Rapporto Draghi sotto la lente di Scope Ratings: “urge colmare divario produttività con gli Usa”
A un anno esatto dall’incarico conferitogli dalla presidente della commissione Ue Ursula von der Leyen, lo scorso 9 settembre l’ex premier italiano Mario Draghi ha presentato ufficialmente al pubblico il suo rapporto sulla competitività europea. Un documento strutturato su più punti, principalmente produttività, riduzione delle dipendenze, clima, inclusione sociale, insieme a diversi spunti e misure per i singoli settori sulla base dei dieci principali dossier economici che riguardano l’Unione europea.
Lo scenario, e le proposte, delineate da Draghi vengono confermate ed ulteriormente evidenziate da un’analisi curata da Scope Ratings, dal titolo «Il report Draghi: lo stallo politico e il divario di produttività dell’Europa frenano le prospettive di crescita». L’agenzia di rating europea passa così al setaccio il documento, evidenziandone alcuni punti e sottolineando «l’urgenza di colmare il divario di produttività, soprattutto rispetto agli Stati Uniti, e affrontare la stagnazione politica in paesi chiave come Francia e Germania».
Obiettivi ambiziosi dal piano Draghi
Stando a quanto emerge dalle centinaia di pagine prodotte dall’ex numero uno della Banca centrale europea, per salvaguardare la propria competitività e conquistare una leadership importante all’interno dei mercati internazionali, l’Ue necessita di un cambiamento radicale che gli permetta di fronteggiare Stati Uniti e Cina a livello di produttività e crescita.
Un obiettivo ambizioso, raggiungibile solo concentrando i giusti sforzi economici e industriali, in termini di investimento pubblico e privato. Fra i dati che saltano più all’occhio vi è infatti la stima del fabbisogno annuo aggiuntivo di investimenti pari a circa 750-800 miliardi di euro, ossia quasi il 4,5% del PIL dell’Ue.
L’attenzione per Francia e Germania
L’analisi di Scope curata da Alvise Lennkh-Yunus e Brian Marly (rispettivamente Sovereign & Public Sector di Scope Ratings) punta a sottolineare l’urgenza di colmare il divario di produttività, soprattutto rispetto agli Usa, e affrontare la stagnazione politica in Francia e Germania. Due paesi membri cruciali, che nelle ultime tornate elettorali hanno visto primeggiare partiti di stampo populista e di estrema destra. Nel dettaglio, il neo-governo francese con molta probabilità conterà sull’appoggio delle forze conservatrici guidate da Marine Le Pen e Jordan Bardella, storicamente avversi all’ingerenza di Bruxelles nella politica nazionale.
Mentre dall’altra parte «il recente successo dei partiti populisti di estrema destra e di estrema sinistra in Turingia e Sassonia evidenzia il panorama politico frammentato della Germania». Come sottolinea l’analisi, «le prospettive di crescita a medio termine dell’Europa, stimate intorno all’1,0-1,5%, sono inferiori al 2,0% stimato per gli Stati Uniti». Un gap colmabile attraverso le proposte di Draghi, il cui avanzamento tuttavia «incontra l’opposizione dei partiti populisti ed estremisti con programmi nazionalisti». Uno scenario che, nel suo complesso, rischia di allontanare i due stati dai progetti di stampo marcatamente europeista portati avanti dall’ex presidente del Consiglio italiano.
Sfide per la competitività europea
Sul lato della competitività, l’Europa si trova ad affrontare una serie di sfide, con divari sempre più ampi in termini tecnologici e di produttività. Quest’ultimo specialmente «tra i dipendenti dell’Europa nord-occidentale e quelli degli Stati Uniti è aumentato al 20% nel 2023 dal 10% del 1999, quando è stato introdotto l’euro».
Un dato che suggerisce il fatto che la fascia nord occidentale dell’Europa soffra una ridotta produttività individuale, così come un minor numero di ore lavorate rispetto agli Stati uniti. Elementi da migliorare seguendo l’esempio dell’Europa centrale e orientale «dove il divario di produttività con gli Stati Uniti si è ridotto negli ultimi 25 anni».
Flussi migratori in soccorso del calo demografico
Sotto la lente anhe i temi della demografia e della migrazione. Da anni ormai si discute di “inverno demografico”, evidenziando la continua diminuzione della popolazione in età lavorativa dell’Europa, «aggravata dalla mancanza di flussi migratori sufficienti a compensare il declino naturale».
Al contrario, a trarre vantaggio della maggiore immigrazione sono proprio gli Stati Uniti, in cui coloro che fanno ingresso nel Paese contribuiscono a supportare la forza lavoro americana e il potenziale di crescita. «Ciò contrasta con l’Europa, dove il numero di migranti non è sufficiente a compensare il declino naturale della popolazione in età lavorativa, soprattutto in Germania, Italia e Spagna».
L’Europa dunque è chiamata ad aumentare la propria attrattiva verso l’estero, oltre a migliorare il suo sistema di integrazione dei lavoratori esterni. Un investimento per il futuro, per migliorare la produttività e sostenere la crescita.