Notizie Notizie Mondo Draghi dovish non basta, il forex lo snobba. Euro supera $1,25 per prima volta da fine 2014

Draghi dovish non basta, il forex lo snobba. Euro supera $1,25 per prima volta da fine 2014

25 Gennaio 2018 16:10

Dollaro giù, euro su, al massimo in più di tre anni, al di sopra della soglia di $1,25 per la prima volta dalla fine del 2014. Non importa che, nella prima riunione della Bce del 2018, il numero uno Mario Draghi abbia detto che “i tassi di interesse saranno mantenuti in Eurozona ai livelli attuali per un periodo di tempo esteso, e ben oltre l’orizzonte degli acquisti netti di asset”. Non importa neanche che ritenga che le probabilità di una stretta monetaria, nel corso di quest’anno, siano “molto basse” e che, allo stato attuale delle cose, “rimane necessario un ampio livello di stimoli monetari”.

Da tempo il rapporto euro-dollaro non segue più i diktat della politica monetaria, tanto meno le dichiarazioni e perfino i fatti della banca centrale. Il fatto che la Federal Reserve abbia alzato diverse volte i tassi sui fed funds e che sia pronta ad altre strette monetarie nel 2018 sembra ormai ben scontato.

Non ha presa sui mercati neanche il fatto che i tassi dell’Eurozona siano ancora ai minimi storici, con quelli sui depositi inchiodati al valore negativo -0,40% e che il Quantitative easing, come ribadito oggi, potrà essere rimodulato in qualsiasi momento, nel caso in cui le condizioni dovessero richiedere il ritorno a un intervento più incisivo (dall’inizio dell’anno, l’ammontare degli acquisti di asset della Bce è stato dimezzato da 60 miliardi a 30 miliardi di euro al mese).

Ciò che ha rilevanza in queste ore è piuttosto la view americana sul dollaro il cui calo, come ha confermato lo stesso segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin in occasione del World Economic Forum in corso a Davos, non preoccupa.

Anzi: per usare le parole del ministro, la debolezza del dollaro può essere positiva per l’economia Usa. Mnuchin l’ha detto tra l’altro non una volta, ma ben due volte, ammettendo pure che le sue dichiarazioni sono “forse lievemente differenti rispetto a quelle dei precedenti segretari al Tesoro Usa, che facevano riferimento, invece, alla forza del dollaro”.

E’ lo stesso Draghi, pur senza fare nomi, a puntare il dito contro l’amministrazione Trump, laddove afferma che le oscillazioni sul forex sono dovute in gran parte al miglioramento dei fondamentali dell’economia, ma in parte anche ai commenti “endogeni” che sono stati rilasciati da “qualcuno al di fuori della Bce (chiaramente il riferimento è alle parole di Mnuchin)”.

Certo, dal comunicato della Bce, che ha lasciato invariati i tassi, emerge che le informazioni raccolte dai dati macroeconomici indicano “un ritmo robusto” dell’espansione economica, tanto che il Pil dell’Eurozona ha accelerato al rialzo anche più di quanto atteso, nella seconda metà del 2017.

“Tale performance ha rafforzato la fiducia della Bce nella capacità dell’inflazione di avvicinarsi al target appena inferiore al 2% nel lungo termine – sottolinea Draghi durante la conferenza stampa –
Tuttavia, al momento, le pressioni inflazionistiche rimangono deboli”.

A conferma della durata degli effetti accomodanti del Quantitative easing, Draghi ricorda anche che
i fondi provenienti dal rimborso dei titoli acquistati nell’ambito del piano continueranno ad essere reinvestiti per un periodo prolungato di tempo,  anche a seguito della conclusione degli acquisti netti di asset e in ogni caso finché sarà necessario.

Insomma, nella giornata di oggi le dichiarazioni dovish non sono certo mancate. Ma è anche vero che Draghi ha più volte ribadito che non è compito della Bce occuparsi del forex. E basta questo a convincere gli investitori del fatto che i ribassisti sul dollaro – precipitato al minimo da oltre tre anni -, alla fine hanno ragione.