Mps, la proposta dell’ex Bce Ignazio Angeloni che cita JP Morgan. Affossata opzione UniCredit, venga salvata dalle principali banche italiane
E se invece di una sola banca, che il Tesoro aveva identificato in UniCredit, opzione che ormai non c’è più, fossero le dieci principali banche italiane a salvare, attraverso “una operazione di sistema”, il Monte Paschi di Siena? E’ il suggerimento che arriva da Ignazio Angeloni, economista presso la Harvard Kennedy School e Senior Policy Fellow, SAFE, presso la Goethe University Frankfurt, in passato membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce.
Angeloni presenta la sua proposta nell’articolo “Una operazione di sistema, a tempo e condivisa, per dare un futuro a Mps” pubblicato oggi su Il Sole 24 Ore, in cui sonda varie potenziali alternative per rimettere in carreggiata la banca senese, che vede lo Stato, per la precisione il Mef, detenere una partecipazione di maggioranza, pari al 64%.
Le trattative tra il Mef e UniCredit di Andrea Orcel, come si sa, sono naugrafate. L’annuncio ufficiale è arrivato domenica 24 ottobre, con un comunicato diramato congiuntamente dal Tesoro e da Piazza Gae Aulenti.
Sui motivi, le indiscrezioni non sono mancate: Reuters ha per esempio scritto subito, in base a quanto appreso da una fonte vicina al dossier, che l’amministratore delegato di UCG Orcel avrebbe preteso un impegno, da parte dello Stato, superiore ai 7 miliardi di euro, che il Tesoro avrebbe reputato “troppo punitivo” per i contribuenti italiani, dopo che 5,4 miliardi di euro erano stati versati dagli stessi contribuenti nel 2017, quando Mps era stata salvata con una ricapitalizzazione precauzionale lanciata dal governo italiano dopo l’ok di Bruxelles.
Il Corriere della Sera aveva individuato in 8,5 miliardi di euro l’impegno dello Stato (leggi sempre contribuenti) preteso da UniCredit. “Unicredit chiedeva che lo Stato sottoscrivesse un aumento di capitale da 6,3 miliardi di euro per l’intera Mps; se a questa cifra — ben più alta del tetto massimo che il Tesoro si era prefissato — si aggiungono i 2,2 miliardi di crediti fiscali (le cosiddette ‘Dta’) si arriva a un impegno complessivo di 8,5 miliardi di euro pubblici”, si leggeva nell’articolo.
Con UniCredit fuori dai giochi si iniziava a pensare ad altre banche: non solo possibili predatrici di Monte dei Paschi, come Unipol in via diretta, ma anche istituti di credito stranieri, come la spagnola Bbva e le francesi Credit Agricole e Bnp Paribas. E stesse banche italiane, in particolare Banco BPM.
Intanto, in occasione della pubblicazione della trimestrale e del bilancio dei primi nove mesi del 2021 di UniCredit, arrivavano prima la versione di Orcel, con tanto di messaggio “Per noi la finestra è chiusa” e dopo la versione del Tesoro, con tanto di precisazioni da parte del ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco.
In tutto questo, c’è stato anche chi, come l’economista Giulio Sapelli, aveva sfornato la soluzione di banca cooperativa per Siena, e non, sicuramente, quella di banca pubblica, mentre con la prima manovra di Draghi, ovvero la legge di bilancio per il 2022, i mercati facevano anche i conti con la doccia fredda del tetto fissato dal governo sul tesoretto fiscale pro-M&A, che faceva affondare in Borsa, in particolare, Banco BPM e Bper.
Angeloni: ‘no a intervento banche francesi o di Banco BPM e Bper
Oggi, dalle pagine del Sole 24 Ore, è arrivata per l’appunto la proposta di Ignazio Angeloni che, alla luce delle novità emerse negli ultimi giorni, ha spiegato i motivi del suo no, come possibili soluzioni alla patata bollente di Mps, sia all’opzione di banche come Banco BPM, Bper o anche direttamente della compagnia assicurativa Unipol, che a quella delle banche straniere:
Riguardo alla possibilità che il Monte finisca in mani francesi, l’ex Bce ha fatto notare che “le operazioni cross-border dovrebbero preferibilmente non avvenire in una direziona sola”, aggiungendo che “le partecipazioni bancarie italiane in Europa sono limitate” e che “oggi, dopo il recente cambio di strategia di UniCredit, non si intravedono nuove prospettive in questo senso”. E che “da ultimo, ma forse non in ordine di importanza, un’acquisizione transalpina potrebbe comportare un danno reputazionale per il Paese, se fosse vista, non inverosimilmente, come un segno della sua incapacità e rinuncia a risolvere un problema al cuore del nostro sistema del credito, dopo anni di tentativi andati a vuoto”.
Riguardo al no a un salvataggio che vedrebbe protagonisti gli istituti italiani sopracitati in via singola – riferimento dunque in particolare a Banco Bpm a Bper, quest’ultima con il suo principale azionista, il gruppo Unipol -, “nessuna di esse ha la forza sufficiente, finanziaria e organizzativa, per gestire da sola la mole di problemi che l’assorbimento di una banca delle dimensioni e nelle condizioni di Mps comporterebbe. Sarebbe un’operazione ad alto rischio, dal punto di vista prudenziale e sistemico. Il soggetto risultante non darebbe sufficienti garanzie di solidità e sostenibilità nel tempo. E in ogni caso, le condizioni per il Tesoro non sarebbero migliori di quelle che esso ha rifiutato a UniCredit”.
Mps, per Angeloni venga salvata da principali banche italiane (almeno una decina)
Quale soluzione rimane, dunque? Pe l’appunto, una soluzione di sistema, “attuata di concerto fra il settore privato e quello pubblico“.
Così Ignazio Angeloni nell’articolo pubblicato sul Sole:
“Le principali banche italiane (diciamo almeno una decina, senza che nessuna si tiri indietro) potrebbero rilevare la quota pubblica della banca senese tramite una joint venture le cui quote rifletterebbero le caratteristiche dimensionali dei partecipanti e le loro esposizioni verso Mps. L’operazione avrebbe una durata dichiaratamente limitata, senza però un limite temporale rigido, per arrivare a una collocazione sul mercato o alla fusione con altro soggetto entro alcuni anni”.
“Mps verrebbe preventivamente ristrutturata, portando gli indicatori di costo, ricavo e qualità degli attivi sopra il livello medio del sistema Italia. Il settore pubblico ne sopporterebbe i costi, peraltro già insiti nell’attuale situazione”, ma “risparmierebbe però la ricapitalizzazione, e verosimilmente anche parte dei costi di ristrutturazione se parti del business venissero rilevate da alcuni partecipanti”.
Nessuno dice che sarebbe una operazione semplice ma, sicuramente, l’Italia dimostrerebbe di sapersi tirare dai guai da sola.
A sostegno della sua tesi, l’ex Bce ricorda l’impresa di J. P. Morgan: “non la banca, ma il banchiere che all’inizio del secolo scorso salvò il sistema americano dal fallimento della banca Knickerbocker. Allora gli Stati Uniti non avevano né una banca centrale, né una vigilanza: John Pierpont Morgan dovette riunire i banchieri nel suo studio privato, fra pareti costellate di quadri rinascimentali. Oggi l’Italia ha due vigilanze e due banche centrali, una nazionale e una europea. Ha anche governanti competenti e autorevoli. Se non ora, quando?“, ha chiesto e concluso l’economista.