Notizie Indici e quotazioni Guerra Hamas-Israele: focus azioni, oro, BTP, petrolio. Il fattore Iran

Guerra Hamas-Israele: focus azioni, oro, BTP, petrolio. Il fattore Iran

9 Ottobre 2023 14:32

Conflitto Hamas-Israele: qual è stata e quale sarà ancora la reazione dei mercati a quello che è stato definito l’11 settembre, il 9/11, per Israele?

La notizia del violento attacco a Israele da parte di Hamas ha avuto effetti immediati sull’azionario, sul mercato dei bond, sui prezzi del petrolio e sulle quotazioni dell’oro.

L’avversione al rischio esplosa sui mercati, in generale, ha portato trader e investitori ad andare subito a caccia di safe assets, ovvero di quegli asset considerati più sicuri in tempi di incertezza.

I buy sono scattati subito, di conseguenza, sui bond e sull’oro, mentre le azioni sono state vendute, come ha dimostrato fin dalle prime ore il trend dei futures sui principali indici azionari di Wall Street .

Guerra Hamas-Israele, bond: voglia di safe asset premia più Bund che BTP

Indicazioni dai Treasuries Usa saranno difficili da captare, visto che oggi, in occasione della festività nazionale degli Stati Uniti Columbus Day, il mercato dei titoli di stato Usa rimarrà chiuso.

Detto questo, nell’area euro i buy che scattano sui titoli di stato provocano il calo dei rendimenti. 

Il risultato è che i rendimenti dei Bund tedeschi con scadenza a dieci anni sono scivolati stamattina fino a oltre 5 punti base, al 2,835%, mentre i tassi dei Bund a due anni hanno perso 4 punti base, al 3,089%.

A scendere sono stati più i rendimenti dei Bund che quelli dei BTP.

I tassi dei BTP a 10 anni hanno riportato infatti un trend poco mosso, oscillando attorno al 4,922%, dopo essere balzati la scorsa settimana oltre la soglia psicologica del 5%.

Il risultato è che lo spread BTP-Bund punta dritto verso quota 210 punti base.

Gli investitori, d’altronde, preferiscono optare per i Bund in quanto vengono considerati safe-asset, ovvero asset più sicuri.

Vince l’oro. Il fattore Iran condiziona il petrolio

Bene invece il bene rifugio per eccellenza, l’oro, mentre il petrolio avanza del 4% circa, scontando l’escalation delle tensioni geopolitiche globali, che vedono affiancare ora la guerra tra Hamas e Israele al conflitto in Ucraina, scatenato dall’invasione del paese da parte della Russia, nel febbraio del 2022.

In particolare i prezzi del contratto WTI sono saliti fino a $85,85 al barile, mentre il Brent è balzato fino a $87,63.

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Il timore è ciò che potrebbe accadere, soprattutto, ai prezzi del petrolio, visti i sospetti di un coinvolgimento dell’Iran, tra i paesi esportatori di crude oil più importanti al mondo, nell’attacco che Hamas ha lanciato contro Israele, provocando la morte di 800 persone.

Un articolo di Market Insider fa il punto della situazione, facendo capire che, in questo momento, l’unica certezza è l’incertezza:

La guerra brutale tra Israele e Hamas rischia di riaccendere l’inflazione, di strozzare la crescita dell’economia e di zavorrare le azioni, così come alcuni tra gli strategist e gli investitori più importanti di Wall Street hanno avvertito.

Il timore di un effetto oil sull’inflazione imbrigliata da Fed e Bce

L’escalation delle tensioni geopolitiche rende ancora più faticoso il lavoro della Federal Reserve di Jerome Powell, ma anche della Bce di Christine Lagarde e di altre banche centrali che stanno combattendo contro la persistenza dell’inflazione da più di un anno.

le due banche si staranno interrogando in queste ultime ore sulla necessità o meno di continuare ad alzare i tassi di interesse, o su quella, invece, di fare dietrofront e iniziare a tagliare i tassi per scongiurare il rischio di una recessione.

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Mohit Kumar, capo economista della divisione di ricerca dedicata all’Europa di Jefferies, ritiene  che “i prossimi giorni, probabilmente, saranno condizionati più dai rischi geopolitici che dai fondamentali”.

L’interrogativo, a suo avviso, “guardando le cose dalla prospettiva dei mercati, è se l’Iran sarà coinvolta nel conflitto e cosa accadrà ai prezzi del petrolio nelle prossime settimane”.

Determinante sarà il trend, dunque, per lo stesso azionario e per la stessa propensione o avversione al rischio, del petrolio crude, il cui rally, successivo alla decisione dell’Arabia Saudita e della Russia di estendere i tagli all’offerta fino alla fine dell’anno, aveva già portato diversi strategist a stimare prezzi superiori ai 100 dollari al barile, prima che i timori sull’erosione dei fondamentali dell’economia portassero le quotazioni a segnare, la scorsa settimana, una forte flessione.

Petrolio: cosa sta succedendo. Minaccia sanzioni più forti contro Teheran

Oggi i prezzi del petrolio sono tornati ad alzare la testa, scontando i timori di un ulteriore deficit dell’offerta di petrolio, che si verrebbe a creare in caso di nuove sanzioni che l’Occidente potrebbe decidere di lanciare contro Teheran, noto per essere sostenitore di Hamas.

Intervistato da Politico, Andy Lipow, responsabile della società di consulenza energetica Lipow Oil Associates, ha detto di credere che, probabilmente, i prezzi del petrolio saliranno, di fatto, “non tanto per le conseguenze, in questo momento, del conflitto sull’offerta di petrolio, ma per la paura che la guerra finisca con il coinvolgere altre nazioni, come l’Iran, sostenitrice di Hamas”.

Sul presidente degli Stati Uniti Joe Biden gli appelli a rafforzare le sanzioni contro il petrolio dell’Iran sono già scattati.

Interpellata dal Financial Times Helima Croft, responsabile della divisione di strategia globale delle commodities di RBC Capital Markets, ha a tal proposito commentato che sarà “difficile”, per gli Usa, continuare a portare avanti quell’approccio soft adottato nei confronti dell’Iran e, in particolare, nei confronti delle sanzioni sulla produzione di petrolio iraniano imposte, con Israele che accusa Teheran di aver aiutato Hamas a compiere la strage di sabato scorso.

Un’eventuale impennata dei prezzi del petrolio che si protraesse nel tempo andrebbe a minare ulteriormente la propensione al rischio degli investitori, a danno, dunque, dell’azionario, che farebbe ulteriormente dietrofront, nel caso in cui si trovasse di fronte al pericolo di nuovi rialzi dei tassi da parte delle banche centrali.

E certo questo pericolo potrebbe tornare a concretizzarsi nel caso in cui l’impennata dei prezzi energetici successiva al conflitto si confermasse duratura:

in questa eventualità, infatti, le minacce di una inflazione ancora aggressiva tornerebbero a essere rinfocolate, fattore che farebbe (ri)scattare sull’attenti la Fed, la Bce e altre banche centrali.

Il rischio è concreto, se si considera che, nelle ultime ore, il Wall Street Journal ha riportato le indiscrezioni secondo cui l’Iran avrebbe dato il suo sostegno a preparare un attacco da diverse settimane.