Inflazione e conti pubblici: il paper della Bce
Inflazione e conti pubblici: l’analisi della Bce
Nel bollettino economico appena pubblicato dalla Bce, compare un articolo che spiega la correlazione tra i conti pubblici e l’inflazione, in un periodo in cui l’Eurozona continua a essere alla prese con una spinta rialzista sui prezzi ancora ben lontana dal tornare a quel target di crescita pari al 2% su base annua, stabilito dalla stessa banca centrale europea.
Non per niente neanche la crisi che ha travolto i mercati finanziari è riuscita a impedire l’ennesimo rialzo dei tassi, sfornato il 16 marzo scorso dal Consiglio direttivo dell’istituzione guidato da Christine Lagarde.
L’articolo che esamina il rapporto tra i conti pubblici e l’inflazione, studiando sia l’impatto dell’inflazione sui conti pubblici che quello di determinate politiche di bilancio sull’inflazione medesima è stato firmato da Krzysztof Bankowski, Othman Bouabdallah, Cristina Checherita-Westphal, Maximilian Freier, Pascal Jacquinot e Philip Muggenthaler.
In primis, vengono ricordati i numeri relativi all’inflazione dell’area euro, la cui impennata ha decretato la fine di un’era, per la Bce e l’Eurozona, in cui il problema era rappresentato, piuttosto, dal fenomeno diametralmente opposto, ovvero dalla deflazione.
“Dalla metà del 2021, l’inflazione dell’area dell’euro è aumentata a un ritmo che era stato osservato, per l’ultima volta, negli anni ’70 e nei primi anni ’80 del 1900, dopo essersi mantenuta al di sotto dell’obiettivo della BCE del 2 per cento per quasi un decennio”, si legge nell’analisi degli economisti inclusa all’interno del bollettino della Bce, il secondo pubblicato dall’inizio dell’anno.
Dati alla mano, “l’inflazione complessiva sui dodici mesi, misurata in base all’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IAPC), è salita dall’1,9 per cento di giugno 2021 al 10,6 per cento di ottobre 2022, per poi scendere al 9,2 per cento a dicembre 2022. Il forte aumento dell’inflazione è stato determinato, in larga misura, da shock esterni dal lato dell’offerta e, in misura minore, da fattori interni trainati dalla domanda”.
Bce: occhio alla relazione tra inflazione e conti pubblici
Gli economisti della Bce ricordano che “la relazione tra inflazione e conti pubblici è bilaterale e dipende da diversi fattori”.
“Normalmente – viene ricordato – un tasso di inflazione più elevato dovrebbe comportare un miglioramento dei conti pubblici, almeno nel breve periodo. Ciò si deve al fatto che un tasso di inflazione più elevato accresce le entrate, mentre la spesa pubblica
tende ad aumentare solo con ritardo”.
Detto questo, e il paper degli economisti lo spiega, “le implicazioni per la politica di bilancio di uno shock inflazionistico dipendono da diversi fattori, tra cui spiccano per importanza: a) la natura e l’entità dello shock inflazionistico; b) la risposta discrezionale della politica di bilancio allo shock inflazionistico; c) gli aspetti istituzionali dei bilanci pubblici (come l’indicizzazione dei prezzi di alcune spese pubbliche e le caratteristiche dei sistemi fiscali); e d) la risposta della politica monetaria”. E “a sua volta, la risposta delle politiche di bilancio incide sulle prospettive di inflazione stesse, a seconda della portata dell’impulso e della sua composizione, insieme ad altri fattori”.
A tal riguardo, vale la pena ricordare tutte quelle volte in cui la presidente della Bce Christine Lagarde ha avvertito i governi dell’area euro, riguardo agli stimoli fiscali lanciati per blindare le rispettive famiglie e imprese dagli effetti del caro energia e dell’inflazione in generale.
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Gli economisti fanno una premessa, sulla base dci “evidenze tratte dalla letteratura”. Viene sottolineato che “l’inflazione incide su diverse componenti dei conti pubblici”.
Le componenti comprendono:
- La spesa primaria e le entrate, e pertanto il saldo primario.
- I tassi di interesse di mercato, che riflettono l’impatto dell’inflazione sugli interessi corrisposti dalle amministrazioni pubbliche ai detentori dei titoli di Stato.
- Il rapporto tra debito pubblico e PIL e il valore del debito in termini reali, la cui evoluzione riflette anche il saldo primario e i tassi di interesse di mercato.
“Convenzionalmente – spiegano gli economisti della Bce – si ritiene che l’inflazione abbia un impatto positivo sui conti pubblici, almeno nel breve periodo. In seguito a un (moderato) rialzo inatteso dell’inflazione, la spesa pubblica tende a essere rigida nel breve periodo, ad esempio a causa dell’avvenuta approvazione dei bilanci o di meccanismi di indicizzazione ai prezzi basati sull’inflazione passata”.
Inoltre, “dal lato delle entrate, l’inflazione può influire positivamente sui conti pubblici se le basi imponibili e il gettito si adeguano senza ritardi significativi e crescono più del PIL in termini nominali. Uno di questi effetti positivi è dovuto principalmente al cosiddetto ‘drenaggio fiscale’, in presenza di un regime fiscale progressivo”.
Di fatto, “le imposte sul reddito delle persone fisiche basate su sistemi progressivi, come nel caso dei paesi dell’area dell’euro, implicano che gli aumenti di reddito in linea con l’inflazione incrementino il gettito fiscale delle amministrazioni pubbliche in termini reali spingendo i redditi nominali verso aliquote di fascia più elevata. Questo effetto si verifica quando le aliquote fiscali non vengono adeguate all’inflazione. In linea con queste considerazioni diversi studi empirici, che cercano di spiegare gli andamenti del saldo primario, rilevano un impatto positivo, seppur relativamente debole, dell’inflazione”.
‘La natura dell’inflazione incide su impatto su conti pubblici’
“Tuttavia – si legge nel paper della Banca centrale europea – quando l’inflazione è generata da uno shock esterno e tocca livelli elevati, il suo impatto positivo sui conti pubblici può venire meno. La natura dello shock inflazionistico può incidere sull’impatto esercitato sui conti pubblici, come dimostrano diverse analisi empiriche e basate su modelli”.
Per esempio, “uno shock esterno dal lato dell’offerta, come il rincaro di petrolio o gas importati (analogamente allo shock energetico che attualmente investe l’area dell’euro) può avere un impatto più negativo sui conti pubblici rispetto a uno shock interno”.
“Un aumento dei prezzi dei beni energetici importati si trasmetterà gradualmente ai prezzi al consumo, riducendo così il reddito reale delle famiglie, moderando la spesa per consumi e l’attività complessiva e riducendo, infine, le entrate fiscali. A titolo di confronto, uno shock inflazionistico interno dal lato della domanda o dell’offerta (associato, ad esempio, a una più elevata propensione al consumo, a salari più alti e a più ampi margini di profitto per le imprese nazionali) potrebbe portare a un aumento della produzione e dei prezzi per un periodo di tempo più lungo (almeno fino a quando la politica monetaria non reagisce) e, pertanto, a un maggiore gettito fiscale”.
“Gli effetti meno favorevoli sui conti pubblici di uno shock esterno sulle ragioni di scambio come quello sperimentato dall’area dell’euro in seguito alla guerra della Russia all’Ucraina possono acuirsi” inoltre nei seguenti casi:
- L’inflazione è molto elevata ed esercita una maggiore pressione sulla spesa pubblica, sia attraverso misure discrezionali sia per via degli adeguamenti automatici.
- La politica monetaria reagisce per contrastare lo shock inflazionistico, con il rischio di poter determinare una riduzione della crescita in termini reali e un aumento dell’onere. La sensibilità all’inflazione del rapporto tra debito pubblico e PIL dipende in maniera determinante dalla trasmissione dell’inflazione ai tassi di interesse sovrani in termini nominali e dalla struttura per scadenze del debito pubblico (più è elevata la quota di debito a breve termine, più rapida è la trasmissione degli aumenti dei tassi di interesse alla spesa per interessi).
Quanto le politiche di bilancio incidono sull’inflazione?
“Quanto all’impatto delle politiche di bilancio sull’inflazione, una delle principali questioni discusse in letteratura riguarda le condizioni in cui le considerazioni sulle politiche di bilancio influenzano il processo di determinazione dei prezzi. Le prime teorie monetariste sostengono che l’inflazione, intesa come aumento sostenuto del livello dei prezzi, è determinata unicamente dalla crescita della moneta e che le politiche di bilancio non hanno alcun ruolo, a meno che non siano finanziate da moneta”.
“Per contro – spiega l’analisi della Bce – secondo la cosiddetta teoria fiscale del livello dei prezzi, una politica di bilancio espansiva non finanziata da future equivalenti misure di copertura – ossia un aumento del debito pubblico a cui non si associno (attesi) avanzi primari futuri più elevati – fa sì che gli agenti economici percepiscano un aumento della loro ricchezza reale, inducendo così più elevati consumi e livelli dei prezzi”.
“Più in generale, se il valore attuale degli avanzi primari futuri è minore dell’ammontare del debito nominale in essere, il livello di equilibrio dei prezzi deve aumentare (riducendo il valore reale del debito) per assicurare la solvibilità dei conti pubblici, se si esclude esplicitamente la possibilità di un default sovrano“.
“Infine, in alcuni modelli macroeconomici ampiamente utilizzati come quelli neo-keynesiani, le misure discrezionali di bilancio, accompagnate da misure di politica monetaria, possono rappresentare un efficace strumento di stabilizzazione macroeconomica nel breve periodo. Ciò è particolarmente vero in situazioni in cui la politica monetaria è vincolata al limite inferiore effettivo o nelle fasi di recessione profonda, quando lapolitica di bilancio può aiutare a prevenire episodi deflazionistici”.
Il caso concreto dell’area euro
Passando alla realtà dei conti pubblici dell’area euro, gli economisti della Bce fanno notare che “si stima che le misure di bilancio discrezionali attuate in risposta allo shock energetico e inflazionistico siano di portata considerevole nel biennio 2022-2023”.
Viene fatto notare che le “misure discrezionali espansive sono aumentate considerevolmente nel 2022 in risposta al brusco rialzo dei prezzi dell’energia e dell’inflazione in seguito all’invasione russa in Ucraina”.
Gli economisti della Bce indicano che “i provvedimenti di sostegno di bilancio in risposta agli elevati livelli dell’inflazione e dei corsi dell’energia dovrebbero essere in larga parte revocati nel biennio 2024-2025″.
Riassumento gli stimoli fiscali lanciati dai governi dell’area euro, “basandosi sostanzialmente sulle misure approvate nel contesto dei documenti programmatici di bilancio per il 2023, lo scenario di base per il 2024 delle proiezioni dell’Eurosistema di dicembre 2022 incorpora misure espansive pari allo 0,5 per cento circa del PIL (in calo rispetto a un valore prossimo al 2 per cento del PIL del 2023) poiché molte misure dovrebbero giungere a scadenza o attenuare gradualmente il loro impatto sul bilancio”.
“Circa la metà dello stimolo per il 2024 è riconducibile a ulteriori sussidi, mentre la parte restante consiste perlopiù in una proroga dei tagli applicati ai prezzi dell’energia e ad altre imposte indirette, nonché in misure di compensazione dell’inflazione sotto forma di riduzione delle imposte dirette. Un’ulteriore revoca delle misure si ipotizza per il 2025, con una conseguente riduzione del costo di bilancio stimato allo 0,2 per cento del PIL. Nel complesso, la portata di tali misure nell’orizzonte temporale di proiezione dipenderà dalle ulteriori decisioni dei governi sulle politiche di bilancio, nonché dai futuri andamenti dei prezzi dell’energia e dell’inflazione”.
Il punto è che queste misure di sostegno varate dai governi dell’area euro hanno un effetto positivo sul Pil ma anche sull’inflazione.
Nell’analisi si legge infatti che, “considerando l’effetto cumulato di tutte le misure di stimolo di bilancio incorporate nello scenario di base a partire dal 2020 (rispetto al periodo, antecedente la pandemia, del 2019), si stima che la politica di bilancio continui a esercitare un impatto positivo sul PIL dell’area dell’euro (di 2,3 punti percentuali circa nel periodo 2020-2025 in termini cumulati, rispetto a uno scenario di ‘assenza di variazioni nella politica di bilancio’), ma anche sullo IAPC (di circa 0,8 punti percentuali)”.
Va detto che i conti pubblici dell’area euro, secondo la view degli economisti, sarebbero intaccati a prescindere dalle misure discrezionali adottate.
“Oltre il breve periodo, i conti pubblici dell’area dell’euro potrebbero subire l’influenza negativa dell’attuale episodio di elevata inflazione. Questa situazione si verificherebbe anche senza considerare la risposta discrezionale dei governi agli elevati prezzi dell’energia e all’inflazione (stimata a quasi il 2 per cento nel periodo 2022-2023)”.
Il motivo? Gli economisti danno una spiegazione riallacciandosi a quanto detto sopra:
“Tale impatto negativo è riconducibile principalmente alla natura e all’entità dello shock inflazionistico nell’area dell’euro, principalmente uno shock energetico esterno di ampia portata che genera un gettito fiscale inferiore rispetto alle sue dimensioni, incide negativamente sulla redditività e sulla crescita delle imprese ed esercita forti pressioni sulla spesa pubblica nominale. Inoltre, la reazione di politica monetaria necessaria per evitare che questo shock inflazionistico determini effetti di secondo impatto ingiustificati si traduce in un aumento della spesa per interessi sul debito pubblico“.
Praticamente, “in termini di rapporto tra debito e PIL dell’area dell’euro, l’analisi mostra che, oltre il breve periodo e sulla base della reazione della politica monetaria, un impatto avverso sull’attività economica da parte di uno shock negativo dal lato dell’offerta potrebbe più che compensare l’impatto positivo dell’aumento dell’inflazione sui rapporti tra debito e PIL”.
L’onere delle misure discrezionali sui conti pubblici
Includendo “le misure discrezionali di politica di bilancio adottate dai governi dell’area dell’euro in risposta agli elevati prezzi dell’energia e all’inflazione”, emerge che tali interventi “hanno a loro volta prodotto effetti macroeconomici e distributivi significativi, sebbene solo temporanei. Si stima che tali misure attenuino le pressioni inflazionistiche nel periodo 2022-2023, prima che questo effetto venga sostanzialmente invertito, determinando un aumento dell’inflazione nel periodo 2024-2025. Tuttavia il grado di efficacia delle misure di bilancio e della loro composizione nell’influenzare la dinamica dei prezzi è estremamente incerto, data la loro natura senza precedenti”.
In particolare, “è stato riscontrato anche che il sostegno di bilancio discrezionale in risposta a prezzi dell’energia e inflazione elevati inizialmente aumenta la crescita del PIL e sostiene il reddito disponibile nominale delle famiglie. Tuttavia, pur essendo progressive, alcune misure di bilancio non sono molto efficienti dal punto di vista economico. Si stima che solo una quota relativamente esigua delle misure di sostegno sia destinata alle famiglie a più basso reddito“.
E c’è anche l’onere sui conti pubblici.
“Inoltre, l’onere aggiuntivo per i conti pubblici, soprattutto se il sostegno sarà esteso attraverso misure di più lunga durata, può creare ulteriori sfide in un contesto di crescenti spese per interessi, in particolare nei paesi fortemente indebitati. I risultati macroeconomici e di bilancio complessivi dipendono da numerosi fattori, fra cui la reazione della politica monetaria e di bilancio nel periodo a seguire. Le misure di bilancio che non sono temporanee, mirate e modulate al fine di preservare gli incentivi per un minore consumo energetico potrebbero esacerbare le spinte inflazionistiche, il che richiederebbe una risposta di politica monetaria più vigorosa. Le politiche di bilancio dovrebbero pertanto essere orientate a rendere l’economia dell’area dell’euro più produttiva, a ricostituire i margini di bilancio e a ridurre gradualmente gli elevati livelli del debito pubblico“.