Monacelli: populismo 2.0 porterà a nuova crisi finanziaria, monetizzazione deficit è soluzione miope

L’Italia si appresta a una nuova battaglia con Bruxelles per ottenere maggiore spazio fiscale in modo da scrollare da quota zero la crescita. Un braccio di ferro che potrebbe innervosire i mercati come successo lo scorso autunno o addirittura riaprendo scenari di crisi finanziaria come fu nell’autuno 2011 e che portò all’arrivo del governo Monti.
Il problema economico dell’Italia è un problema di lungo periodo, che ha tasso di crescita potenziale molto basso e in costante decelerazione. La somma dei deficit fiscali degli ultimi 20-25 anni è tra i più alti e questo porta a pensare che negli ultimi decenni qualcosa è andato storto. “Lo stimolo fiscale è stato utilizzato male e senza veri effetti sulla crescita – argomenta Tommaso Monacelli, Professore di Economia all’Università Bocconi di Milano, intervenuto alla Trasmissione Scarabeo di FinanzaOnline TV – . La politica fiscale va gestita in modo ottimale andando a costruirsi uno spazio fiscale. E’ chiaro che questo va fatto quando le cose vanno relativamente meglio”.
Sperperato il maxi dividendo dell’ingresso nell’euro
Invece l’Italia durante i primi anni di permanenza nell’euro ha portato avanti una “condotta viziosa della politica fiscale”; “quando era il momento di creare tale spazio fiscale e creare una sorta di tesoretto sfruttando i tassi scesi in maniera repentina, una sorta di manna dal cielo arrivata dall’ingresso nell’euro, ha sperperato tale occasione andando a ridurre gli avanzi primari”, argomenta Monacelli. “Adesso ci troviamo nel peggiore dei mondi possibili – rincara la dose l’economista – con poco spazio fiscale per stimolare la crescita, pagando la visione miope soprattutto negli anni tra il 2000 e il 2005 (che hanno visto susseguirsi due governi Berlusconi, ndr) quando abbiamo perso un’occasione d’oro per accumulare tale spazio fiscale”.
Spread specchio di una sfiducia diffusa, monetizzazione del deficit non è la soluzione
Adesso l’Italia deve fare i conti con lo spread che è lo specchio di come la finanza pubblica è percepita esternamente dagli investitori. L’Italia ogni anno deve rifinanziare circa 400 mld di euro di debito pubblico che servono a pagare maestre d’asilo, insegnanti, medici e finanziare spese infrastrutturali. “Lo spread che sale vuol dire che gli investitori sono più pessimisti sulle prospettive dell’Italia e dire che non interessa è un po’ ignorare il rischio di trovarsi con sempre meno ossigeno sui mercati”, asserisce Monacelli che non vede come soluzione lungimirante quella della monetizzazione del deficit, con la Bce che acquista titoli di Stato italiani per poter così fare deficit extra. Quando un governo vuole finanziare un eccesso di spesa rispetto alle entrate ha tre modalità: o aumenta le tasse, o chiede soldi in prestito o di fatto stampa moneta. Il debito viene emesso dallo Stato italiano ma questo debito lo compra la banca centrale. “Non si inventa nulla di nuovo – puntualizza il docente della Bocconi – ma il problema sono i costi e i benefici. Nel breve periodo è una misura una tantum che può aiutare, ma con una monetizzazione del deficit in maniera sistematica i rischi sono maggiori e si andrebbero a instaurare negli agenti economici forti aspettative di inflazione con costi che andrebbero a superare i benefici“.
Un film già visto… in Argentina
Sulla lettera inviata all’Italia dalla Commissione Ue, Monacelli ritiene che il rischio è che da un lato vada a portare ancora più consenso ai populisti contro i tecnocrati, dall’altro però aumenterà anche la diffidenza degli investitori. “Un gioco delle parti pericoloso che si concluderà con la legge di bilancio 2020 che sarà un banco di prova decisivo. Il quadro potrà evolvere nella direzione di un aumento dell’IVA, ma questo continuo cambiamento del quadro di settimana in settimana assottiglia la fiducia degli investitori”.
L’Italia appare così intrappolata in un circolo vizioso partito nei primi anni 200 con Berlusconi precursore dell’ondata di populismo. “La crisi dello spread del 2011 ha partorito il governo tecnico a guida Monti e il populismo 2.0 che negli ultimi anni ha cavalcato i lasciti della crisi – rammenta Monacelli – e che purtroppo porterà a una nuova crisi finanziaria, conseguente crisi di governo adducendo la scusa dei mercati e della cattiva Europa”. “Bisogna vedere che messaggio arriverà all’opinione pubblica, se si arriverà a pensare che è colpa dello spread, questo potrebbe portare al populismo 3.0 ed è uno scenario non così remoto… è il film dell’Argentina e ci sono tutti gli ingredienti”.
Dove sarà quindi l’Italia tra 5 anni? “Il livello fiducia è basso ed ecco perché tutti risparmiamo in maniera eccessiva. Siamo intrappolati: dal non rischiare a fare figli al non mette in gioco i nostri risparmi per investire o fare attività d’impresa”.
Esempio da imitare non è il Giappone, è in casa nostra
L’Italia così come altri paesi Ue inizia a somigliare al Giappone, a partire dal fattore demografico con un paese sempre più vecchio. “Il Giappone soffre di un malessere simile al nostro con ristagno secolare dal quale non riesce a uscire dagli anni ’90; in termini di risultati non è il paese che vorrei imitare, dovrebbe prendere ad esempio altre realtà che si sono mostrati più innovativi e aperti, ad esempio la Spagna che si è mostrata più pronta a sedersi sulla locomotiva dell’economia dell’innovazione, del capitale umano e delle idee. Un esempio di economia di agglomerazione lo abbiamo anche in casa, ed è Milano”.