvalenze, aggiungendo anche la tassazione delle plusvalenze non realizzate.
Il testo in manovra
L’articolo 4 della manovra prevede che “sulle plusvalenze e gli altri proventi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-sexies del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986 n.921, realizzate a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge, l’imposta sostitutiva di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, è applicata con l’aliquota del 42 per cento”.
A venire tassate saranno le plusvalenze sopra i 2.000 euro.
Una batosta che riguarda in particolare i più giovani. La maggioranza degli investitori ha infatti meno di 40 anni e secondo un’indagine dell’Osservatorio Blockchain & Web3, si stimano circa 3,6 milioni di italiani che detengono cryptoasset. Sono 150 i Virtual Asset Service Providers iscritti nel registro dell’Organismo Agenti e Mediatori (OAM) e il settore genera un indotto di circa €2,7 mld, con un aumento del 85% rispetto al 2023.
Lega sul piede di guerra, Patuelli (Abi) invece esulta
La misura sta sollevando non poche polemiche e critiche anche in seno alla maggioranza di governo. La Lega infatti ha fatto trapelare una certa insofferenza e il sottosegretario all’Economia Federico Freni nei giorni scorsi aveva evidenziato come nella manovra ci fosse “una sola tassa che aumenta”, proprio quella sulle plusvalenze sul bitcoin e le altre criptovalute. L’esponente leghista ha auspicato che nell’iter parlamentare tale disposizione venga cambiata. “Come Lega credo che una riflessione sul bitcoin vada fatta – ha aggiunto Freni – . Quello delle criptovalute è probabilmente il settore del futuro e aumentare così tanto la fiscalità sulle plusvalenze non è proprio una cosa sensata da fare”.
A favore invece le banche. Antonio Patuelli, numero uno dell’Abi, approva pienamente l’aumento della tassazione delle plusvalenze sulle criptovalute (dal 26 al 42%). “Capisco che qualcuno protesta, perché si era abituato a questa agevolazione. Ma mi domando perché ci dovrebbe essere una tassazione agevolata su una forma di liquidità incontrollata», ha commentato.
In realtà quella del 26% non è una tassazione agevolata, ma in linea con quella degli altri asset finanziari, ad eccezione dei titoli di Stato che invece vantano un trattamento agevolato con tassazione al 12,5%.
La posta in gioco
La relazione tecnica che accompagna la legge di bilancio parla di un potenziale aumento di gettito di poco più 16 milioni di euro annui. Cifra alquanto esigua se confrontata con i danni che potrebbe produrre in termini di fuga di crypto investitori dall’Italia.
Come scritto nei giorni scorsi, i calcoli nel lungo periodo evidenziano come i vantaggi per lo Stato di una maggiore tassazione delle rendite finanziarie siano limitati, mentre per gli investitori è danni sono enormi.
I player crypto nei giorni scorsi hanno scritto una lettera al ministero in cui si sottolinea come l’aumento dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto al 42%, dal 26% finora applicato e usuale per le rendite finanziarie “sarebbe fiscalmente discriminatorio e quindi iniquo, probabilmente anche incostituzionale. Violerebbe, infatti, i principi più basilari di equità fiscale e di uguaglianza introducendo una distinzione tra gli investimenti diretti in cripto-attività, che sarebbero tassati al 42%, e gli investimenti indiretti tramite fondi d’investimento (ETF, ETP, ETC, ecc.) e strumenti derivati che rimarrebbero al 26%”.
“La proposta metterebbe in grave svantaggio l’industria italiana dei servizi cripto, minando l’innovazione e l’attrattività del Paese per investitori, start-up e talenti tecnologici”, avverte la lettera firmata, tra gli altri, da Andrea Ferrero (Young Platform), Gianluigi Guida (Binance Italia), Christian Miccoli (Conio), Ferdinando Ametrano (CheckSig), Valeria Portale (Osservatorio Blockchain & Web3 Politecnico di Milano) e Gianluca Sommariva (Hodlie).
Il caso degli Etf sulle cripto
In effetti la distorsione esiste in quanto i detentori di criptovalute attraverso Etf, derivati e altri tipi di contratti con sottostante bitcoin e crypto continuerebbero a giovarsi della tassazione al 26%. L’analista finanziario Mario Seminerio rimarca che se la fiscalità sugli Etf che trattano criptovalute resterà al 26 per cento “avremo non solo una comoda backdoor elusiva ma anche il rafforzamento dell’industria finanziaria, che ha ormai catturato le criptovalute, impacchettandole in propri involucri di mercato”.
Il governo Meloni intende rivedere anche i parametri che fanno scattare la cosiddetta webtax, cioè l’imposta sui servizi digitali, oggi pari al 3 per cento dei ricavi di aziende con fatturato globale di almeno 750 milioni di euro, di cui almeno 5,5 milioni in Italia, e che nell’anno fiscale 2022 ha prodotto un gettito di 390 milioni. Il testo della manovra elimina le soglie di fatturato assoggettando al tributo tutte le imprese del settore. “Una discreta nemesi per tutti i dichiaratori compulsivi, soprattutto della maggioranza, che nelle ultime settimane hanno ripetuto ossessivamente la frase ‘dobbiamo tassare i giganti del web’”, commenta Seminerio.
Tante le voci di dissenso, tra cui Paolo Ardoino, ceo di Tether, la maggiore stablecoin al mondo.
Gianluigi Guida, Ceo di Binance Italy, ha rimarcato che l’aumento della tassazione sulle plusvalenze e gli altri proventi da cripto attività al 42% crea uno squilibrio rispetto ad altri strumenti finanziari la cui aliquota fiscale rimane fissata al 26%. “Tale disparità scoraggia gli investitori e gli imprenditori, attori fondamentali per stimolare l’innovazione nell’economia digitale italiana, in rapida crescita. Una simile divergenza non solo disincentiva gli investitori ma allontana anche startup e player dell’innovazione che sono in prima linea nello sviluppo della tecnologia blockchain. Un rischio che si traduce in una potenziale «fuga di cervelli» e di capitali, con talenti ed aziende che cercherebbero contesti più favorevoli, compromettendo così la competitività dell’Italia nell’economia digitale globale”.
Tre possibili mosse dei detentori di bitcoin
Per chi detiene criptovalute si pongono davanti diversi possibili scenari. Il primo, quello più impulsivo e immediato, può essere la scelta di vendere tutto entro fine 2024 in modo da avere una tassazione al 42%.
Al contrario, l’opzione all’estremo opposto, è quella di tenere in portafoglio tutti i bitcoin, magari aspettando che questa “stortura fiscale” venga ricomposta in futuro.
Tra le soluzioni che si possono valutare c’è quella intermedia di vendere solo parte dei propri crypto asset cercando di rimanere sotto la soglia di 2.000 euro di plusvalenze.