Il piano italiano di At&T raccoglie le prime critiche
Che ci fa un’americana a Roma? O meglio quali sono i progetti che spingono un colosso come At&T a cercare l’espansione nel Belpaese? Da ieri sono in molti a chiederselo, al di qua e al di là dell’Atlantico. Il tutto dopo l’offerta per il 33% ciascuna di Olimpia, la controllante al 18% di Telecom Italia, da parte di At&T e America Movil. Se in casa nostra però i commenti si sono soffermati sullo sparigliamento delle carte imposto da Tronchetti Provera alle banche, la comunità finanziaria internazionale si è concentrata invece sulle reali potenzialità di un’operazione come quella prospettata per il primo gruppo di telecomunicazioni mondiale.
“Se Telecom Italia davvero può aumentare le potenzialità di At&T, allora questa è una compagnia molto più mediocre di quanto nessuno abbia mai immaginato” dicono, tanto per portare un esempio, gli analisti di Nomura in un report, riferendosi alle prime ammissioni del management. Ieri il portavoce di At&T, Michael Cole, ha infatti spiegato con affermazioni piuttosto vaghe i progetti del gruppo: “Abbiamo bisogno di robusti asset e rapporti – ha detto – in aree chiave e l’Europa è una di queste. Stabilendo una più solida e più stretta relazione con Telecom Italia saremo in grado di scambiare best practices (le migliori prassi aziendali e le migliori tecnologie, ndr). Potremo sviluppare assieme prodotti e tecnologie”.
Davvero però Telecom ha qualcosa da dare ad At&T? Nemmeno Citigroup pare crederci: “Vediamo limitate sinergie operative “, scrivono da New York. Gli analisti in sostanza rimangono dell’idea che sia più probabile una acquisizione della quota di Olimpia da parte delle banche italiane. Cosa At&T e Telecom Italia possano dare l’una all’altra è per alcuni analisti un mistero, mentre più giustificato dalle sinergie in terra brasiliana sarebbe solo la proposta di America Movil. “Si tratta, nella nostra opinione, di una mossa singolare – spiegano ancora da Nomura – il tracciato degli investimenti internazionali di AT&T non è esaltante e perché debba volere il 6% di Telecom Italia è per noi un mistero. La mossa di AT&T probabilmente dice più della mancanza di potenziale di crescita negli Stati Uniti che di un vero interesse per Telecom Italia”. Quest’ultimo è il tema su cui si concentrano le spiegazioni del mercato. In sostanza At&T non può più crescere negli Usa (principalmente a causa delle normative antitrust) e inizia a guardare fuori dai confini americani, espandendosi in Europa. Ma nuovamente, perché Telecom Italia? Un’ipotesi è che dietro l’interesse ci siano le attività di Telecom rivolte al mercato aziendale, che darebbero a At&T la possibilità di rispondere alla domanda di servizi da parte delle imprese multinazionali.
Un po’ poco comunque per un gruppo che solo pochi anni fa, quando ancora era divisa tra At&T e Sbc (l’operazione con cui Sbc ha incorporato At&T è del 2005), ha proceduto alla cessione delle partecipazioni in Belgacom, Tdc e Telekom South Africa, peraltro con scarso successo dal punto di vista reddituale. Certamente Telecom Italia è stata un vecchio amore di At&T, chiamata già nel ’97 ad entrare nel capitale di quello che era ancora il monopolista nazionale delle telecomunicazioni in via di privatizzazione. All’epoca non se ne fece niente, ma per At&T non fu un gran colpo. Oggi il gruppo è il più importante operatore tlc per giro d’affari non solo degli Usa, ma del mondo, occupa oltre 300mila persone e vanta una capitalizzazione di borsa di quasi 250 miliardi di dollari che ne fa la quinta maggiore azienda degli Stati Uniti.