Governo M5S-Lega e il piano privatizzazioni fantasma. Ft lancia alert debito
Un più che evidente scetticismo verso l’ambizioso piano di privatizzazioni promesso dal governo M5S, per un valore di 17-18 miliardi di euro, era stato già espresso da alcuni economisti negli ultimi giorni. Lo stesso scetticismo è stato manifestato anche dal Financial Times, nell’articolo “Hold-up to state sell-offs curbs Italy’s plans to cut public debt”. Ovvero: “Il congelamento delle vendite di asset statali frena il piano dell’Italia volto a tagliare il debito pubblico”. Arriva intanto la nota Eurostat, che non fa altro che alimentare i timori sul debito pubblico italiano: in quella che è la sua prima notifica dei dati definitivi del 2018, Eurostat ha reso noto che il rosso delle casse dello stato è salito al 132,2% del Pil, dal 131,4% del 2017.
Nota lievemente confortante è il deficit, che è sceso invece al 2,1%, dal 2,4% del 2017. Detto questo, il debito italiano si conferma il secondo più elevato dell’Ue dopo la Grecia (181,1%).
In questa situazione, l’articolo del Financial Times non potrebbe essere pubblicato in un momento migliore. Che fine ha fatto quel piano di privatizzazioni incentrato sullo smobilizzo di asset di proprietà dello stato, che l’esecutivo giallo-verde aveva presentato come una sorta di misura cruciale anti-debito?
“La coalizione (di governo) populista dell’Italia non è riuscito a fare progressi nel piano che prevede la vendita di asset statali per un valore di 17 miliardi di euro entro la fine di quest’anno, mettendo in dubbio la capacità di Roma di tagliare il vasto debito pubblico italiano, al ritmo conc**ordato con la Commissione europea”.
Tale promessa – fa notare il quotidiano britannico- sembra essere caduta nel vuoto. “Dall’inizio dell’anno, non è arrivato nessun annuncio su eventuali preparativi (di questo programma di privatizzazioni)” il cui valore era stato presentato pari all’1% del Pil.
E, a questo punto, “vista l’assenza di progressi, il target sarà difficile da raggiungere, secondo molti ex funzionari del Tesoro, che hanno affermato che quasi sicuramente non c’è più tempo per concludere un qualsiasi accordo entro il 2019″.
L’FT ha dato la parola a Fabrizio Pagani e Lorenzo Codogno, entrambi ex funzionari senior del Tesoro italiano.
Così Fabrizio Pagani:
“Riuscire a raccogliere quella cifra (17 miliardi di euro) è una grande sfida. E per le privatizzazioni ci vuole molto tempo: ci vogliono volontà politica e preparazione amministrativa, e siamo già ben avanti nel 2019″.
Tra l’altro, è stata proprio la commissione Bilancio del Parlamento, la scorsa settimana, a riferire di non credere che il target delle privatizzazioni possa essere raggiunto. L’Ft ricorda che lo Stato italiano detiene partecipazioni dirette in diverse società, inclusa la quota del 23,6% in Enel e il 4,3% in Eni, così come è azionista di Leonardo e di Poste Italiane.
“Agli attuali valori di mercato, queste partecipazioni hanno un valore”, scrive il quotidiano. Ma proprio di recente, viene rilevato, il leader del M5S e vicepremier Luigi Di Maio ha detto che non permetterà la svendita di qualsiasi importante asset di proprietà dello Stato, o di partecipazioni in aziende pubbliche. Una ragione è sicuramente rappresentata dal collasso del Ponte Morandi di Genova, in particolare dal fatto che quel tratto autostradale fosse gestito da Autostrade per l’Italia, società che era stata privatizzata. “Il M5S ha usato quell’incidente per rafforzare le sue critiche contro i regali che lo Stato italiano avrebbe fatto a grandi aziende private”, aggiunge il Financial Times.
Dal canto suo Lorenzo Codogno, ex responsabile economista del Tesoro italiano, ha affermato che il piano del governo M5S-Lega volto a raccogliere 17 miliardi di euro è “del tutto irrealizzabile”. Il piano, ha spiegato l’economista, “implicherebbe la vendita di un grande ammontare di principali asset statali, e ciò non avverrà”. Ma, ed è qui la vera nota dolente per un paese già altamente indebitato come l’Italia -“se le privatizzazioni non verranno realizzate, allora il debito-Pil salirà di 1 punto percentuale, in un contesto in cui il debito è già alto”.
L’FT ricorda tra l’altro che è lo stesso ministero del Tesoro – come emerso dal Def – a prevedere un aumento del debito-Pil al 132,6% nel 2019 dal 132,2% del 2018. E che tale target (di per sé già troppo alto) dipende proprio da un piano di privatizzazioni che non sarebbe errato, a questo punto, considerare fantasma. Fino a che punto, dunque, il debito potrebbe salire in assenza degli introiti previsti da un piano di privatizzazioni?
Così ricorda il Messaggero:
“Il Tesoro, direttamente, detiene tuttora quote in Eni (4,3%), Enel (23,6%), Leonardo (30,2%) e Poste (29,3%) oltre alla maggioranza di Enav ed Mpd. Partecipazioni che complessivamente valgono attualmente circa 20 miliardi. Una indicazione che rende l’obiettivo del governo di vendere quote di aziende pubbliche per 17 miliardi praticamente impossibile da raggiungere. «Nel quadro programmatico di finanza pubblica esiste un concreto elemento di rischio correlato all’eventualità che il programma di privatizzazioni (17,8 miliardi nel 2019 e 5,5 nel 2020) possa rivelarsi in tutto o in parte inattuabile», aveva messo in evidenza l’Upb nell’audizione sul Def, ricordando che tra 2015 e 2018 l’unico anno in cui il target è stato raggiunto è stato il 2015 e che «prima del 2015 solo in tre occasioni si sono registrate dismissioni di importo superiore a 10 miliardi (1997, 1999 e 2003), mentre in quelli successivi i risultati sono stati largamente inferiori alle attese».
L’Ft ricorda che il ministro dell’economia Giovanni Tria, parlando giorni fa da Washington, non si è esposto più di tanto sulla capacità del governo di raccogliere 17 miliardi di euro entro la fine dell’anno, attraverso un piano di privatizzazioni.
“Aspetteremo per guardare ai risultati, e se il target non sarà centrato, vedremo più avanti”. Una fonte vicina al dossier ha riferito che l’obiettivo è “realizzabile da un punto di vista tecnico”, ma non ha fornito alcun dettaglio sugli asset che il governo potrebbe decidere di vendere.
In tutto questo c’è qualcuno, come Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, che ha detto chiaramente che, “se non si faranno queste privatizzazioni (non dimentichiamo che siamo già a metà aprile) sarà il tracollo, sia pure dolce, pilotato, concordato: o ci fanno fare un po’ di patrimoniale o ci fanno aumentare una parte di Iva”.