Notizie Notizie Mondo Investimenti: il nuovo corso delle Banche centrali favorirà azioni e bond emergenti

Investimenti: il nuovo corso delle Banche centrali favorirà azioni e bond emergenti

10 Giugno 2013 13:56
Dare più spazio all’azionario e meno all’obbligazionario dove è comunque preferibile scegliere i prodotti a spread e stare lontani dai titoli governativi dei Paesi di riferimento; nel mercato valutario uscire dall’ambito delle monete Ocse per affacciarsi sulle valute emergenti. Infine prendere in considerazione le opportunità di diversificazione offerte da prodotti quali hedge fund e absolute fund.  
Le scelte di investimento presentate da Andreas Utermann, chief investment officer di Allianz Global Investors, sono il risultato di una consapevolezza: il comportamento delle Banche centrali è cambiato. Per far capire quanto sia cambiato, Utermann risale indietro nel tempo fino agli anni ’80: “Mervin King, il numero uno della Bank of England, era un banchiere estremamente conservatore, un falco. Oggi ha portato la Bank of England ad essere la più espansiva tra le Banche centrali. Il bilancio della BoE è cresciuto del 500% rispetto al 2007″. Federal Reserve e Bce hanno percorso la stessa strada con un’espansione del 380% e del 250% rispettivamente, “e sappiamo bene quanto la seconda sia stata un tempo assai più conservatrice”. Non si tratta solo di una questione di  espansione del bilancio, ci sono altri processi in atto: “L’indipendenza delle banche centrali dal potere politico subisce un’erosione, l’esempio più eclatante in questo caso è la nomina del nuovo governatore della Bank of Japan. La distinzione tra organi di politica monetaria e fiscale inizia a diventare più labile in quanto politiche fiscali e monetarie sono sempre più legate. Questo cambiamento è osservabile non solo nel finanziamento esplicito del debito pubblico ma anche nella maggiore apertura verso la decisione delle Banche centrali di veleggiare controvento”.
 
In altre parole i banchieri centrali oggi preferiscono rimanere “dietro la curva. Se in precedenza -spiega Utermann – si sceglieva di eccedere nella prudenza e chiudere i rubinetti della liquidità prima, anziché dopo, oggi il paradigma si è ribaltato perché il nemico da combattere non è più l’inflazione ma la deflazione. Le Banche centrali vogliono evitare uno scenario giapponese e al contempo vogliono anche evitare un crollo del mercato obbligazionario al quale le banche centrali sono molto esposte. E’ anche una questione generazionale. Prima c’erano banchieri centrali forgiati dalle sfide inflazionistiche degli anni ’70, oggi ci sono banchieri centrali che hanno vissuto la bolla delle dot.com, la crisi finanziaria, che hanno visto il Giappone dibattersi in un ventennio di difficoltà e deflazione. 
Rimanere consapevolmente dietro la curva si traduce in un aumento dei rischi inflazionistici nel medio-lungo termine nonostante le aspettative di crescita dei prezzi al consumo siano ritenute da Utermann ben ancorate per i prossimi 12-18 mesi. 
“Con l’aumento delle aspettative di inflazione gli attuali rendimenti dei titoli governativi, artificialmente bassi, perderanno ulteriormente attrattiva con la conseguente intensificazione della financial repression come strumento per un deleveraging silenzioso. Questo non può che fare emergere lo spettro di una correzione del mercato obbligazionario. I rendimenti andranno pertanto cercati altrove. Nell’azionario, che in contesti di inflazione bassa ma crescente ha sempre performato meglio dell’obbligazionari ma anche nei bond high yield e dei Paesi emergenti che al tempo stesso riescono a offrire rendimento e protezione dal rischio debito sovrano”.