Risparmio in tumulto, alert blocco emissioni nuovi PIR. Da alcune SGR l’alt è già scattato
Mondo del risparmio in tumulto, è alert emissioni di Pir (Piani individuali di risparmio).
L’alert viene lanciato da Il Sole 24 Ore con l’articolo “Risparmio: Pir nel caos Emissioni bloccate”. Viene messa in evidenza l’impasse che si è venuta a create con la riforma varata dal governo M5S-Lega attraverso la legge di bilancio per il 2019. Una “riforma – scrive il quotidiano di Confindustria – che rinvia a decreti attuativi il loro funzionamento (dei Pir), mettendo in stand by l’industria del risparmio che minaccia di bloccare l’emissione di nuovi Piani”.
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La notizia del “pasticcio” contenuto nella manovra gialloverde viene data anche dal Giornale:
“La manovra finanziaria giallo-verde ha prodotto un nuovo danno. Finora rimasto un po’ sottotraccia. Ma da qualche ora sempre più serio: le principali società di risparmio gestito (quelle che vendono i fondi comuni per capirci) stanno ordinando alle loro reti di promotori di bloccare la vendita di nuovi Pir (Piani individuali di risparmio).
Per PIR si intendono quei fondi che sono stati lanciati nel 2017 con il governo Gentiloni, concepiti per sostenere investimenti di lungo termine e dirottare i risparmi degli italiani verso l’economia italiana.
L’effetto PIR su Piazza Affari, nei primi mesi dalla loro introduzione, confermandosi subito positivo, come si legge nel seguente articolo FTSEMIB: STAR e small cap regine del mercato. Grazie ai PIR che risale al maggio del 2017.
Il successo è stato assicurato, tra le altre cose, dall’esenzione fiscale assicurata ai risparmiatori che investono nei fondi, a condizione che li tengano per almeno cinque anni.
In particolare, è stato stabilito che i redditi generati da questi prodotti finanziari non sono soggetti a imposizione fiscale, dunque non sono tassati come redditi di capitale e diversi di natura finanziaria e non soggetti all’imposta di successione.
Attraverso il lancio di questi prodotti e grazie all’esenzione fiscale, corposi investimenti sono stati dirottati a favore delle PMI, piccole e medie imprese, che con i PIR hanno trovato una fonte di finanziamento alternativa ai prestiti erogati dalle banche.
Ma ora la disciplina di questi fondi potrebbe cambiare. Le vecchie regole, scrive Il Sole 24 Ore, sono state infatti congelate. Mancano però le nuove, e l’idea sarebbe quella di varare una norma transitoria.
Chi opera sul settore vive così in una situazione di limbo normativo, in attesa dei decreti attuativi che dovrebbero arrivare entro i prossimi 120 giorni, e chiarire le novità. Novità che sono state accolte già con preoccupazione da alcuni operatori del settore. 120 giorni, fa notare Il Sole, sono “troppi sia per l’industria del risparmio, sia per gli investori”.
Sia il Giornale che Il Sole 24 Ore spiegano inoltre che la nuova normativa obbligherebbe i nuovi Pir sottoscritti dal 1° gennaio del 2019 a investire almeno il 3,5% del patrimonio in fondi italiani di venture capital (con determinate caratteristiche) e un altro 3,5% in azioni di pmi (quotate Aim) con meno di 250 dipendenti e 50 milioni di ricavi.
A tal proposito, il Giornale fa notare che “per Sgr con patrimoni Pir nell’ordine di qualche miliardo (è il caso delle prime cinque della classifica, che da sole valgono il 75% del totale), tali vincoli sono assai difficili da rispettare perché non esistono sul mercato quantitativi sufficienti di questi tipi di titoli (specie venture capital). Inoltre, stando così le cose, verrebbero a esistere due tipi di Pir: quelli ante 2018 e quelli post. Infine, inserendo titoli altamente illiquidi nei portafogli, si alza drasticamente anche la rischiosità dei Pir“.
Per porre fine alla paralisi le Sgr starebbero attendendo i decreti attuativi. Intanto, “tra i big, sia Eurizon (Intesa) sia Arca hanno deciso di fermare la sottoscrizione di nuovi Pir, mentre Mediolanum sta valutando ed è verosimile che gli altri seguiranno poi la stessa strada: il rischio è che comprando un nuovo Pir, che non può rispettare i parametri della legge, si perda il beneficio fiscale“.
Lo stallo sui Pir, scrive Il Sole (il dossier è stato coperto da Plus24, che uscirà domani insieme al quotidiano), esiste eccome. “Secondo quanto risulta a Plus24, chi oggi volesse sottoscrivere un piano individuale di risparmio non lo potrebbe infatti fare, a meno che non lo abbia già acquistato nel 2018 (o nel 2017) e volesse alimentarlo. Diversamente deve aspettare: non c’è ancora un mercato con prodotti conformi alla nuova normativa. Eurizon per esempio ha bloccato la sottoscrizione dei Pir e consente soltanto a chi è già titolare di alimentarli con investimenti aggiuntivi”.
Risparmio e Pir: Circolare AG 2018
Così la circolare 3/E dell’Agenzia delle Entrate, sulla Legge 11 dicembre 2016, n. 232 (legge di bilancio 2017), articolo 1, commi da 100 a 114, in merito all’applicazione delle disposizioni concernenti i piani di risparmio a lungo termine (PIR).
Nella circolare l’Agenzia delle entrate precisa la natura dei PIR, parlando di un intervento normativo che era nato dall’esigenza di prevedere un significativo incentivo fiscale finalizzato a canalizzare il risparmio delle famiglie verso gli investimenti produttivi in modo stabile e duraturo, facilitando la crescita del sistema imprenditoriale italiano.
L’obiettivo della normativa in esame è, in particolare, quello di “indirizzare il risparmio delle famiglie, attualmente concentrato sulla liquidità, verso gli strumenti finanziari di imprese industriali e commerciali italiane ed europee radicate sul territorio italiano per le quali maggiore è il fabbisogno di risorse finanziarie e insufficiente è l’approvvigionamento mediante il canale bancario”.
Viene sottolineato come “il risparmio conferito nel PIR” deve essere destinato per almeno il 70 per cento a investimenti qualificati e, per la restante parte (quota cd. “libera”), a investimenti non aventi le caratteristiche per essere considerati qualificati nonché in impieghi di liquidità, quali deposti e conti correnti”. La circolare spiega cosa si intende per investimenti qualificati, laddove si legge che il riferimento è a “strumenti finanziari emessi o stipulati con imprese residenti fiscalmente in Italia o, nel caso di imprese residenti in Stati membri della UE o in Stati SEE, che abbiano una stabile organizzazione in Italia ai sensi dell’articolo 162 del TUIR. Si ricorda che attualmente gli Stati aderenti allo SEE, diversi dagli Stati membri dell’Unione Europea, sono la Norvegia, l’Islanda e il Liechtensten”.
Viene specificato, ancora, che la quota obbligatoria del 70 per cento deve “essere investita per almeno il 30 per cento del valore complessivo in strumenti finanziari di imprese diverse da quelle inserite nell’indice FTSE MIB (Financial Times Stock Exchange Milano Indice di Borsa) di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati esteri (di seguito, semplificando in breve imprese “NON FTSE MIB”).
Trattasi, ad esempio, di strumenti di società non quotate o di società quotate in Borsa italiana ma NON FTSE MIB o di società quotate in mercati regolamentati, quali l’AIM Italia (mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese italiane) o nel segmento STAR del MTA (mercato di Borsa italiana che si rivolge alle imp rese di media e grande capitalizzazione).
Tra le disposizioni presentate, comunicati anche I limiti all’entità delle somme e valori destinati al PIR.:
“Il comma 101 stabilisce un limite all’entità (cd.plafond) delle somme o valori da destinare al PIR. L’importo investito, infatti, non può superare complessivamente il valore di 150.000 euro, con un limite, per ciascun anno solare, di 30.000 euro. Tuttavia, non è previsto un arco temporale prefissato per il raggiungimento del ‘tetto’ massimo complessivo. E’ comunque consentito destinare al piano importi inferiori al limite annuo di 30.000 euro. In tale ultimo caso, l’importo non investito in un anno può essere investito negli anni successivi, rispettando sempre il limite annuale di 30.000 euro. Ciò comporta che il limite complessivo di 150.000 euro può essere raggiunto in un periodo di tempo superiore ai cinque anni. Se, quindi, l’investimento effettuato nel primo anno è pari a 10.000 euro, tenuto conto che in ciascuno dei quattro anni successivi, l’investimento non potrà essere superiore a 30.000 euro, l’ulteriore investimento di 20.000 euro potrà essere effettuato negli anni successivi al quinto. E’ inoltre, consentito effettuare l’investimento in momenti diversi dell’anno, purché entro il limite dei 30.000 euro. Al fine del computo dei predetti limiti, si tiene conto delle somme affidate all’intermediario (bancario, finanziario o impresa di assicurazione) ovvero, nel caso di conferimento di strumenti finanziari già posseduti, del loro valore alla data di conferimento”.
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