Sintomi di squilibrio sui mercati da far venire l’insonnia, ecco le possibili vittime dei tassi negativi
I mercati e l’economia presentano sintomi di squilibrio e le politiche monetarie accomodanti delle banche centrali abbinate a gestioni aziendali poco accorte sembrano essere all’origine di tale squilibrio crescente. Parte da queste premesse l’analisi di Robert M. Almeida, Portfolio Manager e Global Investment Strategist di MFS. Nel suo commento intitolato in modo eloquente ‘I pensieri che mi tengono sveglio la notte’, Almeida asserisce che una volta che questa combinazione di fattori verrà meno, le società gestite in un’ottica di breve termine evidenzieranno performance peggiori rispetto a quelle che operano con una prospettiva di lungo periodo. Di seguito l’analisi completa del portfolio manager:
Migliaia di miliardi di dollari di obbligazioni offrono ormai rendimenti sotto lo zero, le curve dei rendimenti si sono invertite, i volumi degli scambi globali sono scesi in territorio negativo, l’industria manifatturiera si sta contraendo a livello mondiale e quasi 20 banche centrali hanno tagliato i tassi quest’anno: questi sintomi, trascurati, segnalano la presenza di un certo squilibrio sui mercati e nell’economia.
Dall’errata allocazione del capitale ai crolli del mercato
Negli ultimi vent’anni, gli investitori hanno dovuto affrontare due gravi ribassi di mercato: le ripercussioni di un’errata ed eccessiva allocazione del capitale nel settore tecnologico alla fine degli anni Novanta e i massicci sovrainvestimenti in prodotti immobiliari e leveraged finance a metà degli anni Duemila. In entrambi i casi, i drastici ribassi del mercato sono stati accompagnati da una recessione.
Oggi potremmo trovarci nel bel mezzo di un altro tipo di bolla. Invece di un sovrainvestimento in una specifica tecnologia o settore, come avviene di solito, abbiamo assistito a un fondamentale (e sprovveduto) cambiamento nelle modalità di gestione delle società. Pratiche che un tempo costituivano le fondamenta della gestione aziendale, come le attività di ricerca e sviluppo e gli investimenti in capitale, sono state abbandonate per dare agli investitori ciò che desiderano ora, ossia profitti a breve termine, a scapito del valore a lungo termine.
A cosa è dovuto questo cambiamento?
L’intervento delle banche centrali sui mercati dei capitali dopo la crisi finanziaria (per oltre 10.000 miliardi di dollari) ha provocato una nuova forma di errata allocazione del capitale. Come previsto, il quantitative easing ha spinto gli investitori a puntare su segmenti più rischiosi. La speranza era che il capitale arrivasse nelle mani dei produttori i quali, a loro volta, avrebbero investito in manodopera, produzione e attività in grado di far crescere l’economia; le cose, però, sono andate diversamente.
I dirigenti aziendali, con strutture retributive allineate con l’andamento a breve termine delle quotazioni azionarie, hanno cominciato a concentrarsi su orizzonti più brevi, da anni a mesi, ossessionati dall’accresciuto interesse degli investitori per il reddito e il rendimento del capitale. Di conseguenza, i bilanci hanno conosciuto un aumento dell’indebitamento, i dividendi sono aumentati e le operazioni di fusione e acquisizione e i riacquisti di azioni sono saliti vertiginosamente. Le politiche di rendimento del capitale hanno preso il posto degli investimenti aziendali a lungo termine, contribuendo a una produttività inferiore alla media e a un rallentamento della crescita economica, anche se i margini societari hanno toccato massimi storici. In sostanza, il mercato è stato in grado di costruire una reggia, ma dalle fondamenta di carta.
Il venir meno dei fattori di sostegno
Come considerare i rischi generati dal comportamento aziendale degli ultimi dieci anni? Ricordiamo che all’indomani della bolla tecnologica, gli utili per azione erano scesi di oltre il 30%, mentre durante la crisi finanziaria mondiale erano crollati di oltre il 55%. In un’epoca in cui le aziende non investono in misura sufficiente nelle funzioni aziendali core, quale sarà l’evoluzione degli utili una volta venuti meni gli impulsi artificiali ai margini frutto dell’ingegneria finanziaria?
Finanza non vuol dire scienza. Non possiamo effettuare test retrospettivi sui tassi d’interesse negativi o sulle nuove iterazioni dell’espansione monetaria. Pertanto, pur non avendo visibilità sulla futura evoluzione della situazione, siamo convinti di una cosa: le società focalizzate sui fondamentali che privilegiano strategie a lungo termine avranno la meglio. A mio avviso, alla fine è sempre una questione di fondamentali.
Un certo squilibrio
In sintesi, i mercati stanno cercando di dirci qualcosa. Il mio punto di vista è semplice: le società con livelli di indebitamento eccessivi e prodotti facilmente sostituibili saranno le più esposte al rischio nell’eventualità di un crollo del mercato, mentre le società con prodotti e servizi unici e un’enfasi sul lungo periodo potrebbero ottenere ottimi risultati grazie alla sostenibilità dei loro cash flow. La capacità di distinguere tra questi due tipi di società è il valore aggiunto apportato da una gestione attiva.