Notizie Notizie Mondo Dollaro sotto attacco, spettro guerra valutaria diventa realtà a Davos. Commercio mondiale in codice rosso

Dollaro sotto attacco, spettro guerra valutaria diventa realtà a Davos. Commercio mondiale in codice rosso

Pubblicato 25 Gennaio 2018 Aggiornato 5 Luglio 2019 15:05

Guerra commerciale e guerra valutaria: gli spettri più temuti dalla comunità economica mondiale sono sempre più realtà, e stanno prendendo forma proprio in queste ore. Il palcoscenico del World Economic Forum, noto negli anni per essere stato la sede in cui si sono risolte crisi bilaterali e in cui si sono trovate soluzioni a livello globale, viene travolto dallo slogan “America First” di Trump. E i mercati alzano immediatamente le antenne, con il dollaro che cade nelle mani dei ribassisti. Una buona notizia per l’amministrazione di Donald Trump, che sembra desiderare proprio questo.

Il Dollar Index scivola ulteriormente dopo aver ceduto l’1% alla vigilia e bucato la soglia dei 90 punti per la prima volta dal 2014.

Il trend conferma l’inizio d’anno peggiore, per la valuta, dal 1987.

E il sell off non sembra rientrare, tutt’altro, anche se il tonfo si arresta almeno nei confronti dell’euro.

Nel giorno della riunione della Bce (Mario Draghi terrà la conferenza stampa a partire dalle 14.30, dopo la decisione sui tassi che avverrà alle 13.45), l’euro viaggia attorno a $1,24, ai massimi degli ultimi tre anni, ritracciando comunque dai massimi delle ore precedenti.

Mnuchin e Ross scatenano timori guerra valutaria

A scatenare i movimenti scatenati sul forex, sono state le dichiarazioni rilasciate nelle ultime ore dal segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin e dal segretario al Commercio Usa, Wilbur Ross.

Entrambi hanno alimentato i timori di una guerra valutaria, il primo affermando che il calo del dollaro non è preoccupante e, anzi, che può essere positivo per il commercio degli Stati Uniti, il secondo avvertendo che ” le truppe americane stanno salendo ora sulle barricate”, nella guerra commerciale.

“Ovviamente un dollaro più debole è positivo per noi, in termini di commercio e di opportunità”, ha detto Mnuchin parlando ai giornalisti, a Davos, aggiungendo poi che il trend di breve termine della valuta “non ci preoccupa per niente”.

Ross ha rincarato la dose, e sempre da Davos ha minimizzato lo stesso pericolo delle guerre commerciali.

Le guerre commerciali vengono combattute ogni giorno. E una guerra commerciale c’è già da un po’. La differenza è che l’esercito americano sta salendo ora sulle barricate”.

Frasi che suonano come una dichiarazione di guerra, come ha fatto notare anche Axel Weber, presidente del colosso bancario svizzero UBS, intervistato a Davos dalla televisione di Bloomberg.

“Gli Stati Uniti stanno mostrando un atteggiamento combattivo negli accordi commerciali”, in un contesto in cui “molte sono state le società che hanno prosperato grazie alla globalizzazione, e che sono state capaci di offrire servizi in tutto il mondo”.

Ma Trump non ha assolutamente intenzione di cambiare direzione: lo slogan che il mondo vede come una minaccia – America First – per Trump è prima di tutto una promessa agli americani, che ha sbandierato fin dai giorni della campagna elettorale.

Tale promessa-minaccia è stata tra l’altro in parte già mantenuta con la realizzazione del bazooka fiscale: la tassa una-tantum sugli utili rimpatriati dall’estero da parte dei colossi americani è l’espressione più chiara del desiderio di Trump di far tornare al mittente americano la valanga di cash ammassata all’estero.

Il grafico: Trump sta già vincendo la guerra valutaria

Quel dollaro debole che viene considerato alla stregua di fattore positivo da parte di Mnuchin è già sotto gli occhi di tutti: non solo a causa dell’attacco ribassista che si sta consumando in queste ore, ma semplicemente grazie alla stessa eredità che Trump è riuscito a lasciare al forex a un anno appena dal giorno della sua inaugurazione a presidente Usa.

Il grafico qui sotto ne è la dimostrazione:

L’euro ha guadagnato da allora fino a oggi il 15,2%; la corona danese il 15,1%; la sterlina il 13,9%; la corona svedese l’11,3%, il dollaro canadese +7,9%, la corona norvegese +7,6%, il dollaro australiano +6,8%, il franco svizzero +5,2%, lo yen +4,7% e il dollaro neozelandese +3,2% (rapporti di cambio con il dollaro Usa).

Apprezzamento generale anche per le valute asiatiche, come certificato da quest’altro grafico, che mette in evidenza i guadagni riportati dalle valute dall’inizio dell’anno, nei confronti del dollaro Usa.

Non è un caso che l’indice Nikkei 225 della borsa di Tokyo abbia ceduto oggi più dell’1%: a pesare sono stati proprio i timori su una guerra valutaria, che potrebbe tradursi in un apprezzamento dello yen, considerato tra l’altro valuta rifugio e dunque anche oggetto di acquisti in tempi di incertezza come questi.

Ma Trump non sta combattendo la guerra commerciale solo con l’arma valutaria.

Dal suo arsenale sfodera anche i dazi, come è accaduto con l’annuncio relativo all’applicazione di dazi doganali alle lavatrici e pannelli solari importati. Uno schiaffo che ha colpito in pieno soprattutto i colossi, produttori anche di lavatrici, Samsung e LG Electronics.

Tanto che la reazione di LG Electronics è stata immediata. La società sudcoreana ha annunciatodi aver alzato i prezzi della maggior parte delle lavatrici che vende negli Stati Uniti. E’ vero che sia Samsung che LG Electronics hanno giocato d’anticipo, visto che la prima ha iniziato a produrre le proprie lavatrici nel South Carolina, mentre la seconda sta costruendo una fabbrica in Tennessee.

Ma ciò non smorza, semmai alimenta, le paure dei paesi interessati che temono ora che l’outsourcing possa avere sempre di più come destinazione gli Usa.

Grazie alla riforma fiscale di Trump e il trasferimento di alcune attività produttive dai rispettivi paesi – nel caso di Samsung e di LG – dalla Corea del Sud all’America, alla fine i posti di lavoro saranno creati soprattutto negli Stati Uniti, magari a danno di altri mercati del lavoro a livello globale.

Come reagiranno le economie globali alla minaccia del protezionismo targato Trump? La pubblicazione di un dato promette già male.

Oggi è stato diffuso infatti il Pil della Corea del Sud che ha dimostrato che, per la prima volta dal crac di Lehman Brothers, e la quarta volta soltanto dal 1999, l’economia sudcoreana si è contratta (-0,4% su base trimestrale rispetto al +0,1% atteso).

Il motivo? Soprattutto il tonfo delle esportazioni, scivolate del 5,4% su base trimestrale, al ritmo più forte dal 1985.

Tutto questo mentre le dichiarazioni di Mnuchin, affossando il dollaro, hanno fatto balzare il won sudcoreano dell’1%, tanto da portare alcune autorità governative a monitorare, come precisato da una fonte, i movimenti eccessivi.

E mentre Christine Lagarde, numero uno del Fondo Monetario Internazionale, chiama a rapporto Mnuchin, bollando anche come “eccessivo” il surplus delle partite correnti della Germania, pari all’8%, si teme che, oltre ai soldati Usa, a salire sulle barricate saranno anche i soldati sudcoreani, giapponesi, e così via.