Petrolio, cambiano gli equilibri mondiali. Cina e India protagoniste
Occhi puntati sul petrolio, con il prezzo del Brent, riferimento europeo dell’oro nero che da inizio aprile continua a consolidare l’area degli 86 dollari al barile. Gli investitori continuano a monitorare i dati macroeconomici in Cina, alla ricerca di segnali convincenti che lascino presagire una rapida ripresa dell’economia, un fattore che non farebbe altro che alimentare la domanda mondiale di petrolio, in un contesto già penalizzato sul lato dell’offerta.
Ricordiamo infatti che la recente decisione dell’Opec+ di tagliare la propria produzione ha innescato un balzo del prezzo del greggio, che sui mercati internazionali è aumentato di oltre il 6% il giorno dopo l’annuncio del taglio. Questo ha confermato il ruolo del cartello di influenzare con le proprie decisioni, spesso prese all’ultimo e in contro tendenza rispetto a quanto detto precedentemente, i prezzi e i volumi degli scambi di petrolio.
Complessivamente, l’ulteriore taglio varato a inizio aprile dai membri dell’Opec+ prevede una riduzione di oltre un milione di barili di petrolio al giorno, pari all’1,6% dell’offerta globale; un taglio rilevante se si tiene conto che il consumo globale di petrolio si attesta a circa 100 milioni di barili al giorno.
La riduzione di produzione di petrolio partirà a fine maggio e rimarrà in vigore almeno fino alla fine del 2023, una mossa che potrebbe avere un impatto sull’economia globale e soprattutto sull’inflazione fortemente combattuta dalle banche centrali, alimentando i timori di ulteriori incrementi dei tassi di interesse.
Ma non solo, come dicevamo il taglio dell’OPEC riaccende l’ansia per l’inflazione, rilanciando le scommesse secondo cui la Federal Reserve statunitense e le altre principali banche centrali saranno costrette a tornare in modalità restrittiva per contenere ed evitare la ripresa dell’inflazione.
Iea, “la decisione dell’Opec+ aggrava il deficit di offerta di petrolio”
Nel frattempo, venerdì è stato pubblicato il report mensile dell’Iea, l’agenzia internazionale dell’energia, dal quale è emerso come “i tagli a sorpresa dell’Opec+ rischiano di aggravare il deficit di offerta di petrolio nel secondo semestre di quest’anno, aumentando ulteriormente i prezzi del petrolio sui mercati internazionali“.
In quest’ottica i membri del Iea, stimano ora per il 2023 un deficit di offerta mondiale di circa 800mila barili al giorno di petrolio, una mancanza che potrebbe addirittura raggiungere i 2 milioni di barili al giorno nell’ultima parte dell’anno.
Ecco che sulla base di queste ultime previsioni dell’Iae, il contesto che si sta delineando potrebbe produrrebbe i suoi effetti sul prezzo del petrolio che è visto in risalita nella secondo metà del 2023.
Il balzo dei prezzi del petrolio inevitabilmente aumenterà anche i profitti dei produttori locali di petrolio e gas.
Infine, ci si aspetta un trimestre d’oro per le raffinerei di petrolio
Russia e Cina hanno rotto il patto sul petrolio tra Usa e Arabia
Se da una parte si complicano sempre più i rapporti tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, sull’altro fronte i sauditi si avvicinano a Cina e Russia, ridisegnando gli equilibri economici e geopolitici sulla produzione di petrolio.
La mossa infatti inietta nuove tensioni nelle relazioni tra Arabia Saudita e Stati Uniti, che si sono deteriorate già da luglio, quando Biden visitò il regno nella speranza di convincere i politici a pompare più petrolio. Ricordiamo infatti che le relazioni tra i due Paesi sono state già messe a dura prova lo scorso ottobre, quando l’OPEC+ tagliò la sua produzione di 2 milioni di barili al giorno.
“La decisione dell’Arabia Saudita evidenzia che le sue relazioni bilaterali con la Cina stanno diventando sempre più importanti“, afferma Helima Croft , responsabile della strategia globale delle materie prime presso RBC Capital Markets. “La Cina è già il partner commerciale più importante del regno, ma adesso il futuro economico del paese è visto come residente a est“.
Boom di esportazioni di petroli russo
Nel frattempo, dal rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia emerge che a marzo le esportazioni di petrolio russo sono salite ai massimi da aprile del 2020, con i flussi di greggio russo che, nonostante le sanzioni occidentali, l’embargo e l’interruzione dei rapporti commerciali, sono tornati nelle ultime settimane sui valori precedenti lo scoppio della guerra in Ucraina.
Nel dettaglio, “le spedizioni totali di petrolio russo sono aumentate di 600mila di barili al giorno raggiungendo gli 8,1 milioni di barili/giorno, con i ricavi stimati delle esportazioni di petrolio sono risaliti in marzo di 1 miliardo fino a 12,7 miliardi di dollari, ma sono stati inferiori del 43% rispetto a un anno fa quando i prezzi erano al di sopra dei 100 dollari/barile (contro un minimo di 72 dollari toccato lo scorso marzo).
Da questo punto di vista, secondo alcune analisi ottimistiche, sarebbe proprio questo il modo in cui dovrebbero funzionare le sanzioni e quindi non tanto incidere sulla quantità, quanto sugli incassi che la vendita di petrolio garantisce al Cremlino.
Ma come osservano altri analisti, il petrolio russo viene venduto a sconto rispetto alle quotazioni di mercato proprio a causa dei problemi che comportano le sanzioni. Questo però non fa altro che rendere il petrolio russo sempre più appetibile per tutti quei paesi che non partecipano alle misure contro Mosca ma che riescono comunque ad ottenere uno sconto.
In primo luogo Cina, India, Turchia, Singapore, Tunisia, Marocco, Nigeria, Brasile e persino Arabia Saudita, tutti paesi che hanno sensibilmente accresciuto gli acquisti di petrolio russo. Ma non solo, due settimane fa anche il Giappone ha detto che continuerà a comprare petrolio russo pagandolo più della soglia dei 60 dollari prevista dall’embargo a cui aveva inizialmente aderito.
Nel 2019, alla Russia era sufficiente incassare 40 dollari al barile per finanziare al 100% il suo budget pubblico, ma lo scoppio della guerra ha notevolmente accresciuto le spese di Mosca.
Il petrolio russo viene scambiato in mare e sfora per la prima volta il price cap occidentale
Questa è la prima volta che il greggio russo è stato esportato a un prezzo maggiore di 60 dollari al barile, prezzo usato dal G7 proprio per valutare l’efficacia delle sanzioni contro la Russia.
Negli ultimi giorni il petrolio russo è stato scambiato in mare tra due petroliere vicino a Capo Verde nell’Oceano Atlantico. In particolare, secondo i dati di tracciamento delle petroliere di Bloomberg, sabato una nave chiamata Volans ha iniziato a trasferire il suo carico di circa 730.000 barili dell’ammiraglia russa Urals su una gigantesca superpetroliera chiamata Scorpius. L’operazione è stata completata circa 35 ore dopo, in una pratica che è stata definita “non sicura” in un recente rapporto dell’Organizzazione marittima internazionale, infatti, sebbene i trasferimenti da nave a nave abbiano un buon livello di sicurezza, ci sono comunque dei rischi.
Questa è la prima volta quest’anno che un carico viene spostato da una nave all’altra nell’Oceano Atlantico. Lo scorso anno si sono verificati un piccolo numero di scambi nelle vicinanze delle Azzorre, nel mezzo dell’Atlantico, ma poi non si sono più ripetuti.
L’India aumenta gli acquisti di greggio russo
Intanto, l’India potrebbe acquistare il greggio russo oltre il limite massimo, anche se in passato i funzionari indiani avevano affermato che era improbabile che il paese violasse le sanzioni alla Russia, compreso il prezzo massimo, una posizione che sembrerebbe essere cambiata dopo la recente decisione dell’OPEC+.
“Sì, perché altrimenti finirò per pagare molto più di quello che posso permettermi”, ha detto il ministro delle finanze Nirmala Sitharaman in un’intervista sabato a Washington, quando gli è stato chiesto se l’India continuerà a importare petrolio russo oltre il tetto massimo di 60 dollari al barile. “Abbiamo una grande popolazione e quindi dobbiamo anche guardare a prezzi che saranno accessibili per noi“.
Questa posizione sottolinea l‘urgente necessità nel paese di 1,4 miliardi di persone di frenare l’inflazione e stimolare la crescita, il tutto in un contesto in cui una possibile recessione negli Stati Uniti o in altri paesi sviluppati potrebbero essere un freno per l’India.
L’economia indiana da 3,2 trilioni di dollari sta mostrando segnali di affaticamento poiché la domanda interna ed estera è stata ridotta dagli alti tassi di interesse. In questo contesto, la scorsa settimana il FMI ha ridotto le sue prospettive di crescita per l’India al 5,9% per l’anno fiscale in corso, dal 6,1% previsto a gennaio.
Proprio l’India, insieme alla Cina, si sta rivelando come uno dei principali acquirenti di greggio russo. Nel dettaglio, ora l’India acquista circa 33 volte più petrolio russo rispetto a un anno prima della riunione del G 20.
Analisi tecnica
Il prezzo del petrolio Brent rimane fortemente ancorato a quota 86 dollari, da quando a fine marzo è balzato in seguito alla decisione dell’Opec.
In particolare il Brent ha superato al rialzo le precedenti aree di resistenza poste prima a quota 81 dollari (data dalla media mobile a 50 periodi), ma anche la resistenza data dalla trendline ribassista (linea blu) che ha accompagnato il prezzo del greggio europeo durante tutto il 2022.
Adesso il prezzo del Brent si sta avvicinando alla media mobile a 200 periodi che transita a 90 dollari al barile e proprio il breakout al rialzo di questo livello potrebbe dare un’ulteriore spinta al prezzo del Brent con target il raggiungimento della successiva resistenza a quota 98 dollari.
Al contrario, non emergono segnali di debolezza almeno fin tanto che le quotazioni rimangono sopra la soglia degli 80 dollari al barile, supporto statico più importante per il petrolio europeo.