Powell ha decretato morte curva Phillips? Ma relazione occupazione-inflazione era stata già smentita da stagflazione anni ’70
Se c’è qualcosa di certo che il discorso di Jerome Powell al Simposio virtuale di Jackson Hole ha decretato, è stato…la morte della curva di Phillips. E’ quanto ritengono diversi analisti, commentando la svolta storica con cui la Federal Reserve ha deciso di perseguire non più il target per il tasso di inflazione, ma il target (sempre pari al 2%) del tasso medio di inflazione, con il lancio dell’AIT (Average Inflation Targeting). ( che, secondo alcune simulazioni condotte dagli analisti di Bank of America, rischierebbe di far rimanere inchiodati i tassi sui feds funds ai livelli attuali…per ben 42 anni.
Così come ricorda Investopedia, la curva di Phillips “è un concetto economico sviluppato da A.W. Phillips, che stabilisce che l’inflazione e la disoccupazione hanno una relazione stabile e inversa. La teoria ritiene che, con la crescita economica, l’inflazione aumenti e che, dal canto suo, il rialzo dell’inflazione si traduca nella creazione di più posti di lavoro e in un tasso di disoccupazione più basso”.
La stessa Investopedia ricorda però come questa teoria venne smentita empiricamente con la stagflazione degli anni ’70, periodo in cui si registrarono livelli particolarmente elevati sia del tasso di inflazione, che del tasso di disoccupazione.
Reuters, inoltre, in un articolo pubblicato dopo il discorso del numero uno della Fed, ha fatto notare che Powell, nel parlare durante la conferenza annuale indetta dalla Federal Reserve di Kansas City, ha “svelato un nuovo approccio della banca centrale verso la politica monetaria, che pone maggiore enfasi sul calo dell’occupazione, dando mena importanza al timore che un basso livello di disoccupazione possa alimentare un’inflazione più alta”.
D’altronde, questa paura – avallata dai seguaci della teoria sulla curva di Phillips – non ha avuto finora grandi motivi, nella realtà, per essere considerata fondata (almeno negli ultimi anni). Anche nel pieno del vigore dell’economia americana pre crisi-COVID-19, gli alti livelli di occupazione non sono stati in grado di alimentare la crescita dell’inflazione, negli States, e non solo.
Mentre illustrava i forti progressi compiuti dal mercato del lavoro dell’area euro grazie alle manovre espansive lanciate dalla Bce, l’ex presidente della stessa Mario Draghi era costretto a ripetere la solita litania: l’inflazione dell’Eurozona era ben lontana dal target fissato dalla banca centrale, poco inferiore al 2%. Insomma, occupazione o meno, l’inflazione si considerava Mission Impossible, per la Fed e per la Bce.
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Non per niente l’investment manager Mario Seminario si è così espresso nell’articolo “E la Fed prese atto di non essere onnipotente”:
“Se non vi è chiaro, non crucciatevi: non lo è neppure per i banchieri centrali. O meglio, per loro è chiaro che la curva di Phillips si è appiattita in un modo drammatico, e di conseguenza è possibile avere disoccupazione molto bassa ed inflazione inesistente. Dopo di che, ci si potrebbe chiedere di che utilità potrà essere la nuova formula, se serve comunque stimare il ‘massimo’ livello occupazionale, e su tale stima in passato si è sbagliato più volte. Ma transeat. La stella polare resta questo benedetto o maledetto 2% di inflazione. Ma in molti si sono accorti che le banche centrali, in giro per il mondo, hanno semplicemente fallito nel tentativo di raggiungerlo, e tale fallimento dura da molti anni. Che significa ciò, in soldoni? Questo: che credibilità possono avere banche centrali che non riescono a conseguire il proprio obiettivo, quando riformulano l’obiettivo medesimo?”
Sulla curva di Phillips si è espresso anche Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos, nella newsletter Il Rosso e il Nero dal titolo inequivocabile “L’inflazione media e la fine della curva di Phillips”.
“Oggi la curva di Phillips – ha scritto Fugnoli – che pure è ancora presente nei grandi modelli econometrici delle banche centrali, viene dichiarata ufficialmente decaduta”. “La Fed – ha continuato lo strategist – proclama infatti che da qui in avanti reagirà solo all’occupazione troppo bassa e non farà invece nulla nel caso l’occupazione sia più alta di quella definita massima dai suoi modelli. Nei prossimi anni, quindi, la Fed alzerà i tassi solo in caso di inflazione conclamata, non nel caso di inflazione sospettata per troppa occupazione”.
Idem ha commentato nelle ultime ore Fabrizio Quirighetti, CIO, Head of Multi-Asset di DECALIA, nell’articolo dal titolo ancora più drastico, che suona praticamente le campane a morto per la nota teorie economica: “RIP Phillips Curve”, facendo riferimento all’intervento del presidente della Fed:
“Il presidente della Fed, Jerome Powell, ci ha dato la scorsa settimana alcune indicazioni su cosa ci aspetta per i mercati e gli investitori. Il suo atteso discorso sul nuovo quadro di politica monetaria della Fed durante il (virtuale) Jackson Hole Symposium è stato solo un esplicito riconoscimento delle attuali percezioni… Siamo passati da una Fed messa sui mercati a un ascensore della Fed. D’ora in poi, la Fed si concentrerà sull’inflazione media, permettendo all’inflazione di muoversi “moderatamente” al di sopra del suo obiettivo del 2%, compensando le mancanze se l’inflazione ha trascorso un periodo di tempo inferiore a quello precedente (come è stato il più delle volte negli ultimi anni, secondo il deflatore PCE preferito dalla Fed). Inoltre, la Fed non considererà più la forte occupazione come un segno di inflazione in entrata e quindi stringerà i tassi a causa di essa… In altre parole, la curva di Philips è morta! In teoria, la Fed è pronta a lasciare che la crescita si surriscaldi e di conseguenza l’inflazione aumenti sempre più rapidamente. Più facile a dirsi che a farsi, perché ci sono due problemi principali: 1) Non è proprio chiaro come la Fed, così come le altre banche centrali, possano effettivamente far sì che la crescita economica sia abbastanza forte da far salire (beni e servizi, dovrei precisare) l’inflazione. Basta guardare gli ultimi 10 anni o chiamare la BoJ. 2) Anche supponendo che l’inflazione torni davvero a salire, potrebbe essere molto più spaventosa che gradita se non viene tenuta sotto controllo. Fate attenzione a ciò che desiderate…”
“Quindi, per il momento – ha spiegato Quirighetti – la festa è qui per rimanere e gli investitori possono continuare a divertirsi e a godersi il viaggio… fino alla fine del 2024 o anche al 2025 secondo il mercato dei futures, che non si aspetta che la Fed aumenti il suo tasso obiettivo chiave prima di quella data”.
“Non ho il coraggio di scommettere che finirà prima – ha concluso l’esperto – ma sono abbastanza sicuro che probabilmente finirà in lacrime con conseguenze impreviste e/o turbolenze indesiderate sia sul mercato obbligazionario che su quello azionario. Dopo “Skate or Die!” (il famoso gioco di skateboard che tutti noi amavamo negli anni ’80), ora c’è “Bubble or Nothing”, una realtà meno divertente rappresentata in questo rapporto che dovreste leggere. Non sono sicuro che vi piacerà quanto un videogioco, ma spero davvero che vi aiuterà a migliorare le vostre capacità di skateboarding sui mercati finanziari”.
Detto questo, Mario Seminerio riconosce sicuramente un merito a Jerome Powell:
“Per ora, possiamo ringraziare Powell per aver permesso alla realtà empirica di guidare il ripensamento strategico. Forse è il minimo sindacale, per la più potente banca centrale del pianeta, quella che un tempo plasmava la realtà empirica ed ora deve adeguarvisi. Da qui ad affermare che le banche centrali riescano a controllare l’inflazione ce ne corre molto, però“.