Fed dovish, Powell verso taglio tassi. Rendimenti Treasuries a 10 anni sotto 2% per prima volta da 2016

Fed verso un taglio dei tassi, con la platea di analisti, strategist ed economisti che si affretta a rivedere le proprie proiezioni: i mercati fanno lo stesso, con i rendimenti dei Treasuries che continuano a scendere e il dollaro che punta verso il basso.
La Fed di Jerome Powell non ha tagliato i tassi, lasciandoli invariati nel range compreso tra il 2,25% e il 2,50%, ma ha praticamente promesso di farlo. Il dot-plot ne è la prova: dal grafico che esprime il valore mediano delle aspettative dei membri del Fomc – il braccio di politica monetaria della Federal Reserve – emerge infatti che, mentre non si attende nessuna particolare variazione per il 2019, quasi la metà degli esponenti intravede tassi più bassi per la fine del 2020: il valore mediano relativo alla fine dell’anno prossimo scende al 2,1%, rispetto al 2,6% precedente.
Nel comunicato che ha accompagnato l’annuncio sui tassi non compare inoltre più la parola “paziente” sui tassi.
Occhio alla reazione di alcuni asset finanziari Usa: i tassi sui Treasuries a trent’anni sono scesi attorno al 2,4980% e quelli a due anni sono scivolati di 10 punti base fino all’1,76%, valore più basso dal 2017.
Quelli a dieci anni sono capitolati al di sotto della soglia psicologica del 2%, per la prima volta dal novembre del 2016, fino all’1,9906%.
Forte calo del dollaro, con il Dollar Index che è sceso fino a -0,5% nelle contrattazioni overnight e che ora risulta poco mosso a 97,188.
Euro-dollaro in rialzo di oltre mezzo punto percentuale a $1,1290; dollaro-yen -0,40% a JPY 107,67; la sterlina avanza sul dollaro dello 0,65% a $1,2721.
Taglio tassi Fed, torni scalpitano sul mercato dell’oro
Balzo per le quotazioni del contratto spot sull’oro, che hanno segnato un rally al record in oltre cinque anni, salendo a $1.381,94 l’oncia. In rally anche i futures sull’oro, che sono volati fino a +3%, a $1.397,70. Gli analisti hanno attribuito i poderosi rialzi all’indebolimento del dollaro e dei rendimenti dei Treasuries Usa, causati a loro volta proprio dal comunicato della Fed, che ha aperto la porta a ulteriori tagli dei tassi. I tori sono tornati così a scalpitare sul mercato dei lingotti.
Tornando al comunicato della Fed successivo all’annuncio sui tassi, si legge che “le spese delle famiglie sembrano essersi rafforzate ma gli investimenti fissi delle aziende sono rimasti deboli; l’attività (economica) si sta espandendo a un ritmo moderato; la Fed agirà in modo appropriato per sostenere l’espansione economica, con un mercato del lavoro forte e una inflazione vicina al target; le incertezze sull’outlook di una espansione economia sostenuta sono aumentate”.
Nella conferenza stampa seguita all’annuncio sui tassi, il presidente della Fed Jerome Powell ha poi confermato che sono stati fatti “cambiamenti significativi” al comunicato. Powell ha parlato di deterioramento del sentiment verso il rischio nei mercati finanziari e di ostacoli rappresentati dagli sviluppi commerciali e da una crescita globale più debole.
“Molti (esponenti) del Fomc ritengono che ci siano maggiori presupposti per una politica più accomodante – ha detto – in generale (i membri del Fomc) prevedono un avvicinamento del tasso di inflazione al target, ma a una velocità minore“. Sull’inflazione, insomma, così come nel caso della Bce – con Mario Draghi che non per niente ha lanciato nuove misure in stile Whatever It Takes, non ci siamo ancora neanche negli Stati Uniti.
Powell ha sottolineato comunque che l’economia continua a performare bene quest’anno e che molte indicazioni che arrivano dal mercato del lavoro sono solide.
Piuttosto, sono “le notizie relative al commercio (in particolare relative alla guerra commerciale Usa-Cina)”, che “continuano a condizionare in maniera importante il sentiment”. In più, “i rischi legati al commercio sembrano essere aumentati”.
Detto questo, “desideriamo reagire a trend che siano reali, non a uno o due dati o a oscillazioni del sentiment”. Ovviamente, rileviamo che “sia l’inflazione che le aspettative sull’inflazione sono diminuite, e dobbiamo essere molto forti nel perseguire il target dell’inflazione al 2%”. Tuttavia, “non c’è stato un grande sostegno a tagliare i tassi di interesse in questo momento” e “reagire in modo eccessivo a qualsiasi situazione di breve termine sarebbe inappropriato”.
E di fatto, l’unico che era per un taglio dei tassi nella riunione del Fomc che si è conclusa ieri è stato James Bullard. Riguardo agli attacchi ripetuti lanciati nei suoi confronti dal presidente americano Donald Trump (che starebbe valutando anche la possibilità di cacciarlo), Powell si è limitato a rispondere che “il mio mandato dura quattro anni, e intendo servirlo”.
Gli analisti di Goldman Sachs hanno invece reagito subito: in particolare, il team di Jan Jatzius, che si era rifiutato di prevedere un qualsiasi taglio dei tassi nel 2019, e che lo scorso dicembre aveva previsto ben quattro rialzi dei tassi nel corso di quest’anno, prevede ora che la Fed taglierà i tassi a luglio e a settembre.
“Il nostro scenario di base per i tagli è di 25 punti base, ma sarebbe possibile anche un taglio di 50 punti base, nel caso in cui il flusso delle notizie fosse deludente e/o i funzionari della Fed decidessero di portarsi avanti rispetto a ciò che i mercati dei bond stanno prezzando (mercati che ora implicano un taglio di 32 punti base a luglio”.
Rimane d’altronde impressionante la variazione che ha interessato il dot-plot: otto partecipanti prevedono ora almeno un taglio nel 2019, inclusi sette che stimano una mossa di 50 punti base, a fronte di una maggioranza che ritiene che ci sarà un taglio entro il 2020.
Aumentano anche le speculazioni dei mercati, che stimano una riduzione del costo del denaro tra ora e la fine di settembre con una probabilità dell’83%, in deciso rialzo rispetto alla chance del 67% attesa prima della pubblicazione del comunicato della Fed.