Notizie Notizie Mondo Federal Reserve più falco, scontro aperto con Trump in vista elezioni Congresso?

Federal Reserve più falco, scontro aperto con Trump in vista elezioni Congresso?

2 Agosto 2018 10:54

“La Federal Reserve mantiene invariati i tassi di interesse ma sfida Trump, indicando che altri rialzi dei tassi sono in arrivo”. Così il titolo con cui il New York Times commenta la decisione della Fed guidata da Jerome Powell di non apporre, per ora, alcuna modifica al costo del denaro degli Stati Uniti e, allo stesso tempo, di non fare alcun dietrofront nel percorso di strette monetarie. I tassi sui fed funds, come ampiamente atteso, sono rimasti inchiodati al range compreso tra l’1,75% e il 2%.

I mercati tornano così a scommettere su due ulteriori rialzi a settembre e dicembre, dopo le due strette avvenute nel primo semestre dell’anno.

Nel confermarsi più bullish sia sulla crescita dell’economia che su quella dell’inflazione, la Fed fa capire che le altre due manovre entro la fine del 2018 sono praticamente più probabili di quanto gli investitori avessero ritenuto fino alla giornata di ieri.

Ma cosa dire dei timori sull’escalation di una guerra commerciale, confermati nelle ultime ore con la proposta del presidente Donald Trump di aumentare i dazi doganali su prodotti cinesi per un valore di ben $200 miliardi?

E’ in questo senso che, come riporta il New York Times, la Federal Reserve ha lanciato una sfida al presidente Usa.

Stando a quanto si legge nel comunicato, la Federal Reserve non teme che le politiche commerciali americane possano essere tali da ostacolare la crescita. La banca centrale non sembra preoccupata neanche della debolezza con cui i salari della maggior parte dei lavoratori continuano a crescere.

Di seguito, le modifiche rispetto al comunicato dell’ultima riunione della Federal Reserve.

  • Le spese delle famiglie, si legge, “sono cresciute in modo sostenuto“: frase migliorata rispetto al precedente comunicato, che parlava di spesa “in ripresa”.
  • L’attività economica continua a crescere a un tasso “forte” – si legge ancora. Nel precedente comunicato si parlava di un tasso “solido”.
  • Tra le altre modifiche apportate al comunicato, anche quella secondo cui l’inflazione a 12 mesi “è rimasta vicina al 2%”, rispetto alla frase precedente: “si è avvicinata al 2%”.
  • Infine, quella che fa notare che il tasso di disoccupazione è “rimasto basso”, rispetto a “è sceso” del comunicato precedente.

Il tutto si riassume nella seguente frase:

“Ulteriori graduali aumenti del target sul range del tasso sui fed funds saranno coerenti con l’espansione sostenuta dell’attività economica, con le forti condizioni del mercato del lavoro, e con una l’inflazione vicina all’obiettivo simmetrico del 2%, nel medio periodo”.

La decisione di lasciare i tassi invariati a seguito della riunione di due giorni è stata votata all’unanimità.

Così Ronald Temple, Co-Head of Multi-Asset e Head of US Equities presso Lazard Asset Management, commenta il contenuto del comunicato.

“L’annuncio di ieri ribadisce che un aumento dei tassi a settembre sembra essere cosa certa. Sebbene crediamo che il passaggio al protezionismo sia una reale minaccia per i profitti delle imprese e per l’economia, pensiamo sia improbabile che la Fed cambi il proprio piano”.

Dunque la Fed più falco va avanti per la sua strada, snobbando gli avvertimenti infuocati di Trump – eterna colomba, favorevole a un contesto di tassi di interesse bassi dai tempi in cui ha iniziato a costruire il suo impero immobiliare – esplosi a metà luglio: avvertimenti e critiche che hanno rotto il silenzio tradizionale con cui la Casa Bianca si astiene, normalmente, dall’interferire nelle decisioni di politica monetaria di una istituzione, come la Fed che, almeno sulla carta, dovrebbe essere indipendente.

Trump è riuscito a infrangere anche questo tabù qualche giorno fa, tuonando contro Jerome Powell (da lui nominato per sostituire Janet Yellen, che evidentemente non gli era particolarmente gradita), sia per il continuo rialzo dei tassi che la banca centrale Usa continua a perseguire che, di conseguenza, per il dollaro forte che, a suo avviso, starebbe danneggiando l’economia americana.

Non sono contento (della Fed) – ha detto in un’intervista rilasciata alla Cnbc – Non mi piace il fatto che stiamo facendo tutto questo lavoro a favore dell’economia, e nel mentre vedere i tassi che salgono”.

Quel giorno, nel commentare le parole di Trump contro la Fed Alan Blinder, ex vice presidente della Fed, ha avvertito:

“E’ da tempo che molti di noi si chiedevano quando sarebbe arrivato il momento in cui Trump avrebbe lanciato la prima scarpa contro la Fed. Ed è sorprendente che ci sia voluto tutto questo tempo. E tuttavia, questa non è la solita ramanzina di Trump a cui siamo tutti abituati. Se le parole si fermeranno qui, non sarà una grande cosa”.

Detto questo, Blinder ritiene che, in vista delle elezioni di metà mandato del Congresso Usa che si terranno nel novembre di quest’anno, e anche della ricandidatura del presidente all’Election Day del 2020, una escalation delle tensioni tra la Casa Bianca e Powell sia probabile.

La questione è direttamente legata alla guerra commerciale in corso tra Usa e Cina. Con la sua posizione sempre più da falco, la Federal Reserve sta sostenendo il valore del dollaro, rendendo così l’America meno competitiva nell’arena delle esportazioni.

Non per niente, nell’intervista riportata dal Washington Post lo scorso 19 luglio, Trump si è lamentato del calo dei giorni precedenti sofferto dall’euro, e del fatto che lo yuan cinese sta “cadendo come una pietra”.