Marchionne: “dazi? Non sono fine del mondo”. Intanto in Usa Trump minaccia Harley-Davidson
Mentre in America Trump minaccia Harley-Davidson per la sua decisione di spostare parte della produzione al di fuori degli Stati Uniti, in Italia, a margine della presentazione della Jeep Wrangler consegnata all’Arma dei Carabinieri, il numero uno di FCA Sergio Marchionne afferma che “i dazi non sono la fine del mondo”.
“Io capisco la posizione di Trump, politicamente la capisco. Credo che bisogna correggere delle anomalie negli scambi commerciali a livello internazionale. E lui ha una forza straordinariamente diretta nel cercare di correggerli, è immediato”.
I dazi imposti “non sono la fine del mondo, è un problema da gestire. È tutto gestibile. Il fatto che si sia scatenato il pandemonio a livello internazionale non è una cosa positiva, dobbiamo avere chiarezza sulle cose da fare”.
E, sulla risposta dell’Unione europea ai dazi che sono stati annunciati e imposti dall’amministrazione Trump, Marchionne ha invitato alla cautela:
“Bisogna stare molto attenti e non esagerare nella risposta perchè, in Europa, Italia e Francia hanno un flusso di vetture verso gli Usa molto diverso dalla Germania e Fca produce quasi 3 milioni di autovetture in Nord America”.
“Il flusso di vetture, ha fatto notare l’AD di Fiat Chrysler, è insomma diverso da paese e paese, e la Germania subirebbe il colpo peggiore”. In ogni caso, “credo che ci sarà una base su cui ristabilire un equilibrio, che sarà un equilibrio diverso da quello di adesso”.
Ancora Marchionne sullo spauracchio della guerra commerciale che, secondo alcuni esperti, sarebbe comunque già esplosa, almeno tra la Cina e gli Stati Uniti: la questione, afferma l’AD di FCA, è “come l’insalata. Bisogna togliere una foglia per volta e abbiamo appena cominciato ad aprirla. Io non sono pronto a dichiarare la fine del mondo. Non è qui”.
“Noi abbiamo un rapporto estremamente esplicito e aperto con la Casa Bianca – ha continuato l’AD di FCA – Lo abbiamo stabilito da un anno e mezzo. E’ gente che conosciamo bene: il discorso di come andrà a finire la battaglia dei dazi è sul tavolo, bisognerà capire, bisognerà stare molto attenti nelle risposte. Stiamo attenti“, ha detto il manager, rivolgendosi all’Europa.
In una stoccata a Berlino, Marchionne ricorda: “Quello che è vero è che la Germania ha beneficiato più di tutti negli scambi commerciali. Bisogna guardare i numeri, il resto non conta”.
Ieri il caso Harley-Davidson è scoppiato a Wall Street per la seconda sessione consecutiva dopo che, nella giornata di lunedì, la casa famosa produttrice di motociclette ha reso nota la necessità di spostare parte della sua produzione al di fuori degli Stati Uniti, a causa delle ritorsioni Ue ai dazi doganali che Trump ha imposto su Bruxelles.
Harley-Davidson,Trump: ‘così è l’inizio della fine!’
Trump si è detto inizialmente “sorpreso” per la decisione del gruppo. Successivamente, con un post su Twitter, ha minacciato lui stesso ritorsioni contro l’azienda americana.
“Una Harley-Davidson non dovrebbe essere mai e poi mai essere prodotta in un altro paese! I dipendenti e i clienti sono già arrabbiati con loro. Se si trasferiranno, state tutti attenti, sarà l’inizio della fine. Si sono arresi, hanno gettato la spugna! I bei momenti finiranno e saranno tassati come mai prima!”.
A Wall Street, le quotazioni di Harley-Davidson non hanno subìto stavolta un forte contraccolpo, riuscendo a limitare le perdite a -0,6% a $41,32, dopo essere capitolate di quasi il 6% nella sessione di lunedì.
Il gruppo, con sede a Milwaukee, ha motivato il piano volto a trasferire la produzione delle motociclette che esporta in Europa dagli Stati Uniti in altri suoi impianti internazionali, affermando che una eventuale imposizione di dazi doganali da parte dell’Ue in risposta alle tariffe punitive che Trump ha lanciato contro Bruxelles si tradurrebbe in costi aggiuntivi compresi tra $90 e $100 milioni l’anno.
Harley-Davidson ha comunicato di non avere alcun commento da fare sui tweet di Donald Trump.
Ma, stando a quanto riporta Reuters, il portavoce Michael Pflughoeft ha riferito che il gruppo sta valutando l’impatto potenziale del trasferimento di parte della produzione sulle sue fabbriche americane.
A proposito del settore auto, occhio alert arrivato da Moody’s, che ha affermato che le tariffe punitive che l’America ha deciso di imporre sulle importazioni di auto avranno effetti che andranno a ripercuotersi sull’intero settore, a causa di problemi che colpiranno la filiera globale. E che ha sottolineato che i colossi americani General Motors e Ford non saranno risparmiati dalle conseguenze negative.
Nella nota, Moody’s ha precisato di fatto che “le tariffe sarebbero negative sia per Ford che per GM. Il peso sarebbe maggiore per GM, visto che dipende di più dalle importazioni dal Messico e dal Canada, per sostenere le operazioni in Usa”
Gli esperti continuano intanto a interrogarsi su quelle società che più patiranno l’escalation delle tensioni commerciali tra gli Usa e i suoi partner chiave.
Riguardo alla guerra commerciale Usa-Cina, Nicholas Lardy, professore senior presso il Peterson Institute for International Economics di Washington, ha paventato quello che accadrebbe ad alcuni colossi americani, nel caso in cui Pechino decidesse di vendicarsi:
“Il mercato di $40 miliardi degli iPhone di Apple, in Cina, il principale al mondo, potrebbe velocemente collassare. Allo stesso modo, General Motors vende più auto in Cina che negli Usa, e il governo cinese potrebbe agire per frenare le vendite”.