Notizie Notizie Mondo Petrolio: luglio peggior mese del 2015 in scia a dollaro forte, Cina e super offerta

Petrolio: luglio peggior mese del 2015 in scia a dollaro forte, Cina e super offerta

31 Luglio 2015 08:53
Il petrolio ha vissuto luglio in discesa libera che si appresta a diventare il peggior mese per le quotazioni dell’oro nero da inizio 2015. La performance mensile si traduce in un crollo di circa 19 punti percentuali con il Wti tornato sotto la soglia dei 50 dollari al barile, ai minimi dallo scorso aprile. Sembra appartenere a un’altra epoca il luglio del 2014 quando il greggio veleggiava sopra quota 100 dollari al barile. La caduta, è bene dirlo, ha riguardato tutto il comparto delle materie: l’oro si trova ai livelli più bassi dal 2010 ma viaggiano sui minimi pluriennali anche l’argento, il platino e diversi metalli industriali come il rame e l’alluminio
Il movimento è partito ormai da tre anni e nelle ultime sedute ha spinto il Bloomberg Commodity Index, uno dei benchmark più utilizzato per misurare l’andamento delle materie prime, ai minimi da ben tredici anni. Sono tre i fattori principali che hanno contribuito al crollo del petrolio e delle altre commodity, in primis il forte apprezzamento del dollaro statunitense, valuta in cui sono denominate le materie prime. Dollaro che potrebbe rafforzarsi ulteriormente in vista di un’eventuale rialzo dei tassi da parte della Fed già nel corso del 2015.
Il secondo fattore determinante è la Cina, dove le ultime indicazioni macroeconomiche hanno alimentato i timori di un rallentamento del gigante asiatico. L’indice di fiducia dei direttori degli acquisti del manifatturiero a luglio si è confermato sotto la soglia dei 50 punti, che fa da spartiacque tra espansione e recessione dell’attività economica, scendendo ai minimi da 15 mesi. Di conseguenza, la domanda cinese, che una volta si credeva potesse crescere all’infinito, inizia a segnare il passo. Un esempio è la domanda di oro da parte di Pechino che si trova ai minimi dal 2009.
 
Infine, ma non meno importante, bisogna segnalare l’eccesso di offerta che è esplosa in scia al boom dello “shale oil” statunitense. L’Opec, confermando il target di produzione, ha puntato a destabilizzare l’industria estrattiva “non convenzionale”, ma la scorsa settimana le compagnie Usa hanno rimesso in funzione 21 trivelle, un balzo che non si vedeva da oltre un anno. A luglio c’è stato anche lo storico accordo sul nucleare in Iran, che senza le sanzioni dovrebbe aumentare ulteriormente l’offerta di petrolio e portare nuova pressione sui prezzi dell’oro nero