Stangata bitcoin, effetto boomerang per l’Italia. Ecco il calcolo della ricchezza monstre bruciata dalla tassazione

Ore di trepidazione per gli italiani che posseggono bitcoin. Il governo Meloni potrebbe ricredersi sul tanto criticato aumento della tassazione sulle plusvalenze da bitcoin dal 26 al 42%, contenuto nella prima versione della Manovra 2025 come anticipato dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Se effettivamente la misura andrà nella prossima legge di bilancio, si applicherebbe a partire dal 2025.
La Lega non ci sta, le parole di Freni
In questi giorni sono state tante le critiche e anche in seno alla maggioranza di governo si è aperta una crepa. La Lega si mostra contraria, come confermato ieri dal sottosegretario all’Economia Federico Freni. Nella manovra “c’è una sola tassa che aumenta”, quella sulle plusvalenze sul bitcoin e le altre criptovalute “e spero non resterà così: spero che sia una delle cose che possa cambiare in parlamento”. “Come Lega credo che una riflessione sul bitcoin vada fatta – ha aggiunto Freni intervenendo a RadioUno- . Quello delle criptovalute è probabilmente il settore del futuro e aumentare così tanto la fiscalità sulle plusvalenze non è proprio una cosa sensata da fare”.
Sulla stessa lunghezza d’onda il deputato della Lega Giulio Centemero che, settimana scorsa, ha affermato che aumentare la tassazione “è controproducente perché spinge al sommerso, mentre noi vogliamo tutelare i piccoli risparmiatori, accompagnare un mercato in crescita, che è il futuro ed è usato da tanti italiani. Inoltre, c’è un tema di allineamento geopolitico: noi lavoriamo con Musk e sosteniamo Trump e la loro posizione è chiara”.
I numeri in gioco
Una batosta che riguarderebbe milioni di italiani, in particolare i più giovani. La maggioranza degli investitori ha infatti meno di 40 anni e secondo un’indagine dell’Osservatorio Blockchain & Web3, si stimano circa 3,6 milioni di italiani che detengono cryptoasset. Sono 150 i Virtual Asset Service Providers iscritti nel registro dell’Organismo Agenti e Mediatori (OAM) e il settore genera un indotto di circa €2,7 mld, con un aumento del 85% rispetto al 2023.
Tante le voci di dissenso, a partire da Paolo Ardoino, ceo di Tether, la maggiore stablecoin al mondo. Gli operatori italiani del settore criptovalute hanno inviato al ministero preposto una lettera aperta che denuncia i pericoli connessi alla proposta inserita nella legge di bilancio.
La lettera dei player crypto al ministero: “Proposta discriminatoria e incostituzionale”
“L’aumento nel 2025 dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze cripto al 42%, dal 26% finora applicato e usuale per le rendite finanziarie – recita la lettera – sarebbe fiscalmente discriminatorio e quindi iniquo, probabilmente anche incostituzionale. Violerebbe, infatti, i principi più basilari di equità fiscale e di uguaglianza introducendo una distinzione tra gli investimenti diretti in cripto-attività, che sarebbero tassati al 42%, e gli investimenti indiretti tramite fondi d’investimento (ETF, ETP, ETC, ecc.) e strumenti derivati che rimarrebbero al 26%”.
“La proposta metterebbe in grave svantaggio l’industria italiana dei servizi cripto, minando l’innovazione e l’attrattività del Paese per investitori, start-up e talenti tecnologici”, avverte la lettera firmata, tra gli altri, da Andrea Ferrero (Young Platform), Gianluigi Guida (Binance Italia), Christian Miccoli (Conio), Ferdinando Ametrano (CheckSig), Valeria Portale (Osservatorio Blockchain & Web3 Politecnico di Milano) e Gianluca Sommariva (Hodlie).
Effetto controproducente per l’erario
Paradossalmente, l’aumento dell’aliquota avrebbe l’effetto controproducente per l’erario di far fuggire dall’Italia i capitali cripto o potrebbe indurre gli investitori a realizzare il capital gain entro la fine del 2024, con evidenti effetti distorsivi del mercato. “Il percorso virtuoso di chiarimenti fiscali avviato con la legge di bilancio 2023 aveva colmato un buco legislativo, togliendo milioni di investitori dall’incertezza e consentendo loro di adempiere a tutti gli obblighi fiscali. Questo percorso verrebbe oggi interrotto, incrementando il malcontento e indebolendo il contrasto all’evasione fiscale”, è un altro passaggio della lettera.
Simulazione degli effetti di una aliquota più alta
Daniele Bernardi, ceo di Diaman Partners, ha fatto un’analisi quantitativa sull’impatto che la tassazione ha sul capitale degli investitori.
Una premessa è doverosa in merito al concetto di rendimento composto, strategico per un investitore e molto impattante a livello economico anche per chi tassa questi guadagni.
Ipotizzando un investimento iniziale di 10.000€ e un rendimento del 50% all’anno, scelto di proposito molto alto per far trasparire a massimo il problema e anche perché rendimenti di questa entità, se non superiori, non sono affatto anomali tra gli investitori in criptovalute negli ultimi 10 anni. Dopo il primo anno un tale rendimento porta a veder lievitare la somma a 15.000€. Dal secondo anno il calcolo diventa meno intuitivo. La cifra sale a 22.500€ in quanto il 50% si applica sul nuovo ammontare (alla fine del 1° anno), ossia 15.000 euro e non su quello di partenza.
Tabella 1: Rendimenti composti al 50% annuo
E così andando avanti si arriva dopo 10 anni a un capitale di oltre mezzo milione di euro dai 10.000€ iniziali. L’interesse composto è il segreto di chi ha avuto la perseveranza di puntare sul lungo periodo in investimenti decisamente remunerativi come quello in Bitcoin.
In assenza di transazioni, lo stato non avrebbe guadagnato nulla per 10 anni. Se poi allo scoccare del decimo anno si decide di vendere, lo Stato incassa il 26% della transazione, ossia 147.329€.
Bernardi nel suo post su Linkedin propone poi un secondo scenario, da investitore di lungo termine a trader che riesce ogni anno a guadagnare il 50% dai propri investimenti con costanza, facendo molte operazioni. “Nonostante sia molto accorto e quindi usi il regime di tassazione dichiarativo differendo di qualche mese il pagamento delle tasse rispetto ad un regime amministrato, l’investitore si troverebbe a pagare ogni anno il 26% di tasse e quindi ad investire su un capitale minore di anno in anno rispetto all’esempio precedente”, spiega Bernardi.
Tabella 2: confronto tra capitale lordo e al netto di tasse al 26%
La tassazione del 26% va a più che dimezzare il capitale del trader e lo Stato si trova invece a incassare 78.323€, ben il 46% in meno dell’esempio dell’investitore di lungo periodo.
In sostanza, la tassazione sulle plusvalenze nel caso di attività periodica di acquisto e vendita di asset, classica dei trader, si traduce in una distruzione di ricchezza di 265.408€ che non vanno ne all’investitore ne allo stato, semplicemente viene distrutta dal meccanismo contorto di tassazione.
Cosa succede invece se si alza la tassazione, come previsto per le criptovalute, dal 26 al 42%?
Tabella 3: Risultati della tassazione al 42%
La prima cosa che salta all’occhio è che un trader si vede ridotto di 4/5 circa il proprio patrimonio, ma la cosa più eclatante è che se fate la somma dei quattrini incassati dallo Stato, se nei primi anni avrebbero guadagnato qualche centinaia di euro in più, già dal 9° anno avrebbe iniziato ad incassare di meno.
Conviene realmente allo Stato tassare di più?
Alla fine nelle casse dello Stato andrebbero 6.845€ in più della tassazione al 26% “ma con la disastrosa conseguenza che avrebbe distrutto ricchezza al povero investitore per 363.868€, quindi circa 100.000€ in più di prima”.
Bernardi propone anche una tabella a 30 anni. Un trader sarebbe stato ipoteticamente in grado di generare ricchezza per 1,9 miliardi di euro, in realtà si troverebbe con miseri 126 milioni in caso di tassazione al 26% e 20 milioni con una tassazione del 42%.
Tabella 4: perdita di ricchezza a 30 anni a causa della tassazione