Recovery Fund, Varoufakis consiglia di non festeggiare. E anche Confindustria
«Qualcuno dirà che l’Europa finalmente si sta muovendo veloce. Ma la direzione è sbagliata». Niente da fare. Per l’economista Yanis Varoufakis, ex ministro delle finanze del primo governo di Alexis Tsipras, l’Europa continua a non fare abbastanza. La soluzione per salvare la stessa Unione europea è un’altra, che dice chiaramente nel corso di un’intervista a La Stampa:
“Bisogna che la Bce emetta eurobond trentennali. Solo così l’Italia si salva. Altrimenti già tra un anno Bruxelles sarà pronta a chiedere politiche di austerity, come ha fatto con noi in Grecia”.
Ma quindi non va festeggiato neanche il fatto che Bruxelles abbia deciso di dare la fetta più grande della torta all’Italia? Praticamente 170 miliardi di euro, tra sussidi e prestiti? Varoufakis ammette che i soldi non sono pochi.
“Per ora la proposta della Commissione è un compromesso tra il piano di Macron e Merkel e la rigidità dimostrata dai Paesi “frugali” del Nord. Ma sarebbe sbagliato festeggiare solo per la quantità di risorse stanziate. Serve qualità…”.
Cioè?
“Mi spiego. Ci sono tre punti che non mi convincono di questo pacchetto. Secondo le mie stime inciderà per circa l’1% del Pil italiano per i prossimi tre anni: un valore insignificante. Tanti miliardi, poi, essendo vincolati a investimenti in settori come le nuove tecnologie, saranno dirottati più su Francia e Germania che sull’Italia. Infine i prestiti dovranno essere ripagati e, con un debito pubblico che salirà al 200% del Pil, sarà difficile farlo”.
Dunque, secondo Varoufakis, la soluzione sarebbe per l’appunto quella “degli eurobond trentennali emessi dalla Banca centrale europea sotto la tutela di un ministero del Tesoro comune“. C’è anche una seconda soluzione, che consiste in “un piano di investimenti veicolati dalla Bei, un Green Deal verde di 500 miliardi l’anno”. E “una terza idea è l’helicopter money, soldi a pioggia ai cittadini come ha fatto Trump. Solo così affronteremo i costi della crisi economica senza scivolare nell’austerità”.
Varoufakis tiene a precisare di non essere affatto un sovranista: “A differenza dei sovranisti io credo nell’Europa. Ma quello di cui abbiamo bisogno è crescita, non austerità. Se Bruxelles minacciasse l’arrivo della Troika in Italia l’unico a festeggiare sarebbe la Lega di Salvini: non vede l’ora di tornare alla lira».
E come Savona anche Varoufakis inciampa sul ‘Giappone’
Varoufakis poi fa il paragone che in passato ha fatto anche l’ex ministro agli Affari europei, al momento numero uno della Consob, Paolo Savona: quello tra Italia e Giappone. Un paragone che, per una serie di motivi logici, non sta in piedi , ma che evidentemente a certa parte della politica piace.
Secondo l’ex ministro a paesi come Italia e Grecia non dovrebbe essere imposto neanche un minimo di austerity, nonostante il loro debito pubblico. Perchè?
“La risposta è una parola: Giappone. È uno Stato per certi versi simile al vostro: Paese industriale, votato alle esportazioni con una popolazione anziana. Ma con una sua banca centrale…”.
Il 14 giugno 2019 Savona citò il Giappone “esempio istruttivo”, nel sottolineare come livelli di indebitamento del 200% rispetto al PIL potessero essere accettabili.
Vale la pena a tal proposito risfoderare l’opinione dell’economista Alberto Bisin, professore di economia presso la New York University che, in una puntata di Scarabeo, ha spiegato tutti i motivi per cui l’Italia non è il Giappone.
Recovery Fund: un affare o no?
Tornando al Recovery Fund, opinione di Yanis Varoufakis a parte, occhio alla nota di Andreas Billmeier, sovereign research analyst di Western Asset (Gruppo Legg Mason), che ha commentato così la proposta sul piano di ripresa economica Next Generation EU arrivata ieri:
“La proposta della Commissione Europea, si legge nella nota di Billmeier, “mette insieme un piccolo aumento (finanziario) della proposta di bilancio UE 2021-2027, pari a 1,1 trilioni di euro, con un programma per la ripresa chiamato Next Generation EU del valore di 750 miliardi. Questo strumento dovrebbe ottenere denaro dai mercati e distribuirlo in un certo numero di nuovi e vecchi programmi UE, di cui 2/3 saranno a fondo perduto e il resto in prestiti. Sulla base dei modelli preliminari di allocazione dei finanziamenti, crediamo che i principali vincitori qui siano la Spagna (con una quota elevata di finanziamenti a fondo perduto), l’Italia (con la fetta complessiva più grande) e soprattutto la Polonia, con una strizzata d’occhio al più grande paese dell’Europa Centro-Orientale. Per capirci, la Polonia dovrebbe ricevere tanto denaro a fondo perduto quanto la Francia”.
L’analista va avanti, ricordando che “è importante sottolineare che questo pacchetto richiederà l’unanimità per essere approvato. La proposta di oggi (ieri per chi legge) è coerente con alcune dichiarazioni recenti sul bilancio UE di alcuni stati membri, ma aggiunge anche una nuova dimensione alla discussione tramite il programma per la ripresa. Detto ciò, i paesi che si sono opposti alla proposta franco-tedesca di un paio di settimane fa potrebbero trovare scarsa consolazione nel fatto che la proposta della Commissione comprenda anche una robusta quota di prestiti. Alla fine, la questione è quanto i paesi membri sono disposti a contribuire nel tempo – non tanto ora – per finanziare queste spese straordinarie (ma temporanee), o se sono – in alternativa o in aggiunta – disposti a concedere ulteriori responsabilità di imposizione fiscale all’Unione Europea, come proposto oggi (ieri per chi legge). In un certo senso, questo potrebbe essere un vero passo avanti verso un’autorità fiscale centralizzata“.
Detto questo, una certa cautela sul Recovery Fund è stata espressa in queste ore anche dal neo presidente di Confindustria, Carlo Bonomi:
Il Recovery fund “ci regala una speranza – ha detto – ma “non vorrei che ci illudessimo che questi finanziamenti e fondi, 172 miliardi, possano arrivare domani mattina. Sarà un percorso lungo per averli che prevede l’unanimità di voto all’interno della Comunità europea e che sarà soggetto a tantissime contrattazioni e condizionalità”.
Intervenendo all’evento online organizzato da Fondazione Fiera Milano, ‘C’era una svolta…’ e facendo riferimento ai quei quattro paesi Ue che l’ex premier Enrico Letta ha definito chiaramente “tirchi” – Austria, Olanda, Svezia, Danimarca – Bonomi ha avvertito che c’è bisogno di capire come “arriveremo ad avere quei soldi, quali saranno le condizioni e come saremo in grado di spenderli”.
Purtroppo, ha aggiunto Bonomi, “il track record di questo Paese (dell’Italia) nell’utilizzo dei fondi e nella gestione degli investimenti non è positivo, anzi. Normalmente abbiamo sprecato grandi occasioni“.