Musk: vendere 10% azioni Tesla per pagare le tasse? Su Twitter followers rispondono ‘SI’. E la cripto TSLA va subito giù
I suoi followers su Twitter hanno deciso: Elon Musk deve smobilizzare il 10% della partecipazione che detiene nella sua Tesla, per un valore di 21 miliardi di dollari circa, per raccogliere le risorse necessarie per pagare le tasse dovute.
Così ha stabilito la maggioranza dei followers di Musk, dopo che lo stesso Elon ha lanciato, nella giornata di sabato, un sondaggio sul social, chiedendo consiglio alla sua ampia comunità – che conta ben 62,5 milioni di account – sul da farsi.
Il sì alla vendita delle sue azioni è arrivato dalla maggioranza, ovvero da 3,5 milioni dei suoi followers, il 58% del totale.
Il sondaggio di Twitter si è chiuso poco dopo le 14.15 ora di New York della giornata di ieri, domenica 7 novembre.
“Ero pronto ad accettare qualsiasi risultato”, ha scritto Musk in un tweet dopo la chiusura del sondaggio.
Stando a quanto riportato da un articolo della Cnbc, Elon Musk farebbe fronte a tasse per un valore superiore ai $15 miliardi nei prossimi mesi sulle stock options detenute.
Twitter decide: ‘Musk venda 10% azioni. E la cripto Tesla va giù
Non ha reagito bene la versione cripto delle azioni Tesla, che segnala un valore pari a $1.137.60, in flessione del 6,9% rispetto al valore a cui il vero titolo Tesla ha chiuso la sessione di venerdì scorso.
“Notate bene, non percepisco nessuno stipendio o bonus. Ho solo azioni. Di conseguenza, l’unico modo che ho per pagare le tasse è vendere azioni“, aveva scritto Musk su Twitter, nel lanciare il sondaggio.
Il timore è che la decisione di Musk – tra l’altro sulla base di un sondaggio su Twitter – possa inaugurare una fase ribassista per il titolo. Ma Dan Ives, analista di Wedbush Securities, è subito accorso per rassicurare i fan dell’azione, indicando come la domanda rimanga elevata sia tra gli investitori istituzionali che tra quelli reali.
“Vendere il 10% probabilmente andrà ad aggiungere l’1,5%-2% al flottante, dunque non muoverà in modo significativo l’ago della bilancia – ha detto Ives – Il comportamento stesso di Musk sicuramente attutirà ogni eventuale colpo, sostenendo allo stesso tempo la percezione degli investitori”.
In poche parole, il mercato non darà molta importanza a una mossa che avverrà per rispettare quanto deciso dagli utenti di Twitter.
L’azione Tesla è finita sotto i riflettori diverse volte nelle ultime settimane e in particolare nella sessione del 5 novembre scorso, quando ha testato il record a 1.222,09 dollari – dopo una corsa da inizio anno pari a +73% – che ha portato il valore complessivo della capitalizzazione del gigante a $1,2 trilioni.
Di pari passo è cresciuta la ricchezza dell’ex enfant prodige dell’auto: stando al Bloomberg Billionaires Index, la fortuna di Elon Musk ammonta a 338 miliardi di dollari, di cui un quarto è rappresentata da contratti di opzione sulle azioni Tesla che il ceo è libero di esercitare in ogni momento. Si tratta di contratti di opzione che fanno parte di due grandi premi che il manager ha ricevuto nel 2012 e nel 2018. I contratti più vecchi scadono nell’agosto del 2022: e per esercitare queste opzioni – e questo è il punto cruciale – Musk dovrebbe pagare una imposta sul guadagno.
Ora, visto che sono tassate alla stregua di benefit, le opzioni sono colpite dall’aliquota fiscale più alta imposta ai redditi ordinari, pari al 37%, a cui va aggiunta la tassa sugli investimenti netti, pari al 3,8%. Musk dovrebbe pagare inoltre anche l’aliquota massima del 13,3% imposta in California, visto che le opzioni sono state guadagnate quando la sua residenza fiscale era ancora nello stato (ora è in Texas).
Se esercitasse tutte le opzioni e vendesse immediatamente le azioni, Musk incasserebbe $95,9 miliardi al lordo delle tasse.
Musk, il suo nome incluso nel report shock sulle tasse
Che Musk sia nel mirino del fisco Usa, o semplicemente della ‘sola’ opinione pubblica, per le tasse che non ha versato, non è certo una novità. Basti pensare al report bomba sulle tasse versate e non dai nomi tra i più altisonanti del mondo dell’alta finanza, come Jeff Bezos, Michael Bloomberg, Elon Musk per l’appunto, Warren Buffett, Carl Icahn e George Soros.
Nel mese di giugno l’associazione ProPublica ha diramato un report shock basato sui dati dell’Agenzia delle Entrate Usa, l’IRS (Internal Revenue Service), rivelando come i 25 più ricchi d’America – tra cui i nomi sopra menzionati – hanno pagato una frazione decisamente risicata delle tasse federali che avrebbero dovuto versare, nel periodo compreso tra il 2014 e il 2018. In alcuni casi, non avrebbero pagato neanche niente.
Musk tra l’altro si è trasferito in Texas, stato americano in cui non esiste una tassa sul reddito personale, alla fine del 2020 e, come se non bastasse, di recente ha annunciato il trasferimento del quartiere generale di Tesla sempre in Texas dalla California, stato definito da lui fascista durante il periodo del lockdown da Covid-19. I motivi del trasloco, tuttavia, sarebbero più legati al fisco che non a una eventuale opposizione nei confronti della gestione californiana della pandemia.
In California, le imposte sui redditi personali a carico dei più abbienti sono tra le più alte degli Stati Uniti, mentre in Texas non esiste una tassa sui redditi personali, così come in altri otto stati americani.
Con la sua ricchezza stratosferica, Elon Musk è sempre più nel mirino del Congresso Usa.
In relazione al sondaggio lanciato su Twitter un commento tramite tweet, nelle ultime ore, è arrivato dal senatore democratico dell’Oregon Ron Wyden, che ha così commentato l’iniziativa (prima che uscisse l’esito del sondaggio):
“Che l’uomo più ricco del mondo debba o non debba pagare le tasse non dovrebbe dipendere dai risultati di un sondaggio su Twitter. E’ arrivato il momento di lanciare una tassa sui redditi dei miliardari (Billionaires Income Tax).