Nvidia rischia supremazia in Cina, Huawei produrrà super chip AI a inizio 2025
Huawei non ci sta e a dispetto delle restrizioni commerciali statunitensi si prepara a lanciare la sfida a Nvidia nei semiconduttori legati all’intelligenza artificiale (AI, artificial intelligence). Secondo una nuova indiscrezione, questa volta raccolta da Reuters, il colosso cinese avvierà la produzione di massa del suo chip di AI più avanzato, l’Ascend 910C, nel primo trimestre del 2025. Il gruppo avrebbe già inviato campioni del super chip ad alcune aziende tecnologiche e iniziato a raccogliere ordini. Se così fosse, l’americana Nvidia potrebbe perdere parecchi clienti cinesi, che ad oggi non possono accedere all’avanzato H100 per via della stretta di Washington all’export di tecnologia verso Pechino e devono accontentarsi della versione di secondo livello H20. Secondo diverse stime (Financial Times e SemiAnalysis) quest’anno Nvidia dovrebbe vendere più di 1 milione di H20 in Cina, per un valore di circa 12 miliardi di dollari. Il gruppo della Silicon Valley, che oggi gode di una posizione dominante nei chip per l’intelligenza artificiale, ha definito la Cina come terzo mercato per importanza nel suo esercizio finanziario, conclusosi lo scorso gennaio.
Huawei pronta a lanciare un nuovo super chip AI a inizio 2025
La cinese Huawei ha in programma di avviare la produzione di massa del suo chip più avanzato per l’intelligenza artificiale nel primo trimestre del 2025, nonostante le difficoltà legate alle restrizioni statunitensi, secondo l’esclusiva di Reuters, che cita fonti anonime vicine alla vicenda. Il gigante cinese delle telecomunicazioni ha già inviato campioni dell’Ascend 910C – il suo chip più recente, destinato a rivaleggiare con quelli prodotti dalla statunitense Nvidia – ad alcune aziende tecnologiche e ha iniziato a prendere ordini, hanno dichiarato le fonti a Reuters.
Già qualche mese fa, nel corso dell’estate, era circolata la voce. Il Wall Street Journal riportava infatti che Huawei si stava preparando a lanciare un nuovo chip avanzato per l’AI, paragonabile all’H100 di Nvidia, non disponibile in Cina. E sempre secondo il quotidiano, colossi cinesi come ByteDance (società madre di TikTok), il gigante dei motori di ricerca Baidu e l’operatore di telecomunicazioni statale China Mobile erano già in trattativa per ottenere il super chip da Huawei.
Sfida a Nvidia e alle restrizioni Usa
Huawei è al centro delle tensioni tra Stati Uniti e Cina in materia di commercio. Washington ha infatti imposto una serie di restrizioni all’azienda cinese sui chip che ne hanno ostacolato la capacità di produzione, non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi (la resa dei suoi semiconduttori non è stata finora sufficientemente alta da renderli commercialmente competitivi). Dapprima la Casa Bianca ha inserito Huawei in una lista commerciale che richiede ai fornitori di ottenere specifiche licenze per vendere tecnologia all’azienda, successivamente ha imposto alla taiwanese TSMC di interrompere le spedizioni di chip AI avanzati ai clienti cinesi, in un’azione mirata proprio contro Huawei. Uno scenario che potrebbe diventare ancora più ostile con Donald Trump. Nel corso della campagna elettorale, il nuovo presidente americano ha illustrato un’agenda economica con dure politiche commerciali nei confronti della Cina. Ma nei prossimi mesi lo scenario per Huawei potrebbe cambiare. Lo sviluppo di questo nuovo super chip legato all’AI, se fosse sufficientemente valido, dimostrerà la capacità dell’azienda (e della Cina) di aggirare e in qualche modo neutralizzare le sanzioni statunitensi, infliggendo un duro colpo a Nvidia.
Investimenti per oltre 200 mld $ in AI nei prossimi 3 anni
Il chip per l’intelligenza artificiale rappresenta la nuova frontiera della competizione tecnologica globale. Lo dimostra anche la trimestrale di Nvidia, da cui emerge che la domanda di chip legata all’AI resta robusta. Secondo uno studio, diffuso proprio oggi da Payden & Rygel, nei prossimi tre anni anni verrà investito in AI una cifra di oltre 200 miliardi di dollari (213 miliardi di dollari per la precisione), abbastanza per costruire la capacità equivalente a 12.000 ChatGPT-4 entro il 2026.
Le aziende statunitensi hanno già speso ben 335 miliardi di dollari in investimenti di AI negli ultimi dieci anni, il 60% dei quali sono stati spesi solo negli ultimi tre anni, dando vita a oltre 5.500 aziende. Per contestualizzare, tra il 1960 e il 1973 lo sbarco sulla luna è costato complessivamente 280 miliardi di dollari di oggi. In altre parole, il settore privato statunitense sta investendo risorse a ritmi a cui non si assisteva dai tempi della corsa allo spazio. E non sono solo le aziende tech a competere per formare i modelli migliori: le earning call per il 1° trimestre 2024 hanno visto 199 società dell’S&P500 menzionare l’AI, contro le sole 60 del 2022.
L’enorme boom di investimenti finirà per portare il sistema al collasso, come già successo con la bolla di Internet? “Una crisi dell’AI potrebbe essere inevitabile nel breve termine, eliminando le speculazioni e i modelli di business insostenibili”, sostiene Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel, ricordando come ci siano voluti quasi dieci anni dalla firma del Telecommunications Act del 1996 per vedere il traffico Internet correre finalmente attraverso fibre prima inutilizzate, a ritmi che rispecchiavano quelli della bolla delle Dot-com. “Tuttavia, – prosegue – le infrastrutture durature, dai semiconduttori avanzati ai grandi data center, insieme ai progressi intellettuali, dalle invenzioni aerospaziali a quelle energetiche, potrebbero spianare la strada alla prossima ondata di innovazione, mentre la forza lavoro formatasi in questi anni (data scientist, ingegneri AI e sviluppatori) avrà le competenze necessarie per introdurre innovazioni ad oggi inimmaginabili”. In altre parole, anche se l’entusiasmo degli investitori si dovesse raffreddare, le applicazioni pratiche dell’IA continuerebbero a dare i loro frutti nei più svariati campi. “Non è dato sapere – conclude- se o quando l’intelligenza artificiale manterrà le ambiziose promesse in cui oggi sperano gli investitori: quello che pensiamo è che, proprio come il boom e la crisi delle Dot-com, si tratta di una rivoluzione che lascerà un’eredità di cambiamenti difficili da prevedere”.