Eni estrae petrolio nell’Artico. Descalzi: come andare sulla luna
Dopo anni di rinvii e lievitazione dei costi, è partita la produzione del giacimento di Goliat, il primo nel mare del Barents. Si tratta del giacimento più a nord del mondo e secondo le stime contiene riserve per 180 milioni di barili di olio. L’annuncio è arrivato ieri da Eni che detiene una quota del 65% giacimento di Goliat, con la quota restante del 35% in mano alla norvegese Statoil.
La scoperta di questo giacimento risale al 2000 e l’entrata in produzione arriva con circa due anni di ritardo rispetto alle previsioni. Ritardi abbinati anche a maggiori costi: circa 5,6 miliardi di dollari complessivi da dividere tra Eni e Statoil, pari a circa il 30% rispetto alle prime stime. “E’ come andare sulla luna – ha commentato Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni – con le ricadute tecnologiche che sono più importanti del viaggio stesso. Descalzi ha precisato che la produzione risulterà redditizia con quotazioni del petrolio dai 50 dollari al barile in su.
Il giacimento di Goliat è situato 85 km a nord ovest di Hammerfest, nella Licenza 229 (PL 229), in una zona priva di ghiacci del Mare di Barents, al largo della Norvegia. Goliat, sottolinea Eni, è stato sviluppato attraverso la più grande e sofisticata unità galleggiante di produzione e stoccaggio cilindrica (FPSO) al mondo, che ha una capacità di 1 milione di barili di olio e che è stata costruita con le più avanzate tecnologie per affrontare le sfide tecnico-ambientali legate all’operatività in ambiente Artico.
La produzione giornaliera raggiungerà 100.000 barili di olio al giorno (65.000 barili di olio al giorno in quota Eni). La produzione avverrà attraverso un sistema sottomarino composto da 22 pozzi (17 dei quali già completati), di cui 12 sono pozzi di produzione, 7 serviranno a iniettare l’acqua nel giacimento e tre per iniettare gas. Goliat, inoltre, utilizza le soluzioni tecnologiche più avanzate per minimizzare l’impatto sull’ambiente. Goliat riceve energia elettrica da terra per mezzo di cavi sottomarini, il che permette di ridurre le emissioni di CO2 del 50% rispetto ad altre soluzioni, mentre l’acqua e il gas prodotti sono re-iniettati nel giacimento.