Nadef e manovra: governo M5S-PD vede meno crescita, punta su flessibilità Ue per fare deficit fino a 2,2%
Parola d’ordine flessibilità. E’ questo il regalo più grande che il governo giallorosso M5S-PD spera di incassare dalla Commissione europea, mentre lavora sia al Nadef che alla legge di bilancio del 2020.
Qualche indiscrezione sulle nuove stime che il Conte bis si appresta a snocciolare con il NaDef, relative sia al trend dell’economia che a quello dei conti pubblici, inizia a trapelare. Oggi il Messaggero riporta per esempio che il governo sarebbe pronto a tagliare l’outlook sul Pil del 2020 dal +0,8% stimato in primavera dall’esecutivo giallo-verde, a un tasso di crescita attorno allo 0,5%.
Riguardo alle previsioni sul deficit-Pil, rapporto che, insieme a quello del debito-Pil, è attentamente monitorato da Bruxelles, la speranza sarebbe di farlo salire fino al 2,1-2,2%, dall’1,6% circa a cui lo avrebbe lasciato l’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria (si parla di valore tendenziale).
Tuttavia, l’inserimento nel Def di un valore superiore del deficit-Pil avverrebbe, scrive il quotidiano romano, soltanto “previo accordo di massima con la Commissione europea; la quale terrebbe conto da una parte del nuovo quadro europeo non privo di rischi di recessione, dall’altra della credibilità del nostro Paese nell’obiettivo di fondo di ridurre il debito pubblico”.
Beneficiando della flessibilità accordata dall’Ue, il governo M5S-PD potrebbe dotarsi di risorse fondamentali per lanciare le nuove misure su cui punta, come il taglio del cuneo fiscale. Al momento sembra che l’opzione favorita sia quella di “definire una detrazione Irpef per i lavoratori dipendenti che assorba il bonus 80 euro includendo i redditi sotto gli 8.000 euro l’anno (i cosidetti incapienti), e quelli fino a 28-36 mila euro, in base alle risorse disponibili”.
In ogni caso, la flessibilità servirebbe soprattutto per disinnescare la bomba dell’aumento dell’Iva e delle accise, che insieme valgono 23 miliardi. Tra l’altro nel 2021 le clausole di salvaguardia porterebbero le aliquote a salire ulteriormente (come si evince dal grafico), fino al 26,5%.
Per quello a via XX settembre, stando al Messaggero, si pensa all’ipotesi di rimodulare l’Iva, facendo magari passare alcuni beni e servizi dall’aliquota agevolata a quella ordinaria.
Se Bruxelles sarà tanto magnanime da accordare flessibilità all’Italia, a quel punto Roma dovrebbe comunque andare a caccia di coperture per un valore di 15 miliardi.
Di flessibilità ha parlato anche la La Stampa in un articolo pubblicato ieri, scrivendo che, in base ai rumor, l’Unione europea potrebbe essere aperta a concedere all’Italia una qualche flessibilità sulla legge di bilancio del 2020, intimando però al governo giallorosso di impegnarsi a ridurre il deficit strutturale.
Allo stesso tempo, viene menzionato come, nonostante la Commissione europea abbia raccomandato all’Italia di migliorare il deficit strutturale chiedendo un miglioramento dello 0,6% (in base a una crescita del PIl stimata al tasso dello 0,7%), alla fine potrebbe essere aperta ad accettare anche un miglioramento dello 0,1%.
Il tempo stringe, se si considera che, entro il prossimo venerdì 27 settembre, il governo italiano dovrà presentare alle Camere il Nadef; entro il 15 ottobre, poi, così come dovranno fare gli altri stati dell’Ue, l’Italia dovrà presentare alla Commissione europea il documento programmatico di bilancio con gli obiettivi per il 2020.
Il calendario della legge di bilancio prevede poi che il 20 ottobre parta l’esame della manovra 2020 nelle commissioni e nell’aula delle Camere, con l’ok definitivo che dovrebbe arrivare entro il 31 dicembre.
Si spera in flessibilità Ue, ma c’è chi chiede più coraggio
Come ricorda il Messaggero, l’Italia potrà capire quanta flessibilità potrà ricevere dall’Ue con le previsioni macro che la Commissione europea renderà note il prossimo 7 novembre.
Si va a caccia intanto di circa 15 miliardi di coperture puntando, sottolinea il Messaggero, su tre voci, per non portare il deficit troppo oltre le soglie prefissate: riduzione delle spese, incremento delle entrate in particolare legate al contrasto all’evasione, sfoltimento delle agevolazioni fiscali.
In tutto questo si mette in evidenza il monito al governo M5S-PD che arriva, in un’intervista rilasciata al Sussidiario.net, da Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. A suo avviso, se proprio volesse agire con coraggio, l’esecutivo giallorosso dovrebbe puntare non a un deficit del 2%, ma a uno del 3%.
“L’unica cosa che possiamo fare è trovare risorse nel modo meno doloroso possibile per circa un punto percentuale di Pil, pari a 20 miliardi, per fare politica fiscale espansiva, che vuol dire una sola cosa: investimenti pubblici. Si tratta dell’unico motore che può far ripartire l’economia, perché qualsiasi proposta di mini-flat tax o taglio del cuneo fiscale (una follia per un governo progressista) non funzionerebbe: mettere soldi in tasca in più ai cittadini, in un clima economico come questo, finirebbe per alimentare il risparmio e non i consumi e la domanda interna, come invece farebbero gli investimenti pubblici”.
Di fatto, per Piga, il governo dovrebbe lanciare una sfida, e premere a favore di un deficit al 3% per i prossimi tre anni.
“Se infatti portiamo il deficit dal 3% al 2% del Pil facciamo una manovra restrittiva per 20 miliardi. In uno stato così comatoso dell’economia italiana vorrebbe dire condannarci a una sicura recessione“. Per l’economista, tra l’altro, dire di sì “a una potenziale richiesta europea di convergere per il 2020 al 2% di deficit/Pil rappresenterebbe un regalo di dimensioni epocali a Salvini e ai sovranisti”.
E intanto proprio oggi l’Istat ha snocciolato i dati sul Pil italiano degli ultimi anni, pubblicando la revisione generale quinquennale dei conti economici nazionali. Revisione da cui è emerso il taglio alle stime di crescita del Pil del 2018 e un peggioramento delle stime sul deficit.