L’ombra della Warren e di Bernie Sanders su Wall Street, ecco le proposte dei due ‘nemici del capitalismo’
Manca un anno alle elezioni presidenziali USA 2020 e anche i piani di buyback dei colossi di Wall Street finiscono nel mirino della politica. Se dalle presidenziali 2020 uscisse un presidente democratico potrebbero arrivare non pochi cambiamenti. Tra le proposte principe del candidato alla presidenza democratica, Bernie Sanders, c’è l’addio ai buyback.
Il piano Sanders va a muso duro anche contro la misura bandiera introdotta in questi anni da Trump. Bernie Sanders, da poco tornato in pubblico dopo l’infarto che aveva fermato la sua campagna elettorale, vuole infatti invertire le riduzioni fiscali del presidente Trump per le società, riportando l’aliquota fiscale sulle società al 35% dal 21%, costringendo inoltre le società quotate in Borsa a offrire più quote ai dipendenti e democratizzando i consigli di amministrazione delle società.
Nel dettaglio Sanders vorrebbe che quasi la metà del consiglio di amministrazione di qualsiasi grande azienda con almeno 100 milioni di dollari di entrate annue e tutte le società quotate in Borsa sia eletto direttamente dai lavoratori dell’azienda.
La Warren prende di mira i super ricchi
Il programma di Sanders non si scosta molto da quello di Elizabeth Warren, la senatrice del Massachusetts in forte ascesa nei sondaggi e che con Sanders condivide proposte simbolo quali un sistema sanitario totalmente pubblico, la lotta ai giganti tech e al ‘Top 1%’ dei super ricchi su cui la Warren propone una tassazione più alta che andrebbe a finanziare le misure sulla sanità pubblica. La Warren intende poi introdurre una nuova imposta del 7 per cento sui profitti che superano i 100 milioni di dollari. Di mira i super ricchi: Secondo i calcoli de L’Economist, il 2 per cento dei contribuenti più ricchi pagherà sui propri redditi il 15 per cento in più di tasse.
La senatrice è una convinta sostenitrice di un capitalismo sociale di mercato, che combatte soprattutto una certa parte di capitalismo rappresentata dalle grandi corporation monopolistiche e dalla logica della remunerazione a breve degli azionisti.
Secondo l’ultimo sondaggio del New York Times/Siena College in vista delle primarie democratiche, la Warren gode del 22% delle preferenze, seguita da Bernie Sanders al 19% e da Pete Buttigieg al 18%. Rimane ancora l’incognita di una possibile discesa in campo di Michael Bloomberg nel caso Biden si ritiri.
La ragioni dietro al boom di buyback
Da quando Trump ha firmato lo ‘shock fiscale’ per le imprese, le società hanno annunciato oltre $ 1 trilione di riacquisti di azioni. Il più grande e aggressivo compratore di azioni, negli ultimi anni, sono le società stesse. L’acquisto di azioni proprie è spiegabile con varie ragioni. La ragione citata più spesso dagli ottimisti è che le società, che conoscono se stesse meglio di quanto le possa conoscere il mercato, si ritengono sottovalutate. “In alcuni casi è certamente vero, ma non può che nascere qualche sospetto quando si vanno a guardare le vendite di azioni da parte dei manager delle società stesse, al massimo storico, quando agiscono come individui”, rimarca Alessandro Fugnoli. Strategist di Kairos. La ragione citata dai pessimisti è invece che il quadro economico è così poco invitante che le società che hanno liquidità, non trovando niente di interessante da acquisire e non avendo nessuna voglia di mettere soldi in nuovi impianti perché intravedono un basso ritorno sugli investimenti, si rassegnano a restituire capitale al mercato e a diventare più piccole.
Fugnoli (Kairos): per alcuni ceo c’è una convenienza in più
“Ci sono poi altre due ragioni – prosegue Fugnoli – una razionale e un’altra molto probabilmente vera. La motivazione razionale è che raccogliere soldi con il debito in una fase storica di tassi a zero costa meno, per le aziende, che emettere azioni. Emettere debito per ricomprare azioni proprie fa in molti casi risparmiare e aumenta gli utili per azione due volte, la prima perché fa crescere gli utili e la seconda perché fa diminuire il numero di azioni su cui distribuirli”. “La ragione più vera di tutte è però un’altra. Molti CEO, soprattutto in America, fanno legare la parte variabile della loro retribuzione al valore in borsa della società che dirigono e hanno quindi un interesse particolare a farlo salire. E si raggiunge lo scopo più facilmente comprando azioni proprie piuttosto che attraverso investimenti produttivi rischiosi”. Insomma, continua Fugnoli, l’acquisto di azioni proprie è un’ottima cosa quando la società è davvero sottovalutata, ma si presta ad abusi quando viene fatto anche da chi sottovalutato non è.
Tassare i buyback come i dividendi?
Il boom di buyback è finito nel mirino non solo di Sanders e dopo le elezioni presidenziali 2020 qualcosa potrebbe cambiare. Con un Congresso democratico e una Casa Bianca forse dello stesso segno, il ricorso ai buyback potrebbe essere disincentivato in vari modi. Ci sono proposte di tassarli come dividendi, altri chiedono che siano permessi solo a chi rispetta certi standard ESG (ambientali, sociali e di governance), altri ancora vogliono limitarne la quantità. ” In qualche modo, i soldi in meno spesi in buy-back ritorneranno al mercato in altra forma (aumenti retributivi per i dipendenti, maggiori investimenti produttivi) ma l’effetto netto sarà comunque il venir meno di un supporto forte, affidabile e costante alle quotazioni e una maggiore volatilità”, argomenta lo strategist di Kairos che prevede dal 2021 in avanti una liquidità favorevole e buy-back in calo.