Materie prime: il dollaro danneggia le vendite, minerari nel caos
Non c’è pace per i mercati delle materie prime che negli ultimi mesi avevano conosciuto un periodo d’oro (è il caso di dirlo), spinti dalle affamate economie emergenti. Da diversi giorni però lo scenario è cambiato, e i risultati si vedono: sono giorni di passione per le commodity e soprattutto per i titoli legati alle risorse di base.
Prodotti agricoli, oro e petrolio
Chiusura al ribasso ieri per i prodotti agricoli, con frumento e mais -5% a Chicago, ai minimi da oltre due mesi, come anche il caffè arabica, lo zucchero e il cotone. Ma ad essere penalizzato in particolare il petrolio, con il future WTI a Novembre crollato del 6,3% a 80,51 dollari al barile, e quello sul Brent a Novembre in calo del 4,4% a 105,49 dollari al barile.
Male anche i metalli preziosi, che sembrano aver perso tutto il loro smalto di “bene rifugio”, con le quotazioni dell’oro crollate ieri intorno ai 1.720 dollari l’oncia. Anche l’argento ha ormai raggiunto i suoi minimi dallo scorso luglio. Colpa degli acquisti sul dollaro, che si è rafforzato in modo notevole dopo l’ormai famigerata affermazione della Fed sui”significant downgrade risks” per l’economia globale, che sembrano confermati dai deludenti dati sulla manifattura cinese. La mancanza di crescita nella zona Euro e Usa evidentemente ha creato perdite agli investitori i quali, per ripianarle, necessitano più di liquidità che di riserve auree.
I Paesi emergenti non bastano più ai minerari
All’apprezzamento del dollaro si aggiunga l’inevitabile effetto negativo sugli acquisti delle materie prime denominate in moneta statunitense, che, di conseguenza, sono crollate. Ciò è particolarmente vero per i metalli industriali, rame in testa, e per il petrolio. Ieri, anche alla luce dei dati cinesi, il metallo rosso ha sfondato al ribasso la soglia psicologica degli 8 mila dollari la tonnellata, mentre il future sul mercato delle commodity di Londra ha perso il 6%, toccando i minimi da agosto 2010, e il metallo con consegna a dicembre sul Comex è sceso del 7,8% a 3,2 dollari la libbra. Ieri l’indice Reuters Jefferies CRB, che traccia le principali materie prime, ha perso il 4,4%. Ancora superiore la perdita dei titoli minerari, dopo il campanello d’allarme suonato da Rio Tinto, che ha reso nota la richiesta di ritardo nelle consegne di metallo da parte di alcuni importanti clienti. Il titolo ha toccato ieri il calo del -11% a Londra, mentre stamattina a Sydney il colosso minerario perdeva il 5%. Stessa sorte per BHP Billiton, -3,8% a Sydney e -8,3% ieri a Londra.
Secondo il Wall Street Journal, compagnie come Anglo American, BHP Billiton Rio Tinto e Xstrata hanno perso i l 30-40% dai picchi di luglio, mentre l’indice DJ-UBS Industrial Metals ha perso il 19%. Ben più, cioè, del la percentuale di declino del prezzo dei metalli. Effetto, evidentemente, del panico creato dalla possibilità che i Paesi emergenti, divoratori di metallo, non bastino più a sostenere i prezzi.
Ma Goldman Sachs vede rosa
Però non tutto è perduto: a seminare ottimismo sono gli analisti di Goldman Sachs, secondo cui è proprio ora il momento di investire nei minerari, poiché la contrazione dell’offerta sosterrà i prezzi. Secondo l’ultimo report degli analisti americani, i paesi Bric continueranno a domandare commodities, contribuendo per il 2,5% alla crescita globale dell’anno prossimo, quantificata nel 4,3%.