Petrolio: balzo Brent e Wti post attacco Israele a Iran, poi ritraccia
La notizia circolata stamani di un attacco da parte di Israele contro l’Iran ha innescato una brusca reazione iniziale sui mercati, colpendo diverse asset class, tra cui il petrolio. Le quotazioni dell’oro nero sono schizzate verso l’alto, per poi ridurre i guadagni e invertire la rotta nel corso della mattinata.
Petrolio volatile in mattinata
Tra le 4:00 e le 5:00 di stamattina le quotazioni del Brent hanno raggiunto temporaneamente i 90,75 dollari al barile e quelle del Wti hanno superato gli 86 dollari.
Il balzo è stato innescato dalle voci di un attacco israeliano contro la città iraniana di Esfahan, che ha rinnovato le preoccupazioni per un’estensione del conflitto in Medio Oriente, con eventuali impatti sulle forniture di greggio in un’area che conta per un terzo dell’offerta globale.
La notizia sembrava inizialmente confermata, ma in seguito gli stessi media iraniani hanno minimizzato l’accaduto, rassicurando sull’integrità dell’impianto nucleare di Esfahan.
Al momento, il Brent è tornato in area 86,6 dollari, mentre il barile di Wti viene scambiato a 82,5 dollari. Le quotazioni rimangono in rialzo rispettivamente del 12% e 15% da inizio anno, complici i tagli all’offerta dell’Opec+ che sono stati estesi fino a metà 2024.
La view degli analisti
Secondo Mps, “i prossimi giorni chiariranno se questo episodio rappresenta la fine della storia o se invece apra una nuova fase del confronto Israele-Iran”. Gli analisti segnalano una propensione per la prima ipotesi. “Quel che è certo è che questi sviluppi hanno colpito gli asset rischiosi in un momento di fragilità intrinseca”, a causa di un “mix di fattori macro e micro che stanno provocando la prima significativa correzione dall’inizio del rally alla fine di ottobre”.
Per ING, un’eventuale escalation rischierebbe di determinare “una situazione in cui i rischi dell’approvvigionamento di petrolio porterebbero a effettive interruzioni delle forniture.”
Secondo gli esperti di Equita Sim, “il rischio geopolitico è destinato a mantenere un premio al rischio sul Brent – ragionevolmente fra $5 e $10/bbl – nel secondo trimestre del 2024.”
Altri dati da monitorare secondo ING
Le tensioni geopolitiche nel Medio Oriente non sono l’unico fattore da monitorare nel mercato petrolifero. ING sottolinea in particolare le significative pressioni sul ‘crack spread’, ovvero la differenza tra il prezzo del greggio e quello dei distillati. Questo indicatore scambia sui minimi da luglio 2023, il che implica una diminuzione dei margini di raffinazione per la produzione di prodotti petroliferi derivati.
Inoltre, il timespread è passato da una situazione di backwardation (che segnala una forte domanda a pronti) ad un mercato contango, suggerendo un’ampia offerta nel breve.
Per ING, i fondamentali dei distillati medi si stanno indebolendo, ma l’offerta rimane soggetta a rischi, anche a causa degli attacchi portati dai droni ucraini contro le raffinerie russe.
Equita vede petrolio Brent a $80
Equita evidenzia come il greggio avesse finora “assorbito gli eventi geopolitici e il ritorno delle sanzioni al Venezuela da parte degli stati Uniti”. Le esportazioni di petrolio dall’Iran, sottolinea la Sim, hanno raggiunto un massimo da 6 anni a 1,6 milioni di barili al giorno nel mese di marzo (su una produzione complessiva di 3,2 mbg) e sono prevalentemente concentrate verso la Cina. Motivo per cui “l’eventuale imposizione di sanzioni più restrittive da parte dei paesi occidentali nei confronti di Teheran potrebbe essere poco efficace e non modificare i fondamentali del petrolio.”
Secondo Equita, “la domanda di greggio si manifesta solida e ben rifornita dalla crescita della produzione”. Inoltre, l’Opec dispone di circa 5 milioni di barili al giorno di capacità produttiva inutilizzata, da sfruttare nel caso di eccessivi aumenti dei prezzi che frenerebbero la richiesta.
“Ci attendiamo un prezzo del greggio per il 2024 a circa $80/bbl, con range di oscillazione $70-90/bbl. Riteniamo che il prezzo del Brent possa progressivamente rientrare verso gli $80/bbl, se i conflitti in corso non abbiano implicazioni sull’offerta reale di petrolio”, conclude Equita.
S&P declassa Israele, pesano rischi geopolitici
Nel frattempo, il conflitto sta pesando sulla percezione dello Stato di Israele in termini finanziari. S&P Global Ratings ha infatti tagliato il giudizio sul debito sovrano della nazione ad A+, con outlook negativo, in attesa di un’ulteriore revisione il 10 maggio.
“Il recente aumento del confronto con l’Iran aumenta i rischi geopolitici già elevati per Israele”, ha affermato S&P. Un conflitto regionale più ampio sarà probabilmente evitato, ma la guerra tra Israele e Hamas sembra destinata a continuare per tutto il 2024.
A febbraio anche Moody’s Investors Service ha abbassato il rating su Israele, ad “A2”, in scia ai crescenti timori di tensioni in Medio Oriente.