Petrodollari a rischio, Cina: al via a Shanghai i primi contratti sul petro-yuan
Mentre nell’arena del commercio Cina e Stati Uniti sono ai ferri corti, sul mercato di Shanghai approdano per la prima volta i futures sui petro-yuan, ovvero i futures sul petrolio crude denominati in yuan, la valuta cinese.
I contratti sono stati lanciati oggi. Spunta così un’altra arma finanziaria con cui Pechino può affossare gli Usa, affossando il dominio finora incontrastato, sui mercati petroliferi, dei petrodollari.
D’altronde, non è un mistero: da tempo la Cina stava lavorando sui futures sul petrolio, al fine di esercitare una maggiore influenza nella determinazione dei prezzi in Asia.
I futures sul petro-yuan hanno aperto a Shanghai con un rialzo superiore al 6%; nei primi 25 minuti dall’inizio delle contrattazioni sono stati scambiati quasi 20 milioni di barili relativi al contratto più attivo, quello con scadenza a settembre.
Passata la prima ora, erano stati scambiati già 23.000 futures per un valore nozionale ben superiore a 10 miliardi di yuan (ovvero superiore a 1,5 miliardi di dollari Usa), a conferma della forte domanda.
Convertendo gli yuan in dollari, i contratti si sono avvicinati inoltre al valore dei futures WTI scambiati a New York, a premio di due dollari (anche se nelle prime ore della seduta il premio è salito fino a 4 dollari).
Si nota, tra l’altro, che anche lo yuan offshore si sta muovendo quasi in modo sincronizzato con i futures sul petro-yuan, visto che il contratto WTI di New York tende a seguire il trend del dollaro.
Finita con oggi l’attesa di analisti e investitori, che da anni guardano con trepidazione al lancio dei futures in petro-yuan.
Diversi erano stati negli anni precedenti gli avvertimenti su come il fenomeno avrebbe ulteriormente deteriorato il dominio del dollaro nei mercati globali, in linea con il processo di de-dollarizzazione a cui determinate potenze mondiali punterebbero, al fine di arginare il potere americano nella scacchiera geopolitica mondiale.
Certo, l’America di Donald Trump rischia di esacerbare tale processo, viste le decisioni di politica commerciale improntate al protezionismo che sono state lanciate dal presidente Usa, e che hanno preso di mira soprattutto la Cina.
E Trump avrà fatto bene i conti? La Cina, si sa, ha un arsenale di armi finanziarie ben rifornito: da un lato, può sganciare e ha già avvertito che potrebbe farlo, la bomba finanziaria da $1 trilione di cui dispone; dall’altro, potrebbe utilizzare i petro-yuan, e con oggi lo sta facendo concretamente, per abbattere sempre di più il dollaro.
L’anno scorso Adam Levinson, fondatore e responsabile investimenti dell’hedge fund con sede a Singapore Graticule Asset Management, aveva definito la creazione del petro-yuan una “notizia enorme” , avvertendo che il suo lancio avrebbe scioccato gli investitori che, all’epoca, non stavano prestando sufficiente attenzione alla novità imminente.
Nel 2015, uno dei primi schiaffi al petrodollaro arrivò anche da Gazprom Neft, terzo maggiore produttore petrolifero in Russia, che annunciò la decisione di abbandonare il dollaro e adottare lo yuan nelle transazioni di petrolio.
Intanto a Shanghai il contratto più attivo, quello con scadenza a settembre, ha aperto a 440,4 yuan al barile, rispetto al prezzo di riferimento di 416 yuan, ed è balzato nei primi minuti di contrattazione fino al massimo intraday di 447,1 yuan.